curricolo

  • Il curricolo interculturale e interdisciplinare di storia, geografia e studi sociali

    Autore: Antonio Brusa

     

    Un manifesto in due premesse e tredici domande

    Un sacco di gente, fa Giovanna. Emozionata come ogni volta che iniziamo il nostro convegno sull’intercultura a Senigallia*. Lo scopriremo domani. Oggi stiamo lavorando al progetto, una riunione durissima, mi dico ora che è finita e desidero solo di andare a tuffarmi nell’Adriatico appena increspato, che vedo dal balcone dell’hotel. Quest’anno il convegno si svolge all’interno di un progetto europeo, sulla revisione dei curricoli delle scienze storico sociali. Sono coinvolte diverse nazioni, ma il cuore della ricerca è qui in Italia, e soprattutto nelle Marche, terra di lavoro di Giovanna. Di qui la sua emozione. Ma siamo arrivati ormai alla settima edizione. Di questi tempi un risultato da segnalare. Vuol dire che se lavori, trovi un filone che i docenti sentono interessante e al tempo stesso concreto, vengono. Da domani, dunque, relazioni sulle diverse discipline e, al pomeriggio, una sventagliata di laboratori e giochi. Dei materiali che abbiamo preparato, penso possa interessare il lettore il “manifesto”, di questo modello di storia che cerca di intrecciare spazi e discipline diverse. Di seguito, poi, pubblicheremo lo schema generale, a partire dal quale lavoreremo, e che potrà essere utilizzato dal docente per costruire la sua programmazione (in questi giorni penso un servizio abbastanza utile).

     

    Ruud van Empel (Breda 1958) , Generation 1, 2010, Museum Het Valkof Nijmegen

     

    A. Le premesse

    Prima premessa: tre obiezioni per scoraggiare i tentativi di costruire un curricolo interculturale geo-storico-sociale

    La prima obiezione deriva dalla diversità dei sistemi nazionali di formazione. Nello spazio di oltre due secoli, i sistemi europei  hanno costruito strutture molto differenti tra di loro, non solo per i programmi, ma anche per l’organizzazione degli studi, la formazione dei professori, i libri e i materiali. Questa differenza si riflette nella “configurazione didattica” di un contenuto. In tutti i paesi, ad esempio, si studia “La rivoluzione francese”. Ma in ogni paese, questo argomento e il modo di insegnarlo, significa qualcosa di particolare e di diverso: e questo ancora oggi, nonostante il lavoro del Consiglio di Europa e i numerosissimi gruppi di cooperazione e di ricerca didattica internazionali.

    La seconda obiezione deriva dalla distanza che separa le discipline dell’area umanistica. Anche queste si sono sviluppate e consolidate nell’arco di oltre due secoli, elaborando lessici, gerarchie concettuali e fattuali, metodologie e materiali propri. Hanno, inoltre, sviluppato una notevole gelosia identitaria, che – al di là delle buone intenzioni (anche queste di durata plurisecolare) – scattano ogni volta che si tenta di fondere saperi e pratiche di insegnamento in un’unica “super-disciplina” scolastica.

    La terza obiezione deriva dal fatto che interdisciplina e intercultura hanno già prodotto, nel corso dell’ultimo mezzo secolo, una notevole quantità di materiali e di riflessioni. Strade già percorse, e – anche se in larga misura fallimentari – ormai vecchie e superate dalle novità più appetibili, quelle delle nuove tecnologie, le sole ormai sulle quali si riversano i sempre minori investimenti nel campo formativo. E si sa che senza investimenti non si fanno passi avanti, né nella ricerca, né nella didattica.

     

    Seconda premessa: buoni motivi per progettarlo ugualmente

    Un primo buon motivo deriva dallo sviluppo delle discipline del comparto. Certamente è impossibile riassumerlo in poche battute e soprattutto pretendere di estrarre delle conclusioni certe e univoche da una situazione di ricerca molto complessa e in evoluzione. Tuttavia, si potrebbe dire con molte ragioni che sembra volgere al termine la stagione postmoderna, con le sue accentuazioni sulle soggettività, la sfiducia nelle grandi narrazioni, e lo spegnimento progressivo dei fuochi del post-colonialismo e della storia subalterna; mentre prende sempre più piede una nuova stagione di studi che fondono storia e geografia, con nuove sensibilità mondiali, ecologiche e socio-antropologiche. Molti parlano di un nuovo “spatial turn”. Alcuni best-seller (da Jared Diamond a David Christian) sembrano aprire una nuova stagione di studi, in cui “il mondo” impone agli studiosi di riformulare i propri assetti disciplinari e di cercare nuove complicità interdisciplinari.

    Un secondo buon motivo deriva dal fatto che gli stessi Stati, per quanto gelosi dei loro assetti formativi e disciplinari, si rendono conto, con sempre maggiore velocità e evidenza, del fatto che le “vecchie discipline”, e in particolare quelle dell’area, non rispondono più, come nell’Otto-Novecento, alle esigenze collettive della formazione. Un tempo erano legate alla cittadinanza nazionale. Oggi, che tutto ciò viene rimesso in discussione, ci si crede sempre di meno e, conseguentemente, si riducono gli investimenti. In tutto il mondo, il comparto perde ore di insegnamento e figure professionali. Gli Stati rivolgono le loro attese formative ad altre forme di apprendimento-insegnamento, guarda caso, tutte contraddistinte da forte interdisciplinarità; tutte focalizzate su obiettivi di convivenza civile “visibili e apprezzabili dalla cittadinanza”, fra i quali indubbiamente anche l’intercultura. Nel futuro scolastico delle nostre discipline si intravede un bivio: o accettare questa progressiva emarginazione (siamo le discipline “culturali”, testimoni della buona formazione di un tempo); o riconquistare una nostra centralità, incorporando quindi le prospettive interculturale e interdisciplinari.

