fotografia

  • I bambini di Moshe. Un libro e un EAS (Episodio di Apprendimento Situato)*

     

    di Enrica Bricchetto

    I bambini di Moshe è un libro che serve a chi insegna per dare vita al discorso storico quotidiano. Raccontando storie, collocate in uno spazio–tempo ben preciso, con uomini e donne che hanno nomi e cognomi, compiono azioni, reagiscono o subiscono i colpi dell’ambiente in cui sono immersi, il docente riesce a dare più forza alla sua lezione. Compie meglio il processo di trasposizione didattica di quei nuclei fondanti, di quei concetti “base” della disciplina storica, senza i quali gli studenti non acquisiscono quadri interpretativi e non si orientano in quello che succede oggi tra le due sponde del Mediterraneo.

  • L’immaginario coloniale. L’Africa nelle fotografie dell’Istituto Luce

    di Antonio Prampolini

     

    Indice

    1. La fotografia e l’immaginario coloniale

    2. L’Istituto Luce e il monumento visivo dell’Italia fascista

    3. La produzione fotografica del Reparto Africa Orientale Italiana

    3.1 La Guerra di Etiopia

    3.2 Una “colonizzazione civilizzatrice”

    4. Il sito online dell’Archivio Storico Luce

     

    FOTOGRAFIA COLONIALE IN ITALIA IMMAGINE 1Fig.1: Somalia italiana - donna al mercato - foto di Carlo Pedrini (1894-1932) Fonte1. La fotografia e l’immaginario coloniale

    Una delle eredità culturali più interessanti dei vari colonialismi europei in Africa è costituita dalle numerose fotografie prodotte, tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, da soggetti diversi (esploratori, viaggiatori, scienziati, militari, missionari, scrittori e giornalisti, fotografi di professione, coloni e funzionari delle amministrazioni coloniali) con lo scopo di documentare e comunicare visivamente un continente “altro” rispetto all’Europa, a cui la storia aveva affidato una “missione civilizzatrice” di popoli “razzialmente e culturalmente inferiori”. Conseguentemente, l’Africa veniva rappresentata come una terra abitata da “etnie primitive” ma dotata di grandi risorse naturali e demografiche che avrebbero potuto essere sfruttate vantaggiosamente dai colonizzatori1.

    A partire dalla metà del secolo XIX, la fotografia aveva messo a disposizione degli europei un nuovo e “rivoluzionario” strumento di raffigurazione delle colonie, che prima della sua invenzione si era limitata a rappresentazioni cartografiche, a disegni e acquerelli che illustravano racconti esotici, diari di viaggio e articoli di giornale.

     

    L’ultimo secolo del colonialismo globale europeo - hanno osservato Matthias Harbeck e Moritz Strickert - è coinciso con una rivoluzione tecnologica e mediatica che avrebbe cambiato per sempre l’immagine pubblica del mondo: l’invenzione della fotografia. Sebbene le immagini fotografiche hanno immortalato molti aspetti della vita pubblica e privata moderna, è nella cultura e nell’immaginazione coloniale che hanno avuto un significato particolare: le colonie non erano più solo territori lontani, oltre l’orizzonte [oltremare], ma ora potevano essere “guardate da casa”. Questa improvvisa vicinanza dei territori colonizzati ha dato vita a una cultura visiva che illustrava il paradosso stesso delle ambizioni globali dell'Europa: da un lato, la legittimazione del colonialismo si basava su immagini di “alterità” del mondo non occidentale, dall'altro, i nuovi territori dovevano essere familiarizzati e quindi rivendicati [e integrati] come parte degli imperi2.

     

    La fotografia coloniale condizionava «la percezione della realtà che agli occhi di molti sarebbe finita col coincidere con la sua rappresentazione [visiva]». E così facendo, svelava la società e la cultura del tempo, «riflettendo i miti [e anche le paure] che l’avventura coloniale stimolava nella popolazione [europea]»3.

     

    La macchina fotografica non è mai stata un mezzo neutrale: parte integrante delle conquiste coloniali venne utilizzata sia per creare mappe, sia per controllare i nuovi territori e favorire una conoscenza di stampo positivista dei popoli e dei luoghi conquistati. La fotografia rientrava dunque in quel vasto flusso di informazioni da cui dipendeva lo stesso progetto coloniale, specializzandosi ben presto nella creazione d’immagini di sterminati spazi vuoti - ideali per nuovi insediamenti colonici -, di popoli primitivi da civilizzare e di categorie razziali da classificare (Monica Cillario, La fotografia e il colonialismo. Ieri e oggi, op. cit.).

     

    La fotografia contribuì, nei decenni successivi alla sua invenzione, a creare un immaginario coloniale del continente africano caratterizzato da pregiudizi e stereotipi (che lasciarono non poche tracce sia nella memoria pubblica che in quella privata), funzionali alla propaganda politica di tutti gli imperi europei4. Una propaganda che non avrebbe mai avuto un successo di legittimazione senza un uso sistematico della fotografia (e, in seguito, anche del cinema) adeguatamente supportata da enti e/o finanziamenti pubblici, come vedremo in Italia con la creazione dell’Istituto Luce.

     

    FOTOGRAFIA COLONIALE IN ITALIA IMMAGINE 2Fig.2: Logo dell'Istituto Luce Fonte2. L’Istituto Luce e il monumento visivo dell’Italia fascista

    L’Istituto Nazionale Luce era stato fondato da Mussolini nel novembre del 1925 come ente di diritto pubblico (in sostituzione della precedente società anonima L.U.C.E - L’Unione Cinematografica Educativa - creata nel 1924) con il compito di organizzare l’informazione e la propaganda del regime fascista attraverso la produzione e la distribuzione di immagini fotografiche e cinematografiche5.

    Grazie alle capacità tecniche e, soprattutto, all’appoggio politico dello stesso Mussolini, in poco tempo, l’Istituto Luce arrivò a detenere di fatto il monopolio delle riprese degli avvenimenti ufficiali del regime e delle immagini del duce, che poi inviava gratuitamente alla stampa nazionale e a quella estera.

    Le fotografie dell’Istituto Luce (nel 1927 era stato creato un apposito Servizio Fotografico) svolsero un ruolo fondamentale nel forgiare l’immagine di Mussolini, alimentando negli italiani il culto del “capo”, esempio di “capacità e virtù straordinarie” a cui tutti avrebbero dovuto ispirarsi.

     

    Un Mussolini solitamente fotografato con inquadrature dal basso che lo elevavano al di sopra degli uomini comuni. Nei ritratti in primo piano, inoltre, si prediligevano le inquadrature che facevano risaltare sul viso di Mussolini uno sguardo pensieroso, rivolto verso il futuro, cercando di identificare il suo volto con il progresso e la vittoria. [...] L’Istituto, inoltre, doveva cercare di diffondere un’immagine di Mussolini rassicurante ma forte allo stesso tempo. La fotografia del Luce testimonia così la molteplicità semantica dell’immagine di Mussolini, non soltanto fra essere dinamico e statuario, ma anche edificandolo nell’icona del condottiero militare e, contemporaneamente, divulgandolo come il paterno protettore della nazione, sempre prodigo a dispensare interessamento e affetto verso la popolazione (Stefano Mannucci, Storia della fotografia dell'Istituto Luce, op. cit.).

     

    L’Istituto Luce aveva attivamente collaborato alla realizzazione della Mostra della Rivoluzione Fascista allestita nel 1932 nel Palazzo dei Musei della capitale in occasione del “Decennale della Marcia su Roma” (28 ottobre 1922). La mostra ricostruiva i momenti salienti dell’affermazione del fascismo, offriva un quadro delle opere del regime e proponeva una rilettura in chiave fascista dell’intera storia nazionale6.

     

    La mostra non rappresentò soltanto il culmine raggiunto dalla fotografia come strumento d’appropriazione del passato, e mezzo per costruire una storia secondo la propria concezione ideologica. La mostra cercò, soprattutto, di oggettivare la fotografia nel suo rapporto con la storia medesima. Infatti, nel momento in cui la fotografia era posta accanto ad oggetti reali del passato, come gli zaini, le armi, le lettere, essa stessa diveniva un oggetto reale ed obiettivo, un prodotto materiale della storia, e non l’effimera visione del mondo da parte di una determinata intenzionalità, donandole così una maggiore forza nel suo rapporto d’oggettività con la storia stessa (Stefano Mannucci, Storia della fotografia dell'Istituto Luce, op. cit.).

