Una ricerca sul fondamentalismo europeo
Ruud Koopmans, ricercatore nel Dipartimento “Migration, Integration, Transnationalization” del Social Science Center di Berlino" il più grande centro di ricerca sociale europeo non legato a una specifica università (presieduto fino a poco tempo fa dall’eminente storico tedesco Jürgen Kocka), è autore di una ricerca sul fondamentalismo islamico, presentata al XX convegno degli “Europeanists”, tenutosi ad Amsterdam nel 2013. Si tratta di uno studio di qualche anno fa, beninteso, svoltosi nei paesi nordeuropei. Ne riporto ampi stralci, con qualche mia osservazione, perché può essere utile per discutere, anche fra di noi in Italia, di questo fenomeno sulla base di dati e non solo di opinioni. Al termine, propongo alcune mie riflessioni didattiche. L’originaleè Fundamentalism and out-group hostility. Muslim immigrants and Christian natives in Western Europe .
Fig. 1 Nonostante le convinzioni diffuse, il fondamentalismo non è affatto un movimento esclusivamente musulmano, come illustra magnificamente questa vignetta di David Klein
La definizione dei dizionari
Originariamente, è un termine che si riferisce a movimenti religiosi protestanti americani del principio del XX secolo. Secondo i dizionari inglesi (Merriam-Webster e Oxford) è un movimento, o una forma di religione, specialmente musulmana o cristiana, che spinge per una interpretazione letterale dei testi sacri. Tuttavia, si tratta di un termine che solo di recente è entrato nell’uso comune, come testimonia la mia edizione Zanichelli, del 1987, che, semplicemente, non ne fa cenno.
Oggi, però, si può consultare con frutto la voce della Treccani, particolarmente analitica. Essa parte con la descrizione del fondamentalismo cristiano, informandoci che costituì la base religiosa dell’apartheid sudafricano, passa a parlare di quello ebraico, spiegandone i rapporti mutevoli col sionismo (al principio i fondamentalisti erano in forte opposizione al ritorno in Israele; cambiarono decisamente atteggiamento nel secondo dopoguerra). Poi fa la lunga storia del fondamentalismo islamico, collegato alla reazione araba contro l’ascesa occidentale della fine del XVIII secolo, al movimento salafita della seconda metà del XIX secolo, e, infine, ai fatti più recenti e noti.
Fig. 2 La “nube di parole” di Fundamentalism, nella rielaborazione artistica di Radiantskies
La definizione scientifica
Secondo Altemayer e Hunsberger, Fondamentalismo è “credere che esiste un’insieme di insegnamenti religiosi che contengono chiaramente le verità fondamentali, primarie, intrinseche, essenziali, sull’umanità e la divinità; che a queste verità essenziali si oppongono forze del male che devono essere vigorosamente combattute; che devono essere seguite oggigiorno in accordo con le pratiche fondamentali e immodificabili del passato; e che coloro che credono e seguono questi insegnamenti fondamentali hanno uno speciale rapporto con la divinità.” (Religious fundamentalism scale, 1992, p. 92, tradotto qui )
Il fondamentalismo non va confuso con l’ortodossia. Secondo Bryan Laythe (et al), questa consiste piuttosto in un particolare modo di considerare le credenze religiose, e va specificata religione per religione (Religious Fundamentalismas a Predictor of Prejudice: A Two-Component Model, in “Journal for the Scientific Studies of Religion”, 2002 ).
Infine, ma conviene ricordarlo soprattutto ai nostri giorni, Koopmans sottolinea che il fondamentalismo non va assolutamente connesso con la legittimazione della violenza, per difendere o diffondere la propria credenza religiosa. Ne consegue che dobbiamo tenere per ferma la distinzione tra fondamentalismo, terrorismo e jihadismo. Infatti, gli studi sui profili dei terroristi, di cui oggi disponiamo, mostrano giovani in origine poco religiosi, che passano attraverso le fasi della radicalizzazione (rifiuto della cultura occidentale) e della conversione, prima di approdare alla decisione della lotta armata (il jihadismo) e del terrorismo suicida: così Francesco Cascini, un magistrato impegnato nel contrasto al terrorismo, disegna il percorso di formazione dei terroristi musulmani (Il fenomeno del proselitismo in carcere con riferimento ai detenuti stranieri di culto islamico, pp. 24 ss)
Le ricerche sul fondamentalismo
Koopmans ci spiega che, fino agli anni ’90 del secolo scorso, gli studiosi si sono occupati principalmente del fondamentalismo cristiano. Hanno messo in evidenza come questo fenomeno sia una sorta di risposta alla secolarizzazione e alla modernizzazione, spesso associata con la marginalizzazione socioeconomica dei soggetti. Questo fenomeno, hanno spiegato ancora questi studi, è in forte connessione con l’autoritarismo dei gruppi di destra, e il rifiuto dei “diversi”, come gli omosessuali e i membri di altre religioni.
In paragone, il fondamentalismo islamico, aggiunge Koopmans, è stato poco studiato. Ci si è concentrati sulla violenza e le organizzazioni musulmane fondamentaliste. Ma non si è affrontato in generale il rapporto fra gli individui, specialmente gli immigrati e questo aspetto religioso. Inoltre, mancano studi empirici che confrontino il fenomeno musulmano con le altre religioni.
La ricerca in Europa
La ricerca della quale parliamo si è svolta presso immigrati turchi e marocchini in Germania, Francia, Olanda, Belgio, Austria e Svezia, di prima e seconda generazione. I risultati sono stati comparati con le credenze professate dai “nativi cristiani” e anche confrontati con i dati relativi a coloro che vivono in Marocco e in Turchia. Il metodo seguito è stato quello delle interviste telefoniche. Gli intervistati sono stati 9000. Le domande miravano a stabilire il grado di adesione ad alcune convinzioni, considerate rivelatrici di un atteggiamento fondamentalista. Ecco una prima serie di item:
- Il credente (musulmano o cristiano) vuole tornare alle radici della propria religione
- Ritiene che esista una sola interpretazione del proprio libro sacro
- Sostiene che le leggi contenute nel libro sacro siano superiori a quelle in vigore nello stato in cui vive
Il confronto tra cristiani e musulmani mostra una forte incidenza di tali convinzioni presso questi ultimi. Ad esempio: oltre il 70% dei musulmani è convinto che esista una sola interpretazione della propria fede e oltre il 60% ritiene che le leggi religiose debbano prevalere su quelle civili (presso i cristiani le percentuali sono contenute tra il 20 e il 10%).
L’ostilità fra gruppi
Un secondo indizio di fondamentalismo è quello dell’ostilità nei confronti dei diversi. Ecco le affermazioni chiave:
- Non voglio avere un amico omosessuale
- Non si può avere fiducia negli ebrei
- I musulmani (o i cristiani) vogliono distruggere la mia religione (cristiana o musulmana)
Anche in questo caso, le risposte non lasciano dubbi. Oltre il 60% dei musulmani è intollerante verso gli omosessuali, il 45 % pensa che non ci si può fidare degli ebrei e che i cristiani nutrano la ferma determinazione di distruggere l’Islam. Fra i cristiani le percentuali sono del 13% (omosessuali), del 9% (ebrei) e del 23 % (musulmani).
Possibili spiegazioni
Gli alti livelli di fondamentalismo e di ostilità verso gli altri gruppi, riscontrati presso i credenti islamici in occidente, sono oggetto di diverse spiegazioni. Koopmans le elenca e le valuta così:
- Marginalizzazione e esclusione sociale? No. L’educazione e il lavoro spiegano qualche variazione tra cristiani e musulmani, ma non la grande differenza riscontrata nella ricerca.