    Un terzo buon motivo è nella vita e nel lavoro dei singoli docenti e nei diritti dei loro allievi. Certamente, le premesse negative di sopra ci inducono a non accarezzare grandi progetti e orizzonti di gloria istituzionali. Possiamo anche dubitare che queste riflessioni non porteranno facilmente a programmi, libri, professionalità diffuse in tutta Europa (o nel mondo). Ma non possiamo dubitare del fatto che ogni docente, di fronte ai suoi allievi, si pone concretamente il problema: “ma questa materia che insegno, serve effettivamente al mio allievo?”. E ha tutto il diritto, e forse anche il dovere, di cercare una risposta, se quelle istituzionali appaiono con chiarezza insoddisfacenti o sbagliate.

    Questo progetto curricolare è dedicato a questi insegnanti. La sua stesura, fatta da uno storico, non rende pienamente merito dell’apporto formativo delle altre discipline. Vuole essere, però, la proposizione di una storia “aperta” all’ingresso e allo scambio interdisciplinare e al raggiungimento, al termine della ricerca, di un assetto curricolare interdisciplinare soddisfacente.

     

    B. Le domande

     

    1. In sintesi, qual è la proposta di lavoro?

    Si propone la costruzione di un curricolo utilizzando il concetto di scala spazio-temporale. Ad ogni scala vengono assegnate funzioni formative prevalenti, scelte in base alla loro praticabilità e facilità di insegnamento. Infatti, in realtà, la storia e le discipline sociali sono talmente complesse che lavorando si potrebbe fare tutto su tutto.

    Le scale sono quattro: mondiale, Euro-mediterranea, nazionale, locale. Essendo questa storia organizzata come “un atlante”, si presta meglio di quella “narrativa” ad un rapporto intenso con la geografia. Poiché i problemi osservati a diverse scale riguardano fondamentalmente gli aspetti della vita umana (sociale, politica, economica, culturale e religiosa, ecc) si apre una terza possibilità di rapporto con gli studi sociali.

     

    2. Perché un sapere organizzato per scale?

    Ogni problema storico individua una sua scala spazio-temporale. Ad esempio: il processo di ominazione ha una scala mondiale e tempi lunghissimi. Ogni scala ha caratteristiche epistemologiche specifiche, che si perdono nell’uso corrente di una narrazione continua, dal passato al presente, che tende ad appiattirne le specificità. Più che ad un “romanzo”, composto da capitoli di una narrazione, la storia assomiglia ad un atlante, composto da pagine qualitativamente diverse.

     

    3. Che cosa vuol dire funzioni formative prevalenti?

    Nella sua complessità, ogni conoscenza storica è talmente ricca che potenzialmente può servire a qualsiasi aspetto della formazione. Nella realtà, alcune esigenze formative si prestano meglio di altre ad ottenere alcuni risultati. Ad esempio: le scale mondiali si prestano benissimo all’esigenza di fornire un quadro semplice ed efficace di tutta la storia, e quindi a fornire un’immagine ragionevole del passato, nella quale si possono incastonare quadri storici di minore scala.

     

    4. Cosa sono e quanti sono i quadri mondiali?

    Quelli elementari sono quattro:

    • Il processo di ominazione
    • Il processo di neolitizzazione
    • Le rivoluzioni (agrarie, industriali, scientifiche e politiche) del secondo millennio
    • La globalizzazione attuale

    Questi quadri scandiscono in quattro momenti tutta la storia mondiale. Per il docente della scuola di base sono già individuati nel programma di studi come gli elementi necessari del curricolo; il programma delle superiori ha un approccio narrativo più tradizionale.

    Questi quadri individuano come “soggetto del racconto storico” l’umanità. Infatti, per ciascuno di essi si possono individuare spazi e tempi originari. Nel loro sviluppo coinvolgono – direttamente o indirettamente – l’intera specie umana. Nascono da problemi, e affrontano problemi per la cui soluzione si richiede la presenza di un soggetto globale (ad esempio: la ripartizione mondiale delle ricchezze). Come tali, dunque, hanno le caratteristiche ideali per fornire una base conoscitiva comune per tutti: cittadini di nazioni diverse; cittadini di culture e origini diverse di uno stesso stato. La storia che raccontano presenta una seconda caratteristica interessante: hanno un’apertura interdisciplinare ineguagliabile, potendo coinvolgere discipline scientifiche e l’intera gamma delle discipline sociali, filosofiche, religiose, letterarie e artistiche. Infine, sono il luogo ideale per fondare in modo storicamente accettabile l’intero complesso delle “educazioni”: alla pace, alla convivenza, al genere, allo sviluppo sostenibile e all’ambiente, all’intercultura ecc.

     

    5. Si deve insegnare solo storia mondiale?

    No. Le caratteristiche riassunte sopra suggeriscono che una parte (variabile e da decidere a seconda dei casi) del curricolo sia assegnata a questo tipo di storia. La parte restante andrebbe utilizzata per affrontare quadri di scala diversa.

     

    6. Esiste una “sintassi delle scale diverse”?

    Occorrerebbe fare molta attenzione al modo con il quale si mettono in relazione le diverse scale. Ad esempio occorrerebbe evitare il rischio di una storia “deduttiva” (posto un certo fenomeno a livello mondiale, ne consegue necessariamente una data conseguenza a livello locale) e, per converso, una storia “induttiva”, che dall’analisi del locale ricava l’andamento fondamentale. Sarà, invece, interessante osservare come lo stesso fenomeno cambi, a seconda delle scale dalle quali viene osservato.

     

    7. Perché “saper usare scale diverse” è una competenza di educazione civile?

    Un aspetto della complessità della vita sociale odierna è costituito dalla pluralità delle scale (e conseguentemente delle identità: politiche, religiose, sociali, familiari, di gruppo) nelle quali si frammenta la vita di ciascuno. Questa complessità delle scale, inoltre, si manifesta nei diversi livelli ai quali si propongono i problemi della vita sociale (la crisi economica, per esempio, ha una dimensione locale, ma anche un’altra personale, e un’altra ancora nazionale). Saper vivere, conoscere, orientarsi in contesti di scala diversa diventa una questione ineludibile di un cittadino, che deve saper distinguere i livelli ai quali di volta in volta deve operare (il contesto dell’economia familiare, ad esempio, è incomparabilmente diverso da quello dell’economia nazionale). Quindi “saper usare scale diverse” è un obiettivo di cittadinanza, al quale un curricolo geo-storico-sociale dovrebbe poter rispondere.

     

    8. Esiste una didattica particolare per insegnare la storia mondiale?

    E’ evidente che il rapporto con la geografia è privilegiato. Ma a seconda dei tagli che si danno all’intervento didattico si può mettere in rilievo il rapporto con l’economia (alimentazione, scambi, crisi economiche, ecc.) e con altre discipline. La materia – dunque – può essere trattata con tecniche molto diversificate. Un lavoro con le carte geografiche, nel caso si privilegi l’aspetto spaziale.

     

    9. Quando inserire i quadri di storia mondiale nel curricolo?

    Le opzioni sono varie e ciascuna di esse presenta vantaggi e svantaggi. Li si può inserire nel momento cronologicamente più corretto; oppure in quello pedagogicamente più utile. Si fa notare solo che, data la ricchezza problematica di questi quadri (si pensi al concetto di ominazione e alle sue implicazioni morali, filosofiche, religiose e scientifiche) è possibile che ad essi si debba e si possa far ricorso più volte, nel corso del curricolo.

     

    10. Cosa si intende per quadri di storia euro-mediterranea?

    La regione euro-mediterranea è una parte del mondo, variamente  abitata, che ha dato luogo a processi e vicende molto diverse tra di loro. Queste sono abusivamente ricomprese dalla tradizione scolastica in una storia considerata “europea”, ma che in realtà riguarda una parte solo della regione. Ad esempio, l’area slava è solitamente esclusa dalla narrazione storica manualistica di tutta l’Europa occidentale. Occorre, quindi, avvicinarsi con prudenza all’utilizzazione didattica di questo quadro, individuando fatti e problemi  di grande ampiezza. Ad esempio: il popolamento europeo; il rapporto fra mondo mediterraneo e Europa centro/settentrionale; le società medievali; la formazione dello stato moderno, ecc. E’ impossibile – al momento – individuare quadri di storia europea utili e consigliabili per tutti. Si può però lavorare per produrre un elenco accettabile, dal quale attingere, e individuare – col tempo – un numero ragionevole di opzioni anche vincolanti.

     

    11. Si possono progettare laboratori e studi di caso di storia europea?

    Nella storia euro-mediterranea, però, è possibile individuare studi di caso, sui quali impostare laboratori di portata abbastanza ampia. Ad esempio, guardando la regione da un punto di vista latamente economico, il concetto di “scambio” permette di costruire laboratori sul commercio dell’ambra o delle pellicce; sul commercio degli schiavi; sul commercio del baccalà o dei cereali settentrionali. La produzione agraria (coltivazione della vita o della patata). La storia sanitaria: la peste. Ciascuno di questi laboratori permette un bouquet interdisciplinare e opzioni formative diverse, che vanno equilibrate nel curricolo.

     

    12. La storia nazionale sparisce?

    Per quanto la storia nazionale sia talmente abituale nelle scuole, da risultare del tutto normale e a-problematica, tuttavia vanno notati alcuni fatti incontrovertibili dal punto di vista storiografico. Il primo è che gli Stati-nazione hanno una vicenda recente. La maggior parte di quelli europei non può far risalire la propria storia ai secoli precedenti il XVIII. L’estensione nel passato è un semplice abuso al quale ci siamo assuefatti. E’ ciò che gli storici chiamano il peccato mortale della storia: l’anacronismo. Tuttavia, nella regione nella quale una nazione attuale si è installata sono sicuramente avvenuti fatti, e sicuramente si sono svolti processi rilevanti. Alcuni di questi, a giudizio ovviamente delle comunità insegnanti, possono essere inseriti nel curricolo. Vanno però prese e condivise alcune precauzioni metodologiche (storiche e pedagogiche al tempo stesso).

    • Il “filo conduttore” del racconto storico curricolare più efficace e corretto è quello mondiale
    • Al contrario, il filo conduttore abituale è quello nazionale. Considerato scontato dalla maggior parte dei docenti, esso è stato messo fortemente in crisi da studiosi che insistono sulle rotture e sulle diversità fra i diversi periodi, che costituiscono una qualsiasi storia nazionale.
    • La stessa narrazione storica è strutturata per concetti (nazione, memoria condivisa, origini, eredità, patrimonio, carattere nazionale, ecc), che vanno riconsiderati attentamente, dal momento che si sono formati all’interno della visione anacronistica nazionale.
    • La ricostruzione nazionalistica alla quale (volontariamente o no) si fa sempre riferimento, è costruita su un plot comune ai diversi stati europei (e mondiali): una nazione, le cui caratteristiche originarie sono state spesso oppresse da “nemici”, alla fine trova il suo giusto riconoscimento. In questo “romanzo o genealogia della nazione” gli altri sono spesso i nemici.
    • Si tenga conto, infine, che anche gli immigrati e i loro figli sono portatori di una visione nazionalistica auto centrata, e che qualsiasi educazione interculturale non potrà mai essere concepita come mediazione fra nazionalismi, e quindi a partire dalla loro preventiva legittimazione.

     

    13. Storia locale è utile in una prospettiva mondiale?

    E’ il terreno ideale per costruire laboratori, studi di caso, presa di contatto con documentazioni e realtà, ricerche sul vivo, ecc. Tuttavia, è stato nel passato il terreno ideale per la coltivazione di un approccio identitario ed esclusivo. Per riacquistare un ruolo formativo, compatibile con il rigore storiografico e con gli ideali pedagogici, deve essere considerato come un laboratorio, e non come “la matrice di un racconto che dal passato ad oggi esprime e contiene l’identità di una collettività”. Il concetto di “patrimonio” va rivisto, dunque, in modo essenziale. Nell’interpretazione corrente è un concetto “proprietario”. Appartiene ad una collettività, ad una cultura, ad una religione. Il patrimonio, invece, appartiene all’umanità. Questo principio permette di collegare in modo forte la storia locale a quella mondiale e ci permette di dare un’ottima definizione storico-didattica del termine “locale”.

     

    E’ chiaro, infine, che la scelta dei laboratori di storia locale non può essere sottratta al docente, o alla comunità formativa nella quale è inserito, da parte di invadenti assessorati “all’identità” o alla “cultura regionale”.

     

    * Il convegno è intitolato “Una nuova etica per i curricoli della cittadinanza globale”, si svolge qui a Senigallia dal 6 all’8 settembre ed è organizzato dal CVM e dalla regione Marche. Il progetto europeo, coordinato da Massimiliano Lepratti (del quale i nostri lettori non si saranno persi le spiegazioni sulle tre crisi del Novecento), si intitola: Critical review af the historical and social disciplines for a formal education suited to the global society.

     

  • Le migrazioni fra dibattito pubblico e didattica in classe

    Autore: Antonio Brusa

     

    Introduzione

    Abbiamo lavorato un anno intero, ad Alessandria, sul tema delle migrazioni. Un bel gruppo di scuole, organizzate dall’Isral (Istituto per la storia della resistenza di Alessandria), guidato da Luciana Ziruolo. Il materiale, composto da alcune riflessioni storico-pedagogiche, dallo studio di caso, provato in decine di classi, e dalle valutazioni sulla sua efficacia, è stato pubblicato in volumetto: Didattica. Storia. Intercultura. Una sperimentazione nella provincia di Alessandria (Falsopiano, Alessandria 2015). Qui ne riporto il mio contributo, con alcune modifiche, in modo che – insieme agli altri articoli su questo argomento pubblicati su HL – il docente abbia a sua disposizione un panorama ampio della questione, dagli aspetti teorici, come in questo caso, alle applicazioni pratiche come nei lavori didattici che troverete nel sito.


    Indice

    La migrazione diventa un tema centrale del dibattito pubblico
    Il dibattito pubblico elimina la complessità del fenomeno
    La sottovalutazione politica del fenomeno migratorio
    La sottovalutazione didattica
    La migrazione odierna e la “fine dei territori”
    Un dilemma che attraversa la scuola
    La mobilità non è un’eccezione della storia
    La migrazione odierna e l’educazione civile

     

    La migrazione diventa un tema centrale del dibattito pubblico

    Barconi gremiti di uomini scivolano davanti ai nostri occhi, quando parliamo di migrazione. Impossibile fermarli nel pensiero, come impossibile è arrestarne in mare la flotta. Sono l'icona di un fenomeno le cui proporzioni angosciano tutti. Noi, come il resto del mondo. Appena una quindicina di anni fa si sosteneva che il disorientamento degli italiani fosse dovuto al fatto che, da paese di emigranti quale fu e aveva ormai dimenticato di essere stato, era improvvisamente diventato una meta di immigranti. Era una società impreparata, si disse, a differenza delle popolazioni dell'Europa del nord che, al contrario, avevano avuto il tempo di approntare strutture sociali, economiche e mentali per fronteggiare il flusso degli stranieri, fra i quali centinaia di migliaia di nostri connazionali. Le reazioni odierne mostrano che la paura di essere sommersi da uno tzunami umano coinvolge senza distinzione paesi di vecchia e di nuova immigrazione.

    La dimensione del fenomeno è tale che ha spiazzato il repertorio argomentativo, elaborato nel  dibattito pubblico novecentesco, in Europa come in Italia. Me ne accorgo leggendo il manualetto di Pierre-Yves Bulteau, En finir avec les idées fausses propagées par l'extrême droite (Les éditions de l'Atelier, 2014), una raccolta di argomentazioni di sinistra, sollecitata dalla grande avanzata dell'estrema destra in Francia. Questo libro mostra come l'intero fronte dell’opposizione fra "reazionari" e "progressisti" si sia dislocato pienamente nel campo della migrazione. I temi tradizionali della polemica fra destra e sinistra (libertà/autorità, estensione dei diritti civili, femminismo o diritti dei lavoratori) occupano poche pagine. La quasi totalità del nuovo "prontuario per la discussione pubblica" è focalizzata sul tema della migrazione: l'accoglienza, l'incidenza degli stranieri sul lavoro, sull'identità nazionale, le difficoltà di convivenza civile, ecc.


    Il dibattito pubblico elimina la complessità del fenomeno

    La destra coglie un'angoscia diffusa delle popolazioni europee. La sinistra risponde con una batteria analitica di argomenti: smonta qualche preoccupazione come quella della concorrenza sul posto di lavoro, ne attenua altre, come nel caso dell'ordine pubblico, alcune le rovescia (come per esempio quella sul razzismo degli stranieri nei confronti dei locali), di altre ne sposta le cause (non è colpa dell'emigrazione, ma delle politiche internazionali neoliberali). Fa largo uso di cifre e largo appello ai valori della solidarietà, in un contrasto speculare con i valori dell'identità, sostenuti dalla destra. Al dunque, le due tesi si attestano su azioni politiche elementari: respingere o accogliere. Una contrapposizione che riflette le antinomie primordiali fra bontà e cattiveria; fra egoismo e altruismo. Così rozze nella loro elementarità, da metterci in guardia: lungo questo fronte non si costruisce nessuna politica e, per quanto riguarda i compiti della scuola, nessuna didattica.

    Quando si parla di migrazione, dunque, sembra instaurarsi una sorta di parallelismo fra le scissioni dell'opinione pubblica e le pratiche dell'insegnamento. Ciò avviene sia perché il fenomeno migratorio è uno dei temi caldi, una delle "questioni sensibili", al centro delle attenzioni degli studiosi di didattica della storia ormai da tempo; sia perché le strutture dell'argomentazione transitano con grande facilità dal campo del quotidiano a quello dello studio. Ne deriva la sensazione spiacevole di non riuscire a scorgere una differenza apprezzabile fra un lavoro sull'emigrazione, svolto in classe, e una discussione in famiglia o al bar, in un talk show o nella contesa politica. L'alternativa secca e inevitabilmente tendente al moraleggiante, fra accoglienza e respingimento, ne è, a mio parere, una delle prove più evidenti. Ma forse proprio questo problema, uno dei più insidiosi nei processi di formazione, ci permette di intuire una strada didattica capace di aggredire in profondità il fenomeno, perché attraverso la messa a fuoco delle le analogie e delle differenze fra discorso pubblico e scientifico si riescono a intravvedere strategie di formazione più aggressive ed efficaci.


    Stereotipi diffusi sulla migrazione

    Una riprova della osmosi fra discorso pubblico e pratica didattica può essere verificata dal docente con un semplice lavoro di ricognizione delle preconoscenze (quello che nella vulgata didattica si chiama ormai brainstorming). Si vedrà, quasi certamente, l’emergere di qualcuno di questi stereotipi diffusi, che qui riporto nella versione di Cesare Grazioli. Su Novecento.org e su Historia Ludens


    1.    “Le migrazioni sono un fenomeno anomalo, la regola dovrebbe essere che ognuno stia a casa propria!”

    2.    “Siccome gli immigrati arrivano a causa della povertà e del sottosviluppo dei loro paesi, il rimedio è di favorire lo sviluppo interno dei paesi del Sud, cioè aiutarli a non avere bisogno di emigrazione”

    3.    “Qui in Italia si fanno pochi figli, mentre gli immigrati vengono da paesi dove ne fanno tanti, come l’Africa, perciò ci sommergeranno, l’Italia perderà la sua identità e in poche generazioni saremo tutti neri!”

    4.    “Con tutta la disoccupazione, soprattutto giovanile, che c’è in Italia (e nei paesi europei mediterranei),non è possibile accettare l’immigrazione, che toglie il lavoro a noi italiani”

    5.    “Qui in Italia (o in Europa) siamo già in troppi: non solo non c’è spazio per accogliere altra immigrazione, ma anzi, sarebbe meglio che la popolazione calasse; ne guadagnerebbe anche la qualità dell’ambiente.”


    La sottovalutazione politica del fenomeno migratorio

    La sottovalutazione mi sembra una caratteristica che accomuna discorso didattico e pubblico. E' una consapevolezza, questa, che comincia a farsi largo anche nei media: se ne fa interprete, ad esempio, Ernesto Galli della Loggia in un suo editoriale nel "Corriere della Sera". Nel pubblico, la sottovalutazione si mostra laddove si lascia intendere che esista un numero ristretto di soluzioni immediatamente efficaci (leviamo di mezzo i barconi; costruiamo più campi di accoglienza all'estero;  e, per contro, mettiamo a punto un'accoglienza più umana...). Questa sottovalutazione è consolatoria, perché autorizza la speranza che si tratti di un fenomeno episodico o tutt'al più contingente. Quindi risolvibile – per la destra come per la sinistra - con provvedimenti puntuali e limitati nel tempo, il che vuol dire con risorse contenute, rispetto a quelle che vanno, invece, destinate ai problemi di fondo delle nostre società.  


    La sottovalutazione didattica

    A questa sottovalutazione pubblica corrisponde, nel discorso scolastico, l'abitudine a ridurre il tema della migrazione ad un'apposita unità didattica; oppure a risolverlo nella questione dell'accoglienza dell'eventuale immigrato; oppure, ancora, ad confinarlo nel curricolo parallelo dei progetti a latere del curricolo formale, in una delle tante “educazioni” che stanno progressivamente spogliando le discipline tradizionali della loro capacità di mettere in discussione gli aspetti più inquietanti della realtà.

    La sottovalutazione trae origine, anche, da un errore intellettuale: quello di considerare il fatto migratorio come un accidente spiacevole dei nostri tempi. Una valutazione corretta, invece, dovrebbe muovere dalla constatazione che si tratta di un fatto strutturale. Al fondo del fenomeno migratorio, infatti, ci sono rivoluzioni straordinarie, che riguardano le coordinate storiche fondamentali: lo spazio e il tempo. Dal punto di vista dello spazio, vediamo che i “territori” si connettono in un continuum mondiale, e che sempre più gli individui fanno coincidere l'orizzonte di risoluzione dei propri problemi con quello planetario. A questa rivoluzione spaziale corrisponde un'altrettanto violenta rivoluzione temporale, che genera un tempo diverso, talmente ben delineato, da imporsi come una delle chiavi di volta della costruzione didattica del passato e della definizione del presente.

    In estrema sintesi, potremmo descrivere questa rivoluzione con queste parole:

    "Nel corso dell'età moderna gli europei appresero a risolvere i loro problemi all'interno di territori ben definiti: gli Stati. Fra Ottocento e Novecento questi territori hanno cominciato ad rivelarsi insufficienti. Milioni di europei hanno deciso di affrontare la questione della propria sopravvivenza negli spazi mondiali. Non fu una necessità unicamente europea. Contemporaneamente, infatti, si attivavano altri due focolai migratori: l’India e la Cina. Negli ultimi decenni del Novecento, questi tre focolai tradizionali di migrazione si sono sfrangiati e moltiplicati, diffusi nel mondo. Oggi, al principio del secolo XXI, la "mobilità nel pianeta" si propone come un'opzione per sette miliardi di persone".


    La migrazione odierna e la “fine dei territori”

    Per quanto essenziale, questo racconto mette in risalto alcuni problemi storico-didattici di grande rilevanza, non solo per la formazione storica ma anche per quella alla cittadinanza. Il prima, "il mondo che abbiamo perduto", per riprendere il titolo di un vecchio libro di Peter Laslett (Jaka book, 1973), fu caratterizzato da quel processo che molti storici chiamano "la formazione dei territori".

    E' un processo che prende le mosse dal cuore del Medioevo, intorno al X-XI secolo, quando i multiformi centri di potere riuscirono ad affermare il loro controllo su terre, che fino ad allora erano state semplicemente in loro possesso.  Si definì nell'età moderna, a partire dal XVI secolo, con la creazione dei territori europei (gli Stati moderni) e delle loro componenti: strutturali (istituzioni, governo, leggi) e umane, il cittadino con il suo corredo di diritti e doveri. All’interno degli Stati si elaborarono i dispositivi ideologici per la comprensione del mondo ma anche per la produzione scientifica e per la formazione dei cittadini. E, per quello che riguarda da vicino gli insegnanti, è dentro questo processo che nasce la storia, nel suo doppio ruolo di disciplina scientifica e formativa.

    E' dunque, ai "territori" che noi leghiamo l'insieme dei problemi connessi con il tema dell'emigrazione e che, potremmo dire, sono il succo di ogni educazione civile: chi ha diritto a vivere in un determinato territorio? Quali sono le norme per trasferisi da un territorio all'altro? Quali sono i costrutti culturali, necessari per vivere in un determinato territorio e quali le norme e le abitudini che ne regolano la convivenza degli abitanti?

    Per converso, il dopo potremmo definirlo, sulla falsariga di Bertrand Badie, "La fine dei territori" (Asterios, 1996). E' il momento storico, lungamente preparato nel Novecento, nel quale il potere degli Stati sugli elementi costitutivi del proprio territorio viene meno o comincia a indebolirsi, dal dominio sull'ambiente, al controllo dei flussi di ricchezza e di uomini, alla costruzione della "famiglia nazionale" dei sudditi prima e dei cittadini poi. E' questo insieme di dispositivi che entra in crisi, nel corso del Novecento, lasciando a noi l'immane compito di rivederli e aggiornarli. Un compito che dobbiamo affrontare comunque (migrazione o no) e il cui costo è enorme, sia se lo osserviamo dal punto di vista dei conservatori sia da quello dei progressisti.
     
    Perciò, il cambiamento investe prepotente anche il campo della formazione, soprattutto quello della formazione storica. Pone domande stringenti alle sue strutture di base (scopi, contenuti e metodi), per come furono elaborate nel corso della formazione degli stati ottocenteschi, sulla loro reale efficacia nella situazione odierna. Questa considerazione, apparentemente teorica e lontana da quelle che il docente considera le urgenze del quotidiano, è talmente pressante che si manifesta ogni volta che si tenta di sperimentare qualche innovazione, come, in questo caso, “il tema della migrazione”. Ogni volta, infatti, dietro la denuncia del tempo che manca e che è sempre troppo poco, si intuisce una sorta di rigetto, messo in atto dal dispositivo didattico vigente.


    Un dilemma che attraversa la scuola

    Non si tratta di peculiarità italiane, né di casi locali. Pressocché in tutte le nazioni è ormai di prassi il dibattito fra i sostenitori della conservazione e i ricercatori di nuovi assetti didattici. In Italia, poi, l'alternanza dei governi di centro-destra e di centro sinistra ha mostrato magnificamente la diversità e la distanza fra le due opzioni. La destra (Moratti-Gelmini), infatti, ha prodotto un programma dalla chiara matrice nazionale (2003) finalizzato alla costruzione diffusa di un' "identità giudaico-cristiana", evidentemente da far assimilare a tutti, nativi italiani e stranieri. La sinistra ha elaborato un' ipotesi di programma di storia mondiale (De Mauro 2001) e programmi di storia multiscalari per la scuola di base (Fioroni-Profumo 2007 e 2011), con una parte di storia mondiale obbligatoria per tutti, e quadri di storia a scale più ridotte, da scegliersi a seconda delle programmazioni locali, con l'invito a un largo uso di strutture di insegnamento diverse dalla lezione (dai laboratori, agli studi di caso, alle indagini sul territorio ecc).  La constatazione che un'oscillazione così marcata sia pressocché ignota agli insegnanti è la palese dimostrazione del fatto che la messa in opera dei due programmi è talmente costosa, che non è stata presa in seria considerazione dall'Amministrazione, che si è limitata, nel corso dell’ultimo quindicennio, a progetti di aggiornamento limitati e tutto sommato ininfluenti.


    La mobilità non è un’eccezione della storia

    Nella visione storica dei programmi tradizionali  - ancora largamente, per quanto inconsapevolmente, condivisa dai docenti – la vicenda italo-europea è "la storia normale". Tutto ciò che si propone di diverso, come in questo caso la migrazione, costituisce una sorta di "interruzione di percorso".

    Ora, proprio il caso della mobilità umana dimostra la fallacia di questa convinzione. Ciò  che noi pensiamo come "modello normale" (l'Europa degli Stati e dei cittadini), in realtà, è un eccezione, una sorta di luogo esotico, nell’ “enciclopedia delle storie”. La traiettoria della cronologia ci mostra che questa "normalità" ebbe un prima, costituito dall'Europa medievale, un'area di intensa mobilità, i cui centri di sedentarietà (città e villaggi) furono caratterizzati da una forte inclusività, certamente fino al XIII secolo. Anzi: secondo i teorici del Global Middle Age, fino a tutto il XVI secolo . Ed ebbe un dopo, nel quale l'Europa degli Stati cedette il passo a un doppio territorio, uno – l'Unione Europea - caratterizzato da una quasi totale mobilità interna, che costituisce una frazione notevole dell'attuale movimento migratorio; l'altro frammentato in una pluralità di stati contrassegnati da una forte mobilità in uscita.

    L'identica sensazione di estrema particolarità della "normalità europea" la otteniamo, ancora, se inseriamo il nostro subcontinente in un quadro mondiale. Non solo perché, come abbiamo accennato sopra, per tutta l'Età moderna furono tre i centri di espansione demografica planetaria (e l’Europa fra questi); ma perché l'intera vicenda della specie umana mostra come il suo evolversi sia caratterizzato dal gioco continuo fra mobilità e sedentarietà; fra i processi di deriva genetica e culturale, connessi con la separazione dei gruppi umani, e quelli inversi del meticciato, connessi con le diverse modalità dell’interazione umana (su questo si veda Manning, Migration in World History, Routledge 2013). La ricerca storica, dunque, ribalta il senso comune: la   "normalità" è un mondo nel quale la migrazione è contemplata fra le possibilità dell'esistenza. L'Europa degli Stati, con il disciplinamento rigoroso degli spostamenti, è una autentica interruzione di questa "normalità".

    Trasferiti nella concretezza del curricolo, questi ragionamenti ci inducono a pensare che la migrazione non può essere trattata come un incidente saltuario (se ne parla a proposito di indoeuropei, barbari medievali, migranti italiani e extracomunitari). Essa è un elemento strutturale della vicenda umana sul pianeta terra. Quando giunge una crisi (alimentare, demografica, politica o ambientale), l'alternativa di fondo si ripresenta inderogabile: morire o spostarsi. Questa alternativa si articola sia all'interno delle aree definite dalla politica o dalla cultura (per esempio all'interno dell'Impero romano, o nel mondo ellenico), sia fra regioni vicendevolmente esotiche (per esempio, fra Europa e America). Ad ogni spostamento, ai gruppi umani si pone la questione della convivenza fra diversi che, a sua volta, ci consegna una gamma pressocché infinita di soluzioni, pacifiche o conflittuali: dalle città doppie dell'antichità mediorientale, a quelle aperte del medioevo europeo, a imperi tolleranti e no, alle città munite di ghetti, inaugurate nella nostra modernità, alla strage dei nativi, come nel caso della Conquista dell’America, al melting pot delle città americane del Novecento.


    La migrazione odierna e l’educazione civile

    Tuttavia, proprio il confronto dei fatti che viviamo con la strutturalità del fenomeno migratorio, mette in evidenza le caratteristiche peculiari dei nostri giorni. Queste emergono in un forte intreccio con gli altri elementi costitutivi della storia mondiale novecentesca, quali: la sbalorditiva crescita demografica, che in un secolo ha portato gli umani da una parte a moltiplicarsi per sette, dall'altra a occcupare la terra in modo totalmente squilibrato (su questo rinvio al lavoro che Cesare Grazioli ha ricavato dalle ricerche fondamentali di Livi Bacci, citato sopra); l'inedito rapporto con l'ambiente che questa massa umana instaura col mondo globalizzato; l’abbattimento dei costi del trasporto;  la distribuzione tragicamente ineguale delle ricchezze e il retaggio del colonialismo europeo; fino a portati della storia più recente, fra i quali la proliferazione delle "nuove guerre" e la debolezza politica delle Organizzazioni internazionali.

    Comprendere il fenomeno migratorio, dunque, consisterà nella capacità di ricostruire questo intreccio di fattori, di breve e lungo periodo. Di capire che l’attuale processo migratorio fa parte del faticoso tornante storico, attraverso il quale stiamo entrando nel mondo del XXI secolo.

    Questa consapevolezza non porterà i docenti, né tantomeno gli allievi, a elaborare soluzioni miracolose. Potrebbe metterli entrambi, invece, in grado di valutare la credibilità di quelle circolanti, di destra o di sinistra. Di capire se costituiscono degli impegni di prospettiva lunga, delle soluzioni limitate, oppure delle operazioni di propaganda. La percezione viva della novità del nostro mondo, e in questo del tema della migrazione, sarà il miglior antidoto contro i luoghi comuni del dibattito pubblico.

    A loro volta, gli insegnanti dovrebbero cominciare a formulare strategie articolate nella cosiddetta educazione interculturale. Lo sconvolgimento provocato da questi fenomeni è tale da aver favorito la rapidissima comparsa di una enciclopedia di stereotipi, con la quale la società tenta di comprendere un fenomeno che le appare nuovo e distruttivo. E’ dunque illusorio pensare di modificare questi costrutti con “l’unità didattica interculturale”. Si tratta di un lavoro difficile e lungo, perché, da una parte, come abbiamo visto, implica una buona revisione del modo con il quale guardiamo il passato in genere; dall’altra mette in crisi degli strumenti di vita quotidiana, quali in definitiva sono gli stereotipi sulla migrazione, ai quali gli allievi sono tenacemente attaccati.

    Il sentirsi, infine, dentro un processo comune - gli allievi come gli insegnanti, gli stranieri come gli italiani - potrebbe far capire a tutti che in gioco non è soltanto la convivenza ordinata nel presente (un bene che dovrebbe essere condiviso), quanto piuttosto la progettazione di un futuro che già richiede la compartecipazione di tutti.

    In questa somma di consapevolezze, probabilmente, consiste l'apporto all'educazione civile che la conoscenza storica può offrire.

  • Uno strumento per una programmazione integrata di storia, geografia e economia

    Autori: Antonio Brusa con Catia Brunelli, Andrea Fumagalli, Massimiliano Lepratti

     

    Emilio Leofreddi, Giro del mondo in ottanta minuti

     

    Nel “manifesto”, come con tanta ironia lo abbiamo chiamato, di storia interculturale/interdisciplinare, abbiamo esposto i principi e le avvertenze di massima. Ora è la volta di uno strumento pratico: uno schema/matrice, per costruire una programmazione quinquennale.

    Come avete visto nel manifesto, ci si sforza di pensare alla storia non come una narrazione continua, ma come un Atlante, fatto di carte mondiali, regionali e nazionali/locali. E’ un Atlante particolare, però, perché deve – comunque – tenere conto della cronologia. Di conseguenza, ogni grande periodo della storia umana è organizzato secondo una visione transcalare. E, periodo per periodo, si mostrano le connessioni possibili con altri due campi disciplinari: la geografia e la storia economica. Probabilmente il rapporto stretto con la geografia è già ben compreso dagli insegnanti, oltretutto sommersi da proposte di libri di Geostoria variamente confezionati. Diverso è il caso dell’economia. Questa è una scelta del gruppo di lavoro del CVM (Centro Volontari per il Mondo, curato da Giovanna Cipollari), con il quale sto lavorando. Scelta motivata dal fatto che ci sembra importante sottolineare come, proprio in vista di una formazione civile completa, siano necessarie delle conoscenze economiche, laddove l’esperienza degli ultimi trent’anni ha mostrato il declino progressivo dell’interesse nelle scuole, e nella manualistica, verso questa disciplina.

    Lo schema dovrebbe funzionare in questo modo: guardate la casella Storia/Mondo. In questa si trova il cuore del curricolo. La parte essenziale del programma. Manca il tempo (e ci aggiungete tutte le difficoltà di rito): allora questo è il programma minimo. Per due ordini di motivi: se li mettete in fila, dal passato verso il presente, quegli argomenti “tassellano” completamente il tempo/spazio passato. Quindi, la loro conoscenza è in grado di fornire l’obiettivo minimo dell’insegnamento: una conoscenza razionale e organizzata del passato, che aiuti gli studenti a orientarsi (l’effetto mappa, potremmo dire). Il secondo motivo riguarda l’apertura mondiale di questi argomenti, in grado di “ricomprendere” l’esperienza e gli sguardi sul mondo dei nostri allievi, nati in Italia e no.

    Una volta programmato il contenuto minimo, provate ad aggiungere gli argomenti, pescandoli dalle altre caselle, e quindi dalle altre dimensioni scalari. Solitamente, nella scrittura di un progetto formativo, il docente si comporta come se scrivesse i capitoli di un libro, dal passato verso il presente. E’ difficile, in questo modo, tenere conto del tempo a disposizione e quindi delle possibilità effettive di insegnamento e si lascia al naturale svolgersi dell’anno scolastico il grave compito della scelta. Quando finisce l’anno si chiude il programma, si rimanda all’anno successivo, e alla fine non si arriva mai allo studio del mondo attuale.

    Questo schema vi permette di affrontare il problema della scelta PRIMA di iniziare l’anno. Quanto tempo dura una vostra unità didattica tipo? Dividete il monte ore a disposizione (in genere non più di cinquanta) per la durata di una vostra unità, e avrete il numero dei contenuti possibili. Non si scappa e non c’è progetto che tenga. Si uscirà da queste strettezze quando qualche ministro aumenterà le ore a disposizione.

    Se, dove ne avete l’occasione, avete anche la possibilità di insegnare geografia, allora lo schema vi permette di sommarne le ore a quelle di storia. E quindi di scegliere anche dalle caselle, che - nel nostro schema - sono azzurre. In ogni caso, anche se qualche mano gentile ha cancellato la geografia dal vostro programma, date loro uno sguardo: vi troverete suggerimenti per affrontare l’argomento storico previsto da un altro angolo di osservazione e, soprattutto, i suggerimenti per un rapporto con il presente consolidato e ben controllato (appunto, controllato da un sapere disciplinare).

    Allo stesso modo, date uno sguardo (anche se non insegnate economia) alla casella rossa. Segue passo passo l’argomento storico scelto e permette di inserire nella vostra trattazione didattica concetti, termini e fatti che rivestono un interesse formidabile nella formazione del cittadino. Noterete che, a volte, gli argomenti suggeriti da Andrea Fumagalli, che insegna economia a Pavia, sono già incorporati nella storia insegnata di solito.

    E’ appena il caso di sottolineare che questo schema non è una bibbia. Ho provato con i colleghi del gruppo a riempirlo, in modo da vedere come funziona. Ci stiamo ancora lavorando su. Poi lo proporremo a focus group di insegnanti in sei paesi europei, per vedere come questi ci si ritrovano, se propongono modifiche: i lettori di HL sono i primi invitati a questa prova. Per il momento, sarei contento se aiutasse qualcuno a scrivere la sua programmazione, in questo inizio d’anno.

     

    Preistoria

     

    Disciplina

    Argomento

    Mondo

    Regione

    Nazionale/Locale

    Storia

    Processo di ominazione.

    Africa.

    Popolamento del mondo.

    Popolamento europeo.

    Un sito paleolitico.

    Geografia

    I grandi ambienti della Terra.

    I biomi terrestri scenario del processo di ominazione.

    Le regioni africane ed europea (caratteristiche geomorfologiche e relazioni geoantropiche tra peculiarità del territorio e rispettive opportunità di vita per l’uomo).

    Il territorio di riferimento del sito locale scelto per l’approfondimento storico.

    Storia

    Processo di neolitizzazine.

    Antico Vicino Oriente.

    Focolai di civilizzazione neolitica nel mondo (America, Cina ecc.).

    Migrazioni neolitiche e colonizzazione agricolo/pastorale dell’Europa

    Un sito neolitico.

    Economia

    La moneta

    Sviluppo di un abbozzo di sistema di scambio monetario chiuso: Merce-Denaro-Merce

    1. Prime regolazioni dell’attività di scambio (Mesopotamia)

    2. Sviluppo commercio nel Mediterraneo Orientale

    Scambi neolitici in Italia: ossidiana, pietra verde, selce

    Geografia

    Biodiversità

    I grandi ambienti della Terra.

     

    Differenzazioni spaziali e climatiche nel neolitico.

     

    I biomi terrestri scenario del neolitico.

    Le regioni del continente asiatico ed americano (caratteristiche geomorfologiche e relazioni geoantropiche tra peculiarità del territorio e rispettive opportunità di vita per l’uomo).

    Il territorio di riferimento del sito locale scelto per l’approfondimento storico.

     

     

    Il mondo antico e medievale

     

    Disciplina

    Argomento

    Mondo

    Regione

    Nazionale/Locale

    Storia

    Storia antica e medievale (500 a.C. -1500 d.C.)

    La formazione del sistema euro-asiatico africano.

    I poli chiave: Occidente Mediterraneo; Estremo Oriente.

    La strutturazione del sistema continentale nel Medioevo.

    La rottura del sistema con la conquista dell’America

    1. Gli imperi (romano, islamico, cinese, indiano, mesoamericani ecc.).

     

    2. Le città (antiche; medievali).

     

    3. Il mediterraneo (antico e medievale).

     

    4. La formazione dell’Europa (Mondo latino, germanico, slavo, ugro-finnico).

    Studi di casi; patrimonio; città; siti.

    Economia

    Nascita degli strumenti giuridici e commerciali

    Espansione attività commerciale europee in Cina e prime innovazioni tecniche (polvere da sparo, signoraggio monetario)

    1. Codificazione dell’attività di scambio (Grecia Antica e diritto romano).

    550 a.C. signoraggio statale (Re) sulla moneta (Lidia).

    2. Antichità classica e sistema schiavistico. Bimetallismo.

    3. Economia agraria e rapporti di produzione; commercio beni di lusso;

    Studi di caso (una villa romana; una città mercantile medievale; un’azienda agraria medievale ecc)

    Geografia

    Urbanesimo e urbanizzazione nello spazio e nel tempo.

    Fenomeno urbano.

    Regioni urbanizzate; città e territorio, tipi di città.

    Studi di caso significativi inerenti al fenomeno urbano di ieri e di oggi, di qui e d’altrove (slums, zonas, città globali ecc.).

     

     

    Il mondo moderno (XVI-XIX sec)

     

    Disciplina

    Argomento

    Mondo

    Regione

    Nazionale/Locale

    Storia

    La formazione del mondo moderno.

    1. I quattro centri principali del mondo: Cina, India, Euro -mediterraneo, America.

     

    2. La rivoluzione geografica e il sistema mondo.

     

    3. Migrazioni volontarie e schiavili.

    1. Le politiche espansioniste degli stati europei.

     

    2. La guerra dei 7 anni e la nascita del primