di Marco Brando
Il compito di insegnare e spiegare il nostro passato richiede, tra le altre cose, che gli insegnanti siano consapevoli di trovarsi di fronte a una percezione pubblica della storia differente rispetto a quella sedimentata nei programmi scolastici e nel lavoro quotidiano delle scuole. Questa percezione non coincide quasi più con la narrazione concepita pochissimi decenni fa, quando a cavallo tra anni Ottanta e Novanta del XX secolo – era il tempo della guerra fredda e dell’apparente trionfo della democrazia liberale - non si immaginava ciò che sarebbe accaduto nel XXI: il boom di sovranismi e populismi, revisionismi e amnesie, nazionalismi e suprematismi, democrature e autoritarismi, complottismi e negazionismi moltiplicati esponenzialmente dalla rivoluzione del Web. Rivolgimenti culturali che, come raccontano le cronache, sembrano avere dei contraccolpi su nuovi progetti e programmi scolastici italiani.
Una riflessione storiografica che ha conseguenze didattiche
Oggi dunque non si tratta soltanto di adottare una didattica appropriata e di chiedere (giustamente) più tempo a disposizione per esercitarla. Occorre che i docenti metabolizzino un dato: di questi tempi più che mai per insegnare la storia occorre capire come viene “vissuta” dai cittadini, studenti inclusi; tutti sottoposti, nell’era mediatica e digitale, a tantissimi stimoli esterni all’istituzione scolastica. Non a caso il nuovo libro di Francesco Benigno, storico modernista che insegna nella Scuola Normale di Pisa, si intitola La storia al tempo dell'oggi (Il Mulino). Il sottotitolo recita: «In un tempo d'incertezza e di eclissi del futuro, la storia parla diversamente al presente. E noi cosa vorremmo ci dicesse?». Se “parla diversamente”, i primi a cercare di capire ciò che dice devono essere proprio coloro che la insegnano.
Fig.1: Mosaico rappresentante la musa Clio. Palazzo Massimo, Roma. FonteIl libro permette dunque di avviare una riflessione stimolante anche sulle sfide che gli insegnanti devono affrontare (sebbene la questione didattica non vi sia esplicitamente citata). Infatti l'autore analizza in modo approfondito le trasformazioni della storicità, ovvero il modo in cui il presente si nutre della visione del passato. Per giungere a questo traguardo, Benigno analizza alcune fra le principali tendenze della storiografia contemporanea, come la storia globale, la storia delle emozioni e la storia digitale, e offre, così, anche agli insegnanti, strumenti per aggiornare la propria formazione. Utili per la didattica, ancora, sono i suoi esempi sull’uso delle fonti odierne, uno strumento fondamentale per stimolare il pensiero critico degli studenti e costruire una "mentalità storica” adeguata ai nostri tempi e alla nostra percezione del tempo.
La “storia fai da te”
Per esempio, l’autore propone l’esempio della “storia fai da te”: un modo di guardare al passato che sta dilagando (si pensi alla cosiddetta cancel culture) contrapponendosi e sovrapponendosi alla storia studiata scientificamente e coltivata nell’accademia. In che senso? Scrive lo storico: «Si è affermato ciò̀ che è stato chiamato “presentismo”, vale a dire uno schiacciamento dell’attenzione su una sorta di presente perpetuo, assorbente il passato e il futuro; un presente che allenta o rende superflui quei legami causali che reggevano un tempo la spiegazione storica». Cosicché, «legittimata a parlare autorevolmente del passato, la memoria finisce [...] per produrre una forma di “storia fai da te” verso cui spinge il nuovo orientamento comunitario di molta pubblicistica. Viene così a crearsi un’antinomia, memoria vs storia, dotata di due diversi criteri di legittimazione: se per la storia è cruciale il riferimento alla verità̀ del passato, la memoria pone al centro un interesse pubblico retrospettivo, da cui viene la pretesa di parlare in nome di una comunità̀, di spiegare una continuità di esistenza e un’identità».
Fig.2: Daniele Boschi, “La “Cancel Culture”. I contorni di una controversia” FonteL’invecchiamento della modernità
La “storia fai da te” viene alimentata, per esempio, dai social network ed è favorita da una memoria collettiva sempre più spesso influenzata da emozioni e ideologie. Lo sfondo su cui questo succede è la «maturazione di un cambiamento di grande portata che si potrebbe definire una presa di distanza dal moderno, avvertito come un mondo ormai passato, trascorso, e perciò separato dal presente». Perché, precisa l'autore, «il moderno si è venuto rivelando, per così dire, invecchiato, e si è prolungato perciò nel presente in modo disorganico, a sprazzi e a strappi, per distorsioni e mediante negazioni. Associato nel tempo presente più all’idea di crisi che a quella di progresso, esso è venuto perdendo via via rilievo e pregnanza, finendo per suscitare disagio e incertezza rispetto alla sua datazione, ai suoi caratteri e ai suoi specifici contenuti».
Tutto ciò, sostiene Benigno, sta mettendo in crisi la tradizionale concezione della storia basata sull’analisi delle fonti e sul metodo scientifico. Comprendere questo fenomeno può permettere agli insegnanti di dotarsi di strumenti adatti per riconoscere gli effetti della “storia fai da te” e per affrontare questo problema in classe. Inoltre l’autore propone quella che potrebbe essere definita una nuova sensibilità lessicale e invita gli storici a ripensare le proprie pratiche per adattarle alla realtà contemporanea. Appaiono, questi, degli spunti che possono rendere la didattica della storia più efficace, in un contesto in cui la crisi dell'oggettività storica e la proliferazione virale di informazioni contrastanti sembrano avere la meglio sulla ricerca rigorosa.
Ma la storia è un argine
Cosa ci attende? Gli storici dovrebbero arrendersi, arroccandosi negli atenei? No. Afferma Benigno: «Gli storici costituiscono un argine socialmente decisivo all’affrancamento della dicibilità della storia da qualunque vincolo. [...] Perché la gente si aspetta che qualcuno dica qualcosa di certo e non opinabile sugli eventi del tempo trascorso, e ciò consiste essenzialmente nel porre dei punti fermi, soprattutto negativi, che affermano in primo luogo ciò che non si può dire del passato, senza pretendere di avere con sé sempre la verità». Però ai professionisti della storia si propone un’altra sfida, un problema originario: qual è oggi il senso della storia? Suggerisce il professore nelle conclusioni del libro: «Affrontare le questioni storiche come problemi significa provare a dare una risposta alle domande di oggi sul senso della storia offrendo una diversa disposizione ai legami fra la trama del passato e la realtà del presente. Piuttosto che subire, come storici, la dittatura delle domande in atto nella pubblica opinione, obbligati a trovarne risposte in un tempo passato, potremmo e dovremmo assumere le questioni storiche come problema, mostrandone e valorizzandone la loro complessità e la loro rilevanza». La nuova strada da percorrere, dunque, non è quella di cercare una risposta a una domanda annosa, ma di problematizzare questa stessa domanda.
Francesco Benigno, La storia al tempo dell’oggi, Il Mulino, Bologna, 2024.