     

    E sempre in occasione del Decennale, l’Istituto Luce aveva pubblicato L’Italia fascista in cammino, un fotoracconto che conteneva oltre cinquecento immagini che dovevano «insegnare agli italiani ad osservare il paese e la realtà quotidiana non con i propri occhi, ma con quelli dello stesso regime fascista»7.

    Ma fu soprattutto durante la Guerra di Etiopia che l’Istituto Luce impegnò i propri fotografi e le proprie strutture produttive e distributive in un intenso e straordinario lavoro di documentazione fotografica, oltre che cinematografica, sottoposto al controllo censorio del Ministero per la Stampa e la Propaganda (dal 1937, Ministero per la Cultura Popolare). Documentazione che non si limitò ai soli eventi bellici, volendo fornire agli italiani anche una rappresentazione visiva della nuova colonia.

     

    3. La produzione fotografica del Reparto Africa Orientale Italiana

    FOTOGRAFIA COLONIALE IN ITALIA IMMAGINE 3Fig.3: Guerra di Etiopia - Colonna someggiata in marcia Fonte3.1 La Guerra di Etiopia

    Nel settembre del 1935, su espressa richiesta dello stesso Mussolini, l’Istituto Luce creò il Reparto foto-cinematografico per l’Africa Orientale per seguire l’impresa coloniale dell’Italia in Etiopia (ottobre 1935 - maggio 1936).

    Ricorrendo alle moderne tecniche di propaganda, il regime voleva rendere popolare la guerra coloniale caricandola di contenuti retorici (il mito della Roma imperiale, la missione civilizzatrice dell’Italia fascista, la conquista di uno “spazio vitale” in Africa) per suscitare nel paese una massiccia mobilitazione e giustificare gli inevitabili sacrifici che essa avrebbe comportato (e tra questi, le sanzioni della Società delle Nazioni). La conquista dell’Etiopia, oltre a mettere a disposizione degli italiani nuove terre da coltivare e risorse economiche (più immaginarie che reali) doveva essere, a livello internazionale, una palese dimostrazione della forza militare e delle capacità organizzative dell’Italia fascista8.

    FOTOGRAFIA COLONIALE IN ITALIA IMMAGINE 4Fig.4: Guerra di Etiopia - colonna di autocarri militari in marcia – ottobre 1935 FonteIl Reparto foto-cinematografico per l’Africa Orientale venne strutturato potendo contare su di una consistente disponibilità di uomini e mezzi. Furono create diverse unità fotografiche da dislocare nei vari punti del fronte, dotate ciascuna di carri-laboratorio in grado di sviluppare i negativi da inviare alla sede operativa del reparto Luce ad Asmara (in Eritrea, dove si trovava il quartier generale delle forze militari italiane), che poi li avrebbe sottoposti alla verifica censoria dell’Ufficio Stampa e Propaganda Africa Orientale; ufficio a cui spettava il compito di controllare e selezionare le immagini da trasmettere ai corrispondenti dei giornali italiani e stranieri9.

    Durante i sette mesi di guerra, i fotografi del reparto Luce seguirono le truppe italiane nella conquista dell’Etiopia scattando migliaia di fotografie. Le immagini dovevano dare l’impressione di una “guerra facile”, dove la superiorità degli armamenti, le capacità logistiche e organizzative dell’esercito italiano avrebbero garantito una rapida vittoria con perdite molto limitate tra i propri soldati10.

    FOTOGRAFIA COLONIALE IN ITALIA IMMAGINE 5Fig.5: Guerra di Etiopia – aerei italiani FonteLe fotografie dell’Istituto Luce non documentarono nessuna delle atrocità di cui si erano macchiati gli italiani durante il conflitto, in particolare l’esteso utilizzo delle armi chimiche11. La guerra non veniva ritratta nel suo reale svolgimento, ma rappresentata prevalentemente secondo gli stilemi dell’iconografia tradizionale dei conflitti otto-novecenteschi, che utilizzava, per non allarmare l’opinione pubblica, immagini dove il dolore e la morte costituivano un’eccezione: sentinelle impegnate nei turni di guardia, artiglieri accanto ai loro cannoni, genieri che costruivano ponti, soldati che scrivevano lettere a casa o si rilassavano nei momenti di svago.

    Squarci della realtà bellica erano tuttavia presenti nelle numerose fotografie scattate dai militari italiani (ufficiali e soldati), che, muniti di macchina fotografica, si dilettavano a ritrarre senza reticenze i corpi dei nemici orribilmente sfigurati, le vittime civili dei bombardamenti, le impiccagioni e le fucilazioni degli abissini. Fotografie che, tollerate dai comandi o sfuggite ai controlli della censura, circolavano tra le truppe, e che oggi vengono ritrovate negli album di ricordi personali dell’avventura in Africa Orientale dei militari italiani12.

     

    FOTOGRAFIA COLONIALE IN ITALIA IMMAGINE 6Fig.6: costruzione di case ad Addis Abeba (1936-1937) Fonte3.2 Una “colonizzazione civilizzatrice”

    Dopo la presa della capitale etiope (5 maggio 1936), l’obiettivo principale del Reparto foto-cinematografico per l’Africa Orientale (la cui sede era stata trasferita da Asmara a Addis Abeba) divenne quello di documentare "l'incivilimento e la valorizzazione delle terre conquistate".

    Pertanto, numerose erano le fotografie che, con un evidente taglio propagandistico, mostravano la costruzione di strade e ponti, di mulini e forni per la produzione di farine e pane, la consegna ai coloni di trattori e aratri, l’installazione di linee elettriche e antenne della radio, l’insediamento ad Addis Abeba di filiali commerciali delle aziende industriali italiane come la Fiat, la Lancia, l’Olivetti, e il Banco di Roma.

    FOTOGRAFIA COLONIALE IN ITALIA IMMAGINE 7Fig.7: costruzione di strade nella regione di Addis Abeba FonteA queste si aggiungevano le fotografie che riprendevano le attività dei giovani etiopi inseriti nelle organizzazioni del regime fascista (come ad esempio i saggi ginnici della Gioventù Etiopica del Littorio) o ritraevano gli adulti inquadrati nelle truppe coloniali (gli Àscari) e trasformati da guerrieri “selvaggi” in soldati “disciplinati” di un esercito regolare13. Ricorrenti erano pure le fotografie che ritraevano gli indigeni liberati dalle “catene della schiavitù” o di ras locali che baciavano la bandiera italiana o si inchinavano alle autorità in segno di sottomissione14.

     

     

     

    FOTOGRAFIA COLONIALE IN ITALIA IMMAGINE 8Fig.8: bambini della Gioventù Etiopica del Littorio durante un saggio ginnico FonteGran parte delle fotografie dell’Istituto Luce diffondevano un’immagine fittiziamente bonaria e paternalista delle forze di occupazione e dei coloni italiani; un’immagine che si prestava a coprire il razzismo di fondo del regime fascista, lo sfruttamento delle popolazioni indigene nelle attività economiche e la repressione violenta di ogni loro forma di ribellione15.

     

     

     

     

    FOTOGRAFIA COLONIALE IN ITALIA IMMAGINE 9Fig.9: ufficiali medici italiani con una donna etiope FonteGli etiopi (uomini e donne) venivano generalmente ritratti con un misto di curiosità e talora di attrazione (il mito delle “veneri nere”) per mostrare, in immagini che evidenziavano i loro caratteri somatici, una presunta “inferiorità etnica”. Raramente venivano fotografati nello svolgimento delle loro attività tradizionali o nelle manifestazioni della loro cultura. Ciò che importava ai fotografi dell’Istituto Luce non era far conoscere agli italiani quell’antico popolo africano, ma riaffermare attraverso immagini stereotipate il punto di vista, gli interessi e la “superiore civiltà” dei colonizzatori.

     

     

     

    FOTOGRAFIA COLONIALE IN ITALIA IMMAGINE 10Fig.10: logo dell’Archivio Luce Fonte4. Il sito online dell’Archivio Storico Luce

    Dal 2018 l’Archivio Storico Luce è presente in rete con un proprio sito che permette di accedere a gran parte dei fondi iconografici costituiti dai materiali realizzati o acquisiti dall’Istituto Luce nel corso del Novecento (e oggi opportunamente digitalizzati), offrendo agli storici e a tutti gli interessati una vasta e preziosa documentazione visiva del “secolo breve”16.

    Alcuni fondi dell’archivio online riguardano gli eventi bellici e le occupazioni militari dell’Italia fascista dalla Guerra di Etiopia alla Seconda Guerra Mondiale. Si tratta della produzione foto-cinematografica di quattro reparti dell’Istituto: Reparto Africa Orientale Italiana (1935-1938), Reparto Guerra di Spagna (1936-1939), Reparto Albania (1939-1943), Reparto Guerra (1940-1944).

    In particolare, la sezione dell’archivio Reparto Africa Orientale Italiana (1935-1938) permette di accedere ad oltre diecimila fotografie (10451) attraverso diverse modalità di ricerca: Persone, Temi, Luoghi; per ogni immagine vengono indicati: data, luogo, evento. È sempre possibile impostare ricerche multiple associando Persone, Temi, Luoghi.

    Notevole è quindi il patrimonio fotografico del Reparto Africa Orientale Italiana che l’Archivio Storico Luce ha reso disponibile online sul proprio sito.

    Un patrimonio che richiede però un attento approccio critico per essere utilizzato correttamente a fini didattici. Le fotografie coloniali dedicate all’Etiopia (come tutte le altre prodotte dall’Istituto Luce) «esprimono sempre un messaggio articolato» in cui coesistono “vero e falso”. Sono “vere” per la «autenticità degli elementi contenuti» (persone e oggetti, luoghi ed eventi); sono “false” come «messaggio politico» nel rappresentare l’Etiopia come una colonia pacificata e sotto il pieno controllo del regime fascista (numerose erano le ribellioni e gli attentati che manterranno la colonia in un perenne “stato di guerra” per il breve periodo di durata dell’impero italiano, dal 1936 al 1941); e sono infine ancora “vere” come «documento autentico della propaganda del regime»17.

    Inoltre, non va dimenticato che le fotografie degli etiopi (in particolare delle donne e dei bambini, gli elementi più “deboli” delle comunità locali), come pure quelle degli altri africani, erano spesso il prodotto di una costrizione, di una forzatura da parte dei fotografi, che si traduceva inevitabilmente in una forma di violenza nei loro confronti18.

     


    Note

    1 Genoveffa Palumbo, Gli imperi coloniali, in Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, Treccani, 2014. Romuald Valentin Nkouda Sopgui, Kolonialfotografie: Kulturelle Wahrnehmungsformen und Mediatisierung transnationaler Beziehungsverflechtung, 11/04/2024. Anna Schade, Lukas Kleine-Schütte, Robin Spitzer und Deike Terhorst, Visual Histories. Ein studentisches Podcast-Projekt über fotografisch illustrierte Reiseberichte des frühen 20. Jahrhunderts, 16/07/2021. Matthias Harbeck und Moritz Strickert, Freiwilligkeit und Zwang. Eine Diskussion im Kontext der frühen ethnologischen Fotografie, 28/09/2020. Alberto Baldi, Fotografia antropologica ottocentesca e possesso del mondo. Maria Francesca Piredda, Fotografia missionaria e immaginario esotico: l’incontro con l’Altrove. Monica Cillario, La fotografia e il colonialismo. Ieri e oggi, maggio 2017.

    2 Matthias Harbeck e Moritz Strickert, Freiwilligkeit und Zwang. Eine Diskussion im Kontext der frühen ethnologischen Fotografie, op.cit..

    Stefano Mannucci, La creazione dell’immaginario nel colonialismo italiano, in «Afromagazine» n. 05, gennaio 2009, e Dodo Scaramello, In posa per l’impero. L’uso della fotografia nella propaganda coloniale italiana, 2019. Monica Cillario, La fotografia e il colonialismo. Ieri e oggi, maggio 2017. Giovanni Perillo, Primi anni '80: fototeca e pratiche visive razziste nel colonialismo italiano, in «Cinergie – Il cinema e le altre arti», n.22 (2022). Patrizia Cacciani, Impero filmato, impero-esibito. La cineteca del museo coloniale di Roma (1923-1951), 30/03/2023.

    4 Markus Wurzer, Italian colonialism in visual culture and family memory, 17/09/2018. Nadia Olivieri, L’invenzione dell’Africa. La formazione dell’immaginario coloniale italiano, dossier Insegnare il Mediterraneo contemporaneo, in Novecento.org, n. 4, giugno 2015. Giulia Grechi e Viviana Gravano (a cura di), Presente imperfetto. Eredità coloniali e immaginari razziali contemporanei, Mimesis, Milano, 2016.

    5 Stefano Mannucci, Storia della fotografia dell'Istituto Luce; e sempre dello stesso autore, La fotografia strumento dell’imperialismo fascista. Gabriele D’Autilia, Un caso di studio: l’Archivio fotografico dell’Istituto Luce, in L’indizio e la prova. La storia nella fotografia, pp. 191-198, Paravia Bruno Mondadori Editori, Milano, 2005. Gian Piero Brunetta, Istituto nazionale L.U.C.E, «Enciclopedia del Cinema», Treccani, 2003.

    6 Archivio Centrale dello Stato, Mostra della Rivoluzione Fascista. Gigliola Fioravanti (a cura di), Mostra della Rivoluzione Fascista - Inventario, Roma, 1990. Stefano Mannucci, Mostra della Rivoluzione fascista. Jeffrey T. Schnapp, Anno X. La mostra della rivoluzione fascista del 1932, Ist. Editoriali e Poligrafici, 2003. Claudio Fogu, The historic imaginary. Politics of history in fascist Italy, Toronto University Press, 2003.
    Per un confronto con l’uso propagandistico delle immagini fotografiche nella Germania nazista: Antonio Prampolini, Gerhard Paul e la storia visiva della Germania nazista, in «Historia Ludens», 10/04/2024.

    7 Stefano Mannucci, Storia della fotografia dell'Istituto Luce, op. cit.. Nel 1932, l’Istituto Luce aveva pubblicato il libro illustrato L’Italia fascista in cammino che comprendeva 516 fotografie tratte dal suo archivio. Stampato in edizione plurilingue (le didascalie erano in italiano, francese, inglese, spagnolo e tedesco), il libro, utilizzando anche diversi fotomontaggi, celebrava le istituzioni e le realizzazioni del regime fascista.

    Gianmarco Mancosu, Vedere l’impero. L’Istituto Luce e il colonialismo fascista, Mimesis, Milano, 2022; dello stesso, la tesi di dottorato La Luce per l’impero. I cinegiornali sull’Africa Orientale Italiana 1935-1942, Università degli Studi di Cagliari, anno accademico 2013-2014. Benedetta Guerzoni, Una guerra sovraesposta. La documentazione fotografica della guerra di Etiopia tra esercito e Istituto Luce, RS Libri, Reggio Emilia, 2017. Angelo Del Boca, Nicola Labanca, L’Impero africano del fascismo nelle fotografie dell’Istituto Luce, Editori Riuniti, Roma, 2002. Patrizia Cacciani, Il fascismo e il suo impero nell’Archivio dell’Istituto Luce, 08/11/2018. Luigi Goglia, Storia fotografica dell’Impero fascista 1935-41, Laterza, 1985. Markus Wurzer, Disziplinierte Bilder. Kriegsbildberichterstattung im nationalsozialistischen Deutschland und faschistischen Italien im Vergleich, 06/04/2020.
    Sugli aspetti economici del colonialismo italiano in Africa Orientale: Giulia Ricci, Alla conquista economica dell’Impero. La guerra coloniale in Etiopia, dossier Insegnare il Mediterraneo contemporaneo, «Novecento.org», n. 4, giugno 2015. Alessio Gagliardi, La mancata «valorizzazione» dell’impero. Le colonie italiane in Africa orientale e l’economia dell’Italia fascista, in «Storicamente», n.12, 2016.

    9 In un bilancio consuntivo, a guerra finita, il direttore dell’Istituto Luce, Giacomo Paulucci di Calboli, dichiarò che erano stati realizzati oltre 8.000 negativi fotografici, dai quali, una volta sviluppati, erano state distribuite circa 350.000 immagini del conflitto, sia in Italia che all’estero. A questa produzione si deve aggiungere un numero considerevole di serie fotografiche stampate in piccolo formato e destinate ai soldati (Adolfo Mignemi, Lo sguardo e l’immagine. La fotografia come documento storico, Bollati Boringhieri, Torino, 2003, p. 127).

    10 Angelo Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale. Vol. 2, La conquista dell’impero, Laterza, Bari, 1986. Giorgio Rochat, Le guerre italiane 1935-1943. Dall'impero d'Etiopia alla disfatta, Einaudi, Torino 2008. Nicola Labanca, La guerra d'Etiopia. 1935-1941, il Mulino, Bologna, 2015.

    11 Angelo Del Boca, I gas di Mussolini. Il fascismo e la guerra di Etiopia, Editori Riuniti, Roma, 2021.

    12 Adolfo Mignemi, Immagini per il soldato e il soldato fotografo. Fotografia militare e propaganda, in Immagine coordinata per un impero. Etiopia 1935-1936, a cura di A. Mignemi, Gruppo Editoriale Forma, Torino, 1984. Markus Wurzer, The social lives of mass-produced images of the 1935-41 Italo-Ethiopian War, Cambridge University Press, 10/11/2022. Sul sito https://www.memoriecoloniali.org/ i Fondi documentali

    13 La voce Àscari in Wikipedia edizione italiana.

    14 Gino Satta, L’ultimo baluardo della schiavitù. La “barbarie abissina” nella propaganda per la guerra d’Etiopia, in Variazioni africane. Saggi di antropologia e storia, a cura di Fabio Viti, Il Fiorino, Modena, 2016.

    15 Marida Brignani, Colonialismo e tutela della razza, Dossier Insegnare il Mediterraneo contemporaneo, in «Novecento.org», n. 4, giugno 2015. Gianluca Gabrielli, Razzismo coloniale italiano: dal madamato alla legge contro le unioni miste, in «Novecento.org», n. 12, agosto 2019. Francesco Filippi, Noi però gli abbiamo fatto le strade. Le colonie italiane tra bugie, razzismi e amnesie, Bollati Boringhieri, 2021. Cecilia Pennacini, Razzismo e imperialismo nel regime fascista, 29/01/2023.

    16 Il Fondo Cinegiornali e Fotografie dell’Istituto Nazionale Luce è stato inserito nel 2013 dall’UNESCO nel prestigioso registro Memory of the World con la seguente motivazione: «La collezione costituisce un corpus documentario inimitabile per la comprensione del processo di formazione dei regimi totalitari, dei meccanismi di creazione e sviluppo di materiale visivo e delle condizioni di vita della società italiana. Si tratta di una fonte unica di informazioni sull’Italia negli anni del regime fascista, sul contesto internazionale del fascismo (tra cui l’Africa orientale e l’Albania, ma anche ben oltre le aree occupate dall’Italia durante il fascismo, soprattutto per quanto riguarda il periodo della Seconda Guerra Mondiale) e sulla società di massa negli anni Venti e Trenta del Novecento».

    17  Gabriele D’Autilia, L’indizio e la prova. La storia nella fotografia, op.cit., p.196.

    18 Sulla natura “coercitiva” della fotografia etnografica quale espressione del potere coloniale e del suprematismo dei “bianchi”: Matthias Harbeck e Moritz Strickert, Freiwilligkeit und Zwang. Eine Diskussion im Kontext der frühen ethnologischen Fotografie, op.cit..

  • L’importanza delle immagini: Gerhard Paul e la storia visiva della Germania nazista

    di Antonio Prampolini

     

    INDICE

    1. Fotografia e propaganda nella Germania nazista

    1.1 La politica delle immagini

    1.2 Il culto del capo e i fotografi personali di Hitler

    1.3 I fotomontaggi antisemiti

    1.4 Le fotografie di guerra

    2. Gerhard Paul e le immagini di una dittatura

    3. Collezioni fotografiche online: sitografia

     

    1. Fotografia e propaganda nella Germania nazista

    PAUL GERHARD STORIA VISIVA DELLA GERMANIA NAZISTA IMMAGINE 1Fig.1: fotomontaggio propagandistico pubblicato sulla rivista nazista in lingua inglese «The American Illustrated News», agosto-ottobre 1936. Fonte1.1 La politica delle immagini

    I nazisti, che già a partire dagli anni Venti si erano serviti in larga misura della fotografia come mezzo di propaganda del loro partito, dopo la “presa del potere” (30 gennaio 1933), la utilizzarono abilmente come strumento della politica del nuovo regime. Il 1° gennaio 1934 approvarono una legge sulla censura delle attività editoriali la quale stabiliva che i fotografi e i giornalisti erano da considerarsi “servitori dello Stato e del popolo tedesco” e che, pertanto, vietava la pubblicazione di immagini e articoli in cui il regime nazista fosse rappresentato in modo negativo o non adeguatamente celebrativo. Per poter continuare a esercitare la propria professione, i fotografi dovevano iscriversi all’associazione della stampa tedesca (Reichsverband der Deutschen Presse). Erano istituiti tribunali professionali che potevano emettere avvertimenti ai fotografi che non rispettavano le direttive in materia di propaganda, o, nel peggiore dei casi, rimuoverli dall'albo professionale, inoltrando i loro dati alla Gestapo (la polizia segreta della Germania nazista)1.

    Il nazismo era diventato un movimento di massa anche grazie alla propaganda, posta sotto la direzione di Joseph Goebbels a partire dal 1930. Un'attenta coreografia di grandi eventi con uniformi, bandiere, fiaccole e altri simboli esercitava un fascino seducente sui tedeschi e, soprattutto, sui giovani. Il regime si serviva del potere suggestivo delle immagini; le fotografie delle adunate oceaniche alla presenza di Hitler dovevano apparire agli occhi dei più come la rappresentazione plastica della nuova Germania: uno stato forte guidato da un leader carismatico2.

    Il lavoro e il progresso tecnico conoscevano una trasfigurazione mitica. Le immagini dei nuovi edifici, degli impianti industriali e delle autostrade erano “costruite” per testimoniare l'azione del governo nazionalsocialista a beneficio del popolo tedesco. Allo stesso tempo, la propaganda del regime glorificava la figura interclassista del lavoratore. Gli operai, i contadini e i soldati erano raffigurati come i difensori della "comunità nazionale" il cui nucleo e garante dell'ordine morale era la famiglia tradizionale con numerosi figli (le fotografie dovevano mostrare famiglie con almeno quattro bambini).

     

    PAUL GERHARD STORIA VISIVA DELLA GERMANIA NAZISTA IMMAGINE 2Fig.2: manifesto ricavato da una fotografia di Heinrich Hoffmann del1935. Fonte1.2 Il culto del capo e i fotografi personali di Hitler

    Durante la Repubblica di Weimar, in anni caratterizzati da una permanente instabilità politica e da un diffuso malessere economico-sociale, i nazisti seppero sfruttare al massimo l’aspirazione del popolo tedesco ad essere guidato da un capo forte e decisionista, capace di infondere in loro sicurezza e speranza in un futuro migliore. Si avvalsero di campagne propagandistiche accuratamente studiate per trasformare Adolf Hitler da estremista poco conosciuto (nato in Austria e non in Germania) a salvatore della patria e uomo del destino della nazione.

    A partire dall'inizio degli anni '30, per rappresentare e allo stesso tempo favorire la crescente popolarità di Hitler, i responsabili della propaganda nazista utilizzarono immagini panoramiche del "Führer", posizionate diagonalmente su entrambi i lati, davanti a folle oceaniche.

    Il fotografo più importante dell’iconografia propagandistica del Terzo Reich fu sicuramente Heinrich Hoffmann, amico e ritrattista personale di Hitler. Le sue fotografie contribuirono in maniera rilevante alla creazione del mito hitleriano nell’immaginario collettivo del popolo tedesco. Nel 1932 Hoffmann pubblicò un opuscolo dal titolo Hitler wie ihn keiner kennt (Hitler come nessuno lo conosce). Per aiutare il popolo a identificarsi con il "Führer", Hitler fu ritratto come un "tedesco normale", un amante dei bambini, della natura e dei cani3.

    Tra i principali fotografi della Germania nazista deve essere annoverato anche Hugo Jaeger che accompagnò Hitler negli anni Trenta e nel corso della Seconda Guerra Mondiale, scattandogli circa duemila fotografie a colori, All’epoca, Jaeger fu uno dei pochi fotografi che utilizzavano pellicole a colori. Un lavoro, il suo, che ci consegna un sorprendente ritratto di Hitler e una straordinaria documentazione visiva della criminale politica del nazismo in Polonia (Ghetto di Varsavia)4.

     

    PAUL GERHARD STORIA VISIVA DELLA GERMANIA NAZISTA IMMAGINE 3Fig.3: fotomontaggio “Entartung der Kunst” (Degenerazione dell'arte): manifesto per la grande mostra antibolscevica del 1937 a Norimberga. Fonte1.3 I fotomontaggi antisemiti

    Nel 1937 la mostra antibolscevica Grosse antibolschewistische Shau (Grande esposizione antibolscevica), allestita inizialmente nel novembre del 1936 presso la biblioteca del Deutches Museum di Monaco, esponeva in un nuovo allestimento a Norimberga un gigantesco fotomontaggio antisemita sulla “degenerazione dell'arte” Entartung der Kunst. Si trattava (come ha osservato Konstantin Akinsha) di una strategia propagandistica di grande effetto, ispirata alle tecniche sovietiche dei decenni precedenti e utilizzata anche nella Mostra della Rivoluzione fascista tenutasi a Roma nel 19325.

     

     

     

    PAUL GERHARD STORIA VISIVA DELLA GERMANIA NAZISTA IMMAGINE 4Fig.4: Fotomontaggo 'Judenvisagen' (Facce di giudei), per la mostra “Der Ewige Jude” (L'ebreo errante), Monaco di Baviera, 1937. FonteUn altro famoso fotomontaggio antisemita, Judenvisagen (Facce di giudei), fu presentato nella mostra Der ewige Jude (L'eterno ebreo), allestita a Monaco sempre nel 1937. In questo fotomontaggio erano state inserite foto che ritraevano personaggi di origine ebraica appartenenti al mondo della cultura, della politica e della scienza. Personaggi di cui venivano esasperati, abbruttendoli, i tratti fisiognomici che denotavano l’appartenenza ad una razza diversa da quella ariana e, per questo, considerata inferiore.

    Maestro della iconografia antisemita era il giornalista e scrittore Hans Diebow che aveva pubblicato nel 1924 Die Rassenfrage (La questione razziale), e numerosi altri pamphlet sullo stesso tema negli anni successivi. Nel 1937 curò la raccolta di illustrazioni, in prevalenza fotografiche, Der ewige Jude (L’eterno ebreo), un’opera feroce e provocatoria che denigrava e ridicolizzava gli ebrei per giustificare la politica antisemita dei nazisti e l’obiettivo di una Germania “Judenfrei”. Le sue pubblicazioni, che avevano contribuito a diffondere l’odio razziale non solo in Germania ma anche negli altri paesi dell’Asse, possono essere definite come una sorta di “foto-album ideologici” dove le parole dovevano essere subordinate alle immagini6.

     

    PAUL GERHARD STORIA VISIVA DELLA GERMANIA NAZISTA IMMAGINE 5Fig.5: gruppo di militari facenti parte delle Propagandakompanien. Fonte1.4 Le fotografie di guerra

    Per i responsabili della propaganda nazista la guerra doveva essere drammatizzata e personalizzata utilizzando tutti i mezzi visivi, e, tra questi, in particolare la fotografia.

    Nel 1938 furono create le Propagandakompanien, reparti della Wehrmacht la cui attività era però posta sotto il controllo diretto del Ministero della Propaganda, che comprendevano fotografi, cineoperatori, disegnatori e giornalisti. Il loro compito era quello di fornire immagini della guerra che, puntando sull’emotività, dovevano raffigurare la forza, il coraggio e l’eroismo dei soldati dell’esercito tedesco7.

    Le numerose fotografie prodotte dalle Propagandakompanien nel corso della Seconda Guerra Mondiale erano però in gran parte il frutto di “messe in scena” che, per rassicurare le famiglie tedesche o esaltare le figure dei combattenti, avevano poco o niente in comune con la realtà. Allo scoppio della Secondo conflitto mondiale nel 1939, i fotografi documentarono i successi della Wehrmacht nei vari teatri di guerra. Dopo l'attacco all'Unione Sovietica, nel giugno 1941, le foto contenevano anche immagini che raffiguravano sia le condizioni di estrema indigenza in cui vivevano le popolazioni locali che la violenza dei soldati tedeschi nei confronti degli ebrei. Quando, a partire dal 1943, la sconfitta militare della Germania sul fronte orientale era di giorno in giorno sempre più evidente, i soldati della Wehrmacht venivano ancora rappresentati come combattenti vittoriosi. L’iconografia ufficiale glorificava la guerra e le virtù militari: il cameratismo, la lealtà e il coraggio. I detentori della Croce di Cavaliere della Wehrmacht venivano corteggiati come eroi dalla propaganda nazista; tra questi, in particolare, Erwin Rommel, che godeva di un'alta reputazione tra la popolazione ed era una figura in cui si identificavano molti soldati dell’esercito tedesco.

     

    2. Gerhard Paul e le immagini di una dittatura

    Gerhard Paul è uno storico tedesco che ha insegnato didattica della storia presso la Europa-Universität di Flensburg (Germania) e che da più di trent’anni studia le immagini dell’età contemporanea, intese non solo come una delle possibili fonti della storia, insieme alle fonti scritte e a quelle orali, ma come oggetti che meritano un’indagine storiografica autonoma. Le immagini, a suo parere, sono dotate di una propria «forza generativa» poiché esse non solo riflettono la storia, ma anche la influenzano e la determinano8.

    «Le immagini, [egli osserva] sono più che fonti che si riferiscono a un fatto o evento al di fuori della propria esistenza; sono più che media che usano il loro potenziale estetico per trasmettere interpretazioni [della realtà]. Le immagini hanno anche la capacità di creare prima di tutto realtà, sono dotate di una potenza energetica e generativa»9.

    Numerose sono le sue pubblicazioni (purtroppo nessuna è stata ancora tradotta in italiano) dedicate alle immagini della propaganda e della politica del terrore dei nazisti contro gli ebrei e le popolazioni dell’Europa orientale, e alla iconografia delle guerre, nella consapevolezza che le “guerre moderne” sono diventate sempre più “guerre di immagini” (la Seconda guerra mondiale, la Guerra del Vietnam, la Guerra in Iraq contro Saddam Hussein)10.

    Nel 2020 ha pubblicato Immagini di una dittatura. La storia visiva del Terzo Reich (Bilder einer Diktatur. Zur Visual History des Dritten Reiches) nella collana «Visual History» dell’editore Wallstein Verlag11.

    PAUL GERHARD STORIA VISIVA DELLA GERMANIA NAZISTA IMMAGINE 6Fig.6: copertina di “Bilder einer Diktatur” editore Wallstein Verlag. FonteIn cinquecento pagine, Paul prende in esame l’iconografia del nazismo negli anni che vanno dal 1932 al 1945 utilizzando 42 “immagini chiave”. La selezione riflette il primato della fotografia nella memoria collettiva dei tedeschi. Infatti, due terzi delle “immagini chiave” selezionate da Paul sono fotografie, prodotte sia da fotografi professionisti, alle dipendenze delle agenzie di propaganda del regime o inquadrati in reparti militari, che da fotografi amatoriali (soldati o civili). A ciascuna delle immagini selezionate, riprodotte in ordine cronologico, viene dedicato un capitolo dove l’autore descrive le circostanze della loro creazione, come furono utilizzate e interpretate, e come lui stesso le ha incontrate per la prima volta.

    Nella sua indagine iconografica Paul ha potuto constatare che, nonostante siano trascorsi più di 70 anni dalla fine del cosiddetto Terzo Reich, le foto provenienti dalla propaganda nazista plasmano ancora la visione collettiva di quel periodo storico. Sono onnipresenti in rete, negli articoli dei giornali e nelle mostre, illustrano i libri e i testi scolastici, dove spesso si dimentica che esse non rispecchiano in modo oggettivo e neutrale la realtà, poiché sono spesso il prodotto di “messe in scena”, di costruzioni mediatiche che necessitano di un’attenta critica delle fonti.

    «Siamo ancora circondati da immagini dell’era nazista [scrive Paul nell’introduzione a Bilder einer Diktatur]. Uno sguardo ai giornali e alle riviste, allo schermo televisivo [o a quello dei computer e dei telefonini collegati a Internet] conferma continuamente questo fatto: la barriera di confine rotta a Danzica è una metafora visiva dell'inizio della Seconda Guerra Mondiale; la fotografia dei fratelli Scholl rappresenta in tutto il mondo la resistenza contro Hitler; la rampa ferroviaria di Auschwitz-Birkenau costituisce una icona globale dell’Olocausto. Nel cosmo di queste immagini si è formata la nostra visione del nazionalsocialismo e del Terzo Reich. Quella che era un'esperienza reale per coloro che vivevano in quel momento viene veicolata ai posteri mediaticamente attraverso immagini. La memoria che ne scaturisce proviene spesso dalla stessa propaganda nazista che è stata adottata talvolta in modo acritico, influendo così sul giudizio di quella tragica esperienza storica»12.

    PAUL GERHARD STORIA VISIVA DELLA GERMANIA NAZISTA IMMAGINE 7 PAUL GERHARD STORIA VISIVA DELLA GERMANIA NAZISTA IMMAGINE 8 Bilder einer Diktatur inizia con una foto scattata a Kiel (Schleswig-Holstein) nel dicembre 1932 e si chiude con una foto scattata a Flensburg (Schleswig-Holstein) il 23 maggio 1945. La prima mostra un candelabro di Hanukkah (candelabro a nove bracci, Menorah, per celebrare la festa ebraica di Hanukkah) posto sul davanzale di una finestra con vista sull’edificio sede della locale direzione del partito nazista (NSDAP) dove sventolava una bandiera con la svastica. La fotografia è una “messa in scena” della fotografa Rachel Posner, moglie del rabbino di Kiel, per rappresentare visivamente la situazione di tensione e di pericolo in cui si trovava la popolazione ebraica a causa delle azioni violente dei nazisti di quella città. Questa fotografia viene utilizzata da Paul per raffigurare simbolicamente la radicale contrapposizione tra il nazionalsocialismo e il mondo ebraico, tema centrale di Bilder einer Diktatur. La seconda foto documenta l’arresto avvenuto a Flensburg di alcuni alti gerarchi nazisti: Karl Dönitz (il successore di Hitler), Albert Speer (il ministro degli armamenti e delle munizioni del Reich) e Alfred Jodl (il capo l'organizzazione Todt). Si tratta anche in questo caso di una “messa in scena” voluta dalla potenza occupante britannica per offrire ai numerosi rappresentanti della stampa internazionale un’immagine iconica della fine della dittatura nazista.

    Circa un terzo delle fotografie di Bilder einer Diktatur sono dedicate alla persecuzione degli ebrei. In molte immagini, gli ebrei vengono ritratti secondo gli stereotipi razziali definiti dai nazisti per rafforzare le tendenze antisemite della popolazione tedesca ed escluderli così dalla “comunità nazionale”, riservata ai soli cittadini di razza ariana. Particolarmente inquietanti sono le foto di Lviv, in Ucraina, che mostrano giovani che compiono violenze sessuali contro donne ebree davanti alla macchina fotografica. Ci sono anche immagini scattate clandestinamente che provengono dalle stesse vittime del terrore nazionalsocialista.

    Per Paul, ciò che colpisce nell’iconografia nazista è la discrepanza tra la violenza degli eventi e la «osservazione apparentemente estranea» di gran parte dei fotografi. Miglia di fotografie venivano pubblicate sui quotidiani e sulle riviste illustrate promosse dal regime per creare un nuovo immaginario delle masse, per renderle partecipi degli eventi e trasformarle in corresponsabili, estendendo così la base di consenso del regime.

    Nel riflettere sui criteri da lui seguiti nella scelta delle immagini in Bilder einer Diktatur, Paul così descrive la dinamica delle immagini nella memoria collettiva:

    «La nostra memoria basata sulle immagini non è mai statica, ma dinamica, caotica e associativa. Ciò vale anche per la memoria dell’era nazista. Alcune immagini sopravvivono al passare del tempo, cambiando interpretazione e significato. Altre immagini vengono dimenticate e scompaiono dalla nostra memoria. Nuove immagini sostituiscono quelle più vecchie. Tra queste ci sono immagini che, a causa del loro potere iconico, sono prive di leggende, mentre altre richiedono l’accompagnamento di un testo descrittivo. Alcune immagini acquisiscono un significato maggiore, vengono collocate nella memoria come immagini di riferimento per un contesto storico più ampio. Tutto questo avviene a seconda dei tempi, dei mutevoli interessi e delle domande che poniamo alla storia»13.

    Grazie all’ampia e approfondita ricerca iconografica sull’era nazista, che affianca alle fotografie ufficiali del regime immagini meno conosciute o del tutto sconosciute, e mostra eventi nelle strade e nelle piazze, così come nei lager o nelle prigioni, nelle stanze private o nei nascondigli, Bilder einer Diktatur è un'opera di grande interesse che può essere utilizzata proficuamente anche in ambito didattico per esercitarsi ad analizzare criticamente le fonti visive, mettendo in discussione la produzione, la ricezione e l’interpretazione delle fotografie di quell'epoca barbarica.

     

    3. Collezioni fotografiche online: sitografia

    Elenchiamo di seguito alcune risorse della rete ad accesso libero e gratuito, che propongono collezioni fotografiche sulla storia visiva della Germania nazista. Per quanto riguarda le collezioni fotografiche sulla Shoah/Olocausto rinviamo alla sitografia dell’articolo Le quattro foto “vere/false” di Auschwitz. Georges Didi-Huberman e il dibattito sulla rappresentazione della Shoah (in «Historia Ludens», 21/01/2024), con la stessa avvertenza: le fotografie digitali che circolano numerose sul web devono sempre essere sottoposte ad una critica delle fonti, con una particolare attenzione sia all’organizzazione che alle finalità dei siti che le pubblicano.

    - In Wikimedia Commons (l’archivio digitale open access di immagini, suoni e video, di pubblico dominio o con licenza libera, creato nel 2004 dalla Wikimedia Foundation, e che funge da repository di file multimediali per i vari progetti della fondazione, tra cui Wikipedia) segnaliamo le categorie (aggregati di file strutturati):

    Category: Nazi Germany

    Category: Nazi propaganda

    Category: Nazi photographers

    Category: Photographs by Heinrich Hoffmann

    Category: Propagandakompanie

    E’ possibile anche effettuare una ricerca in Wikimedia Commons digitando nazi photography nel campo di testo libero; in tal caso, il risultato è un mosaico di immagini non strutturate.

    - Il Bundesarchiv, l’Archivio federale della Germania, conserva circa 12 milioni di immagini, foto aeree e manifesti sulla storia tedesca e non solo. Dal sito dell’archivio è possibile impostare ricerche per periodo. Ad esempio, la ricerca dal 1933 al 1945permette di visualizzare numerose immagini relative alla Germania negli anni del nazismo al potere. L’archivio conserva, in particolare, le fotografie delle Compagnie di Propaganda della Wehrmacht che mostrano l’impiego nelle diverse zone di guerra delle forze armate tedesche durante il Secondo conflitto mondiale. Dal sito dell’archivio è possibile visualizzare le foto: Propagandakompanien der Wehrmacht.

    - Il LEMO – Lebendiges Museum Online permette di accedere a diverse raccolte fotografiche sulla Germania (Fotografien). Nella lista Epoche segnaliamo: Weimarer Republik, NS-Regime, Zweiter Weltkrieg. La ricerca delle immagini può essere impostata per tag, luoghi e persone.

    - Il sito Süddeutsche Zeitung Photo pubblica numerose fotografie dedicate al nazionalsocialismo in Germania: Nationalsozialismus in Deutschland. Le fotografie sono raggruppate per temi e ogni tema propone diversi dossier con le relative immagini (ad esempio, il tema La politica educativa dei nazionalsocialisti comprende tre dossier: Schule im Nationalsozialismus (La scuola nella Germania nazionalsocialista); Universität im Nationalsozialismus(L’università nella Germania nazionalsocialista); Vormilitärische Ausbildung bei der Hitlerjugend(L’addestramento premilitare della Gioventù hitleriana).

     


    Note

    1 Cfr. Thekla Kausch,Die Fotografie im NS-Regime, Deutsches Historisches Museum, Berlin, 18. August 2015.

    2 Cfr. Arnulf Scriba,Die NS-Propaganda, Deutsches Historisches Museum, Berlin, 14. Juli 2015. Sulla fotografia di propaganda: Gabriele D’Autilia,L’indizio e la prova. La storia nella fotografia, Paravia Bruno Mondadori Editori, Milano, 2005, pp. 165-169.

    3 Cfr.Heinrich Hoffmann (photographer), Wikipedia edizione in lingua inglese. Si veda anchePhoto archive of Heinrich Hoffmann, Bayerische StaatsBibliothek.

    4 Cfr.Hugo Jaeger, Wikipedia edizione in lingua inglese. Si veda anche lacollezione di foto a coloridi Hugo Jaeger su flickr.

    5 Cfr. Konstantin Akinsha,Il naso di Alfred Flechtheim. Antisemitismo e immagini nella propaganda nazista, «Storicamente», 5 (2009), no. 54.

    6 Cfr. Konstantin Akinsha,Il naso di Alfred Flechtheim.

    7 Cfr. Carola Jüllig,Propagandakompanien, Deutsches Historisches Museum, Berlin, 29. April 2020.

    8 Per maggiori informazioni bio-bibliografiche su Gerhard Paul: lavoce relativa in Wikipedia edizione in lingua tedesca e ilcatalogo della Deutsche National Bibliothek.

    Bilder als generative Kräfte, nella voceVisual History scritta da Gerhard Paul per la «Docupedia-Zeitgeschichte», 13.03.2014.

    10 Tra le pubblicazioni in lingua tedesca di Gerhard Paul, segnaliamo:Aufstand der Bilder. Die NS-Propaganda vor 1933 (La rivoluzione delle immagini. Propaganda nazista prima del 1933), Bonn 1990;Bilder des Krieges – Krieg der Bilder. Die Visualisierung des modernen Krieges (Immagini di guerra - guerra di immagini. La visualizzazione della guerra moderna), Schöningh, Paderborn 2004;Der Bilderkrieg. Inszenierungen, Bilder und Perspektiven der “Operation Irakische Freiheit” (La guerra delle immagini nella “Operazione Iraqi Freedom”), Wallstein, Göttingen 2005;Das visuelle Zeitalter. Punkt & Pixel, (L'era visiva: punto & pixel ) Wallstein, Göttingen 2015;Bilder einer Diktatur. Zur Visual History des Dritten Reiches (Immagini di una dittatura. Per una storia visuale del Terzo Reich), Wallstein, Göttingen 2020. In rete si possono leggere in modalità open access:Die Geschichte hinter dem Foto. Authentizität, Ikonisierung und Überschreibung eines Bildes aus dem Vietnamkrieg (La storia dietro una foto. Autenticità, iconizzazione e sovrascrittura di un'immagine della guerra del Vietnam), in «Zeithistorische Forschungen/Studies in Contemporary History», n. 2, 2005;Die Geschichte der fotografischen Kriegsberichterstattung (La storia del reportage fotografico di guerra), nel dossier «Bilder in Geschichte und Politik» della Bundeszentrale für politische Bildung, 28/12/2005; Kriegsbilder – Bilderkriege (Immagini di guerra, guerre di immagini), in «Aus Politik und Zeitgeschichte», Bundeszentrale für politische Bildung, 16/07/2009;Das Mao-Porträt Herrscherbild, Protestsymbol und Kunstikone (Il ritratto di Mao. Immagine del potere, simbolo di protesta e icona dell'arte), in «Zeithistorische Forschungen/Studies in Contemporary History», n. 6, 2009;“Icons Art” & “Double Take”. Anmerkungen zu einer Berliner Ausstellung (Le icone mediatiche della fotografia e del cinema. Appunti su una mostra di Berlino), in «Visual History», 11/03/2019.

    11 In rete è possibile leggere l’introduzione e alcuni capitoli iniziali (Bilder einer Diktatur. Zur Visual History des Dritten Reiches).

    12Cfr. Bilder einer Diktatur. Zur Visual History des Dritten Reiches – Einleitung, pp. 9-16.

    13 Cfr.Bilder einer Diktatur. Zur Visual History des Dritten Reiches – Einleitung, pp. 9-16.

  • The Saigon Execution. Il laboratorio a distanza

    di Lucia Boschetti

     

    A casa, in classe, un po’ e un po’… ma continuiamo i laboratori!

    Come integrare uno dei laboratori di Historia Ludens (o qualunque altro!) in una lezione a distanza?

    Una possibilità è offerta da un software ad utilizzo gratuito (per la versione base), che si chiama Pear Deck.

    Pear Deck offre una serie di componenti aggiuntivi da utilizzare su Google presentazioni. Inserendo uno di questi componenti all’interno di una slide, la si rende interattiva: ciò significa che gli studenti non si limitano a guardarla, ma devono compiere le operazioni richieste.

    In tempi di dubbi sul numero di studenti che possono contemporaneamente seguire una lezione in classe o a distanza, questa soluzione è ottimale: possiamo interagire contemporaneamente e nello stesso modo con due gruppi, uno in presenza e uno connesso da casa. Per questa ragione, mi è sembrato sensato proporre in questo momento dei materiali già predisposti, che permettano a docenti che non lo hanno mai sentito nominare di servirsi di questo strumento con facilità.

    A questo scopo, la prima presentazione interattiva che propongo è costruita sul laboratorio The Saigon Execution e la guerra del Vietnam.

    infografica

    In generale, l’applicazione Pear Deck può essere utilizzata in tre modi:

    1) in maniera sincrona in presenza, svolgendo il laboratorio in classe e proiettando le slide alla LIM. In questo modo, le risposte degli studenti possono essere visualizzate anonime e commentate collettivamente: sarà il docente a gestire la visualizzazione delle diapositive e, quando crede, delle risposte, mentre gli studenti, sui loro smartphone, visualizzeranno le slide seguendo il ritmo imposto dal docente. Per ciascuna diapositiva vedranno la consegna dell’attività da svolgere e la propria risposta, ma non le risposte degli altri.

    2) in maniera sincrona a distanza, connettendosi dallo smartphone o da un computer alla presentazione in corso. Vale quanto detto per la modalità 1 per quanto riguarda la visualizzazione docente/studenti.

     

    Le opzioni 1 e 2 possono essere mescolate: è sufficiente che, nel momento in cui si avvia la presentazione in classe, si connettano ad essa anche gli studenti che seguono tramite videochat. Poiché il computer di classe trasmette alla LIM, il risultato sarà che sia il gruppo classe in presenza sia gli studenti connessi in remoto seguiranno la stessa attività e le risposte degli uni e degli altri compariranno alla LIM insieme, quando il docente deciderà di renderle visibili.

    Nei casi 1 e 2, quando il docente avvia la presentazione deve scegliere la modalità “Instructor-paced activity”: ciò significa che solo lui potrà gestire il ritmo di scorrimento delle diapositive. Quando arriverà alla slide numero 7, per permettere agli studenti di svolgere i lavori di gruppo dovrà selezionare la modalità “Student-paced activity”.

     

    Il docente può sempre passare da una visualizzazione all’altra cliccando sui tre puntini che compaiono in basso a destra durante la presentazione.

    Schermata 2020 06 15 alle 14.20.50 Se una parte della classe è connessa in remoto, la cosa migliore è formare due gruppi con gli studenti in presenza e un terzo gruppo in videochat: sarà sufficiente che il docente spenga l’audio del computer di classe durante il lavoro di gruppo, lasciando gli studenti connessi a dialogare tra loro. A seconda del numero degli studenti, si potranno moltiplicare i gruppi: se gli studenti connessi in remoto lavorano in più gruppi, ciascuno si riunirà in una stanza virtuale separata.

     

    3) Una terza possibilità è usare la presentazione Pear Deck in maniera asincrona, nel qual caso l’insegnante avrà precedentemente svolto la lezione di contestualizzazione, oppure fornirà agli studenti una breve registrazione di avvio, lasciando al lavoro dei gruppi tutta l’analisi delle fonti. Nel caso 3 il docente avvierà fin dall’inizio il laboratorio selezionando la modalità “Student-paced activity”. È bene tenere presente che quando il docente avvia la presentazione in questa modalità cliccando su “End/Termina” compaiono due diverse opzioni: la prima comporta l’interruzione della presentazione per tutti i partecipanti, mentre la seconda chiude la presentazione sul computer del docente, che può dunque allontanarsi, ma la lascia attiva per gli studenti, finché il docente, riconnettendosi, non la interrompe.

    Ovviamente, in questo caso starà all’insegnante selezionare, seguendo l’articolo principale, i passaggi che richiedono necessariamente la sua presenza. I gruppi si riuniranno autonomamente in videochat.

     

    Qui potere accedere alla presentazione digitale completa del laboratorio The Saigon Execution e la guerra del Vietnam. La presentazione include dei componenti aggiuntivi che rendono interattive alcune delle slide. I caratteri utilizzati in tutti i testi sono piuttosto piccoli: questa scelta è stata compiuta intenzionalmente per mantenere i testi all’interno di una slide, dal momento che ciascun utente può regolare lo zoom. I materiali non sono, quindi, adatti per la stampa.

     

    Quali sono e come funzionano le slide interattive?

     

    Le slide interattive sono identificate dal simbolo della pera che compare in basso a sinistra.  simbolo PD Questo articolo è rivolto a insegnanti utilizzano per la prima volta presentazioni con i componenti aggiuntivi Pear Deck: per questa ragione, il numero e la tipologia delle slide interattive sono limitati. Nelle prossime puntate troverete presentati altri componenti aggiuntivi.

    Le slide da 1 a 4 sono classiche, con l’avvertenza che la slide 3 contiene i link a due filmati presenti su youtube per presentare la serie The Vietnam War di K. Burns e L. Novick. Entrambi i video sono in inglese: se il docente non intende usarli, può semplicemente tenere la slide di sfondo mentre avvia la contestualizzazione della guerra, così come suggerito nell'articolo di Brusa.

     

    Le slide 5 e 6 sono contrassegnate in basso dal simbolo della pera e dal comando “Students, draw anywhere on this slide”. Dai loro smartphone o pc, gli studenti possono selezionare la modalità testo cliccando su T e scrivere nei punti della slide sui quale cliccano: questo permette a ciascuno di scrivere in corrispondenza delle righe delle due tabelle.

     

    La slide 7 spiega come affrontare il lavoro di gruppo: andranno individuati alcuni ruoli tra i membri e tutti dovranno partecipare alla discussione. In particolare, si segnalano due ruoli: il segretario, che avrà il compito di prendere sinteticamente nota di tutti gli interventi nel corso del dibattito di gruppo; e l’addetto stampa, che dovrà compilare un breve resoconto finale. Una volta spiegati i ruoli, l’insegnante avvierà la modalità “Student-paced” e lascerà ai gruppi il tempo di lavorare sui testi proposti.

    In questo modo, gli studenti del gruppo A scorreranno la presentazione fino alla slide 8, contrassegnata dal colore giallo che corrisponde al loro gruppo; quelli del gruppo B fino alla slide 9 (colore rosso) e quelli del gruppo C fino alla slide 10 (colore azzurro). Se si decide di far lavorare più gruppi sullo stesso materiale documentale, basterà indicare loro su quale slide soffermarsi.

     

    Le slide da 8 a 11 e la successiva slide 15 sono identificate dal comando “Students, write your response”: in questo caso gli studenti non selezionano un punto della slide nel quale scrivere, ma inseriscono la risposta come se fosse un messaggio di testo.

     

    La slide 13 contiene l’ultima forma di interattività utilizzata in questa presentazione: chiede allo studente di selezionare, tra quattro opzioni, la sua disponibilità a intervenire nella discussione.

    L’utilizzo di questa slide si basa sul presupposto che l’insegnante può visualizzare le risposte degli studenti sul proprio computer mantenendo la LIM in modalità freeze (selezionandola con il telecomando dall’apposito tasto), cioè senza modificare la proiezione. In alternativa, gli insegnanti che attivano la modalità Premium dell’applicazione possono usufruire della visualizzazione privata delle risposte degli studenti accedendo al Teacher Dashboard.

     

    La slide 16 contiene il link ai testi per la seconda fase della lezione (testi e, f, g dell’articolo originale): in questo caso il link permette solo di visualizzare o scaricare il documento, come in un classico ipertesto.

     

    Riepilogando, nella presentazione sono state inserite tre modalità di interazione:

    1) risposta da inserire in un punto preciso della slide (oppure disegno, ma in questo caso non serve);

    2) risposta da digitare come messaggio di testo;

    3) risposta a domanda a scelta multipla.

     

    Pear Deck offre componenti aggiuntivi: il che significa che questi tre componenti base possono essere aggiunti a qualunque slide, anche ad una presentazione realizzata offline con power point e caricata su Google presentazioni. Allo stesso modo, sia le slide che i singoli componenti possono essere eliminati da questa presentazione modello per personalizzarla in base alle esigenze del docente.

     

    Ok, come faccio ad iniziare?

     

    Per utilizzare la presentazione modello è necessario disporre di un account Google (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) e seguire le istruzioni:

    1. Cliccate sul link e create una copia della presentazione, che si salverà nella cartella Drive associata al vostro account. Questo link si riferisce alla presentazione del laboratorio The Saigon Execution e la guerra del Vietnam, ma con la stessa procedura si può accedere a tutte le presentazioni create con Pear Deck.

     

    Schermata 2020 06 15 alle 14.18.23 2. Cliccate su Componenti aggiuntivi> Pear Deck for Google Slides Add-on e poi su Installa. A questo punto, avete installato i componenti aggiuntivi: pochi passi e avrete finito!

    3. Cliccate di nuovo su Pear Deck for Google Slides Add-on: questa volta non compare più “installa”, ma “Open Pear Deck Add-on”, che andrà cliccato.

     

    Schermata 2020 06 15 alle 14.18.40 4. Date il via alla presentazione selezionando “Start Lesson”, il bottone verde.  

    5. Scegliete l’opzione di sinistra per la modalità asincrona, quella a destra per la modalità sincrona (potrete cambiare in seguito, quando necessario)

    La presentazione si lancerà automaticamente su una nuova scheda del browser: non utilizzerete un software off line (per esempio, Power Point), ma gestirete la presentazione direttamente dal browser (per esempio, Google Chrome). Durante il primo utilizzo, vi verrà chiesto di concedere una serie di autorizzazioni, sempre autentificandovi con il vostro account google.

    Schermata 2020 06 15 alle 14.24.36 6. Avvisate i vostri studenti di collegarsi dal loro dispositivo, computer o smartphone, al sito joinpd.com e di inserire il codice della lezione che compare sul vostro schermo: da questo momento, seguiranno la lezione direttamente, con la possibilità di interagire. Quando almeno uno studente si sarà connesso, potrete premere play e iniziare la lezione.

    7. Nelle slide interattive, cliccate sulla barra in basso, sul pulsante “Show Responses”/”Hide Responses” rispettivamente per mostrare o nascondere le risposte (visualizzerete il numero di risposte già date).

    8. Ogni sessione di presentazione viene salvata per 30 giorni: in questo arco di tempo avete la possibilità di scaricare gratuitamente, in formato excel, un resoconto di tutte le risposte che sono state date da ciascuno studente su ogni slide. Per farlo, anziché avviare la presentazione cliccando sul bottone “Start lesson”, selezionate le tre linee orizzontali alla sua destra e cliccate su “Review Session”. Ciascuna sessione compare in ordine cronologico: cliccando sui tre puntini a destra è possibile esportare i dati e salvarne una copia sul proprio computer. 

     

    Dubbi? Potete seguire i video tutorial

     

    Questi video tutorial sono stati realizzati seguendo passo passo l'apertura della presentazione per il laboratorio The Saigon Execution e la guerra del Vietnam. Guardandoli, quindi, potete vedere uno per volta i passaggi da compiere.

     

    Sicuri e volete essere più autonomi?

     

    Un’alternativa per i lavori di gruppo è sostituire le slide 8, 9 e 10 con documenti condivisi creati tramite Googledocs. Il vantaggio di procedere in questo modo è che sul documento condiviso del gruppo ciascuno studente riporterà i propri commenti, anziché deputarlo al segretario, e l’addetto stampa scriverà la sintesi.

     

    Se volete procedere in questo modo, potete scaricare una copia dei documenti per i gruppi A, Be C e caricarla nella vostra cartella Google drive.

    Schermata 2020 06 15 alle 14.51.58 A quel punto, inserite nella slide 7, accanto al nome di ciascun gruppo, una forma (per esempio una freccia, come compare nella slide 17): selezionatela e cliccate sul tasto destro del mouse per inserire il link di condivisione al documento, che potete copiare e incollare aprendo il documento stesso tramite Googledocs e selezionando, in alto a destra, “condividi”. Un unico accorgimento, in questo caso: assicuratevi che accanto alla voce “chiunque abbia il link” sia spuntata l’opzione “editor”. Così gli studenti saranno abilitati non solo a vedere ma anche a modificare i documenti condivisi.

    Ricordate che se utilizzate la presentazione con più classi, dovrete aggiornare il link ad una copia bianca di ciascun documento, da salvare sempre all'interno della vostra cartella Google drive: altrimenti al secondo utilizzo si apriranno i documenti già compilati dalla prima classe.

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