- Alienazione e stress da acculturazione? No. I livelli di fondamentalismo sono molto simili a quelli riscontrati nelle terre di origine degli immigrati
- Minori diritti religiosi dei musulmani in Europa occidentale? No. Non vi è una chiara correlazione tra le politiche di inclusione e il fondamentalismo.
- Caratteristiche insite della religione islamica? No. Molti musulmani sunniti o alauiti hanno idee simili alla religione cristiana e non nutrono ostilità verso altri gruppi. E’ vero, però, che questi non sono considerati dai loro correligionari come “buoni musulmani”.
La discussione
Come tutte le ricerche, anche questa ha sollevato un dibattito e delle obiezioni. Si è criticato, ad esempio, il metodo delle interviste telefoniche, il concetto di “nativi cristiani”, il fatto che il campione sia limitato agli immigrati marocchini e turchi, laddove il mondo musulmano è molto più vasto e variegato. Si sono citate, infine, altre ricerche (in Spagna e in Germania) dalle quali risulta che i musulmani sono meno “occidentalofobi”, di quanto non appaia dallo studio di Ruud Koopmans .
Più dettagliate, le critiche di Martjins riguardano – fra l’altro - il campione selezionato e lo stesso questionario utilizzato. Ma non mettono in dubbio un elemento: quello della vastità del fenomeno presso il mondo musulmano e la sua ostilità diffusa verso “diversi” e “occidentali”. Martjins, però, è un antropologo. Il suo punto di vista si discosta da quello dello “studioso della teologia”, come definisce Koopmans. Egli parte – dice – esattamente da dove il collega termina, per interrogarsi sul modo con il quale le persone mettono in pratica le loro credenze, come le vivono e come le interpretano nella vita quotidiana. Sono persone, dice ancora, che vivono in un ambiente (il nord Europa) che ha conosciuto perfettamente il razzismo e l’odio verso gli altri e che può testimoniare quanto – nonostante gli sforzi di oltre mezzo secolo di “pedagogia pubblica” – sia difficile liberarsene.
A corroborare questo argomento, si ricorda – sempre nella discussione in rete delle tesi di Koopmans - la grande diffusione, negli Usa, di alcune convinzioni, tipiche del fondamentalismo. Per esempio, la fede nell’interpretazione letterale del testo sacro ha, presso gli americani cristiani, una dimensione pari a quella musulmana americana, e comparabile a quella rilevata in Europa da Koopmans nell’ambiente musulmano.
Bisogna infine tenere presente, questa è la conclusione di Koopmans, che i musulmani sono una minoranza in Europa, mentre, se considerata nei numeri assoluti, la diffusione di atteggiamenti fondamentalisti presso i nativi europei è impressionante. “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”, chiude il ricercatore citando una massima apprezzata da entrambe le religioni.
Fig. 3 Il grafico del Manos (un istituto che studia gli orientamenti dei musulmani in America, collegato con la Stanford University) mostra come la convinzione sulla letteralità della parola divina (uno degli indizi del fondamentalismo) sia abbastanza equamente ripartita fra cristiani e musulmani americani.
Revisione di un’agenda interculturale datata?
Il quadro mi sembra avere due elementi certi: il fondamentalismo, fenomeno già non marginale nel mondo occidentale, oggi si manifesta in modo imponente nelle minoranze musulmane. All’interno dell’universo fondamentalista operano soggetti politici e culturali - a volte ben strutturati, a volte informali - che, come sperimentiamo quotidianamente, inondano la rete di messaggi, di conoscenze sul passato e sulla contemporaneità, e lavorano attivamente sia nel campo sociale che in quello politico.
Questi elementi dovrebbero essere sufficienti per ridiscutere una pedagogia interculturale che, elaborata (almeno per quanto riguarda l’Italia) nelle fasi aurorali del movimento migratorio attuale, era centrata principalmente sul problema dell’accoglienza (un tema, evidentemente, che resta comunque all’ordine del giorno). Il nostro compito, lo sintetizza così Brunetto Salvarani, parlando della scuola di fronte all’Islam, è quello di elaborare una pedagogia “mite, accogliente e narrativa” (L’Islam nella scuola, a cura di I. Siggillino, Franco Angeli 1999, p. 18). Le linee di questa pedagogia erano ben tracciate (e in qualche modo consolidate sulla falsariga della più generale “pedagogia dell’incontro”): analisi dei manuali; ricerca di buone pratiche; valorizzazione della cultura musulmana, e così via.
La manchevolezza di questo approccio può essere visto in quel “riduttivismo culturalista”, secondo il quale, ciascuno di “noi-altri” è definito da una “cultura”. Di qui segue l’idea che il compito della scuola consista nel salvaguardare “le culture” e favorire la loro pacifica coesistenza. Un errore frutto, in buona sostanza, di quell’abuso del concetto di “cultura”, denunciato – per quanto riguarda il nostro paese - da Marco Aime (Eccessi di cultura, Einaudi 2004 ).
Questo assunto culturalista è riduttivo, perché non tiene conto del fatto che il “fondamentalismo” propone un approccio al mondo (moderno e passato) che non è un “aspetto di una cultura popolare”, ma, al contrario è un prodotto intellettuale sofisticato, elaborato esplicitamente da soggetti di varia appartenenza etnica o religiosa. Non tiene conto del fatto che il compito della scuola è quello di avvicinare i giovani al sapere disciplinare, formarli attraverso il suo apprendimento e di fornire qualche strumento per contrastare, di conseguenza, le tante pseudoscienze circolanti. Non tiene conto del fatto che, al centro della riflessione didattica dovremmo sempre mettere il sapere che circola a scuola - i contenuti, gli obiettivi e le pratiche del suo insegnamento - e chiederci se questo ci mette in condizione di rielaborare i problemi che affrontiamo in classe.
Antidoti storici
L’esaltazione del ritorno alle origini o della interpretazione letterale del testo, per ricavare un esempio dai temi fondamentalisti, tirano in ballo alcune questioni disciplinari centrali nella storia e nelle discipline umanistiche: il mito delle origini, come denunciato da Marc Bloch; oppure l’intero armamentario che la filologia ha approntato, da un paio di secoli a questa parte, relativo ai temi della tradizione e interpretazione dei testi. La “vittimizzazione” è un nervo scoperto nei rapporti fra stati e comunità odierni, non solo un cavallo di battaglia del fondamentalismo. In passato ha fornito la trama narrativa di tutti i racconti nazionali, che, quindi, possono diventare una palestra formidabile nella quale esercitare le proprie capacità critiche.
Il racconto fondamentalista islamico non chiama in causa solo approcci e modalità di ragionamento. Esso rende sensibili alcuni fatti del passato - dalla conquista islamica, alle crociate, allo schiavismo, alla colonizzazione e alla decolonizzazione - che quindi vanno ripresi e aggiornati, storiograficamente come didatticamente. Uno degli snodi della ricostruzione fondamentalista della storia consiste nello spettacolare declino del mondo islamico, dopo i fasti dell’età medievale. “Colpa dell’Occidente!”, è il mantra islamista. E’ proprio così? la ricerca storica attuale fornisce risposte ben differenti (per queste rimando aLa Méditerranée. Une histoire à partager, a c. di M. Hassani Idrissi, Bayard 2013).
Infine, il fondamentalismo, essendo un fenomeno esploso negli ultimi decenni, obbligherebbe il docente che voglia aiutare gli allievi a capirne qualcosa, a considerare attentamente il fenomeno della globalizzazione.
Eurocentrismo e storie autocentrate
Nella vulgata interculturale, uno dei temi più accorsati è quello della critica all’eurocentrismo. Certamente, i manuali e i programmi occidentali non sono esenti da questo vizio scientifico. Ma un buon ragionamento interculturale non può non tenere conto del fatto che la visione “autocentrata” del passato è ormai comune ad ogni stato, e ne pervade, quindi, i discorsi politici e le ricostruzioni storiche. Questo fa sì che non esista un allievo straniero “storicamente ingenuo”, potenziale vittima, perciò, del nostro eurocentrismo. E’, anche lui, più o meno consapevolmente, un portatore di arabo-indo-sino-slavo-afro-centrismo. Osservato da questa angolazione, il fondamentalismo è una ricostruzione ossessivamente autocentrata del mondo.
Se questa è la situazione generale, la prassi del “mettere a confronto le culture” mostra tutta la sua inutilità. Non si ottiene un buon risultato sommando o smussando visioni che sono in principio sbagliate. Occorre superarle sia attivando un approccio critico nei confronti del proprio sguardo sul mondo, sia proponendo una visione del passato nella quale tutti i soggetti si possano riconoscere come attori, quale che sia la loro origine familiare. Un passato mondiale, dunque. Il “noi”, oggi, è “presente e percepibile alla scala mondiale”, come dichiararono Nicole Lautier e Henri Moniot, due punti di riferimento della ricerca storico didattica internazionale, chiudendo un seminario sull’ “incontro fra le storie”, tenutosi a Rabat al principio di questo secolo (Penser “nous”, penser “les autres”, in Rencontre de l’Histoire et rencontre de l’autre. L’enseignement de l’histoire comme dialogue interculturel, a cura di M. Hassani Idrissi, in « Horizons universitaires », 2007, p. 416).
In sostanza: nell’officina storico-umanistica ritroviamo una notevole quantità di “antidoti” al modo fondamentalista di conoscere e di raccontare il mondo. Oggi, potremmo dire, è venuto il momento di farli funzionare.
Fig. 4 I cattivi rapporti tra fondamentalismo e evoluzionismo
L’evoluzione è una spia
Tuttavia, non tutto si risolve nel dialogo fra allievi e professori, proprio perché non ci troviamo di fronte a “culture”, ma ad organizzazioni sociali. Lo intuiamo osservando la questione dell’evoluzione. Da noi se ne parla in terza elementare e in prima superiore. Occorrerebbe riprenderla alla fine del percorso formativo, dal momento che è diventata un tema sensibile, al confine tra scienza, filosofia, storia e religioni. I fondamentalisti di ogni colore, infatti, fanno della lotta al darwinismo un tratto distintivo. Il fondamentalismo islamico non è da meno. Lo testimoniano i numerosi libri dello scrittore turco Harun Yahya, le cui costosissime traduzioni italiane sono ben sostenute dalle comunità islamiche nazionali. In uno di questi - L’inganno dell’evoluzione. Il fallimento scientifico del darwinismo e del suo bagaglio ideologico –, che nella sua bibliografia “scientifica” si rifà interamente a lavori fondamentalisti cristiani, trovo l’affermazione che gli attentatori delle Twin Towers sono dei darwinisti, perché i veri “ebrei, cristiani e musulmani” non possono essere terroristi (p. 15).
In realtà, questo tema deve essere già stato affrontato nelle classi italiane, tanto è vero che qualche allievo musulmano chiede aiuto in rete. La rispostadel sito islamico mette in luce un risvolto della questione, che la pedagogia tradizionale non avrebbe mai sospettato, e che ci suggerisce ancora una volta di rivedere l’approccio interculturale sotto una luce “non culturalista”: “Personalmente ti consiglierei di evitare di fare lunghe polemiche con i tuoi insegnanti su questo argomento: studiala come una semplice teoria che i kuffar [gli infedeli] hanno inventato per cercare di darsi una spiegazione dell'esistenza della vita e di tutto ciò che esiste intorno a noi, e quando ti interrogano al riguardo riporta semplicemente quella che è la loro teoria; tra qualche anno non ne sentirai più parlare (a scuola, visto che il programma va' avanti; e magari nemmeno altrove)! :-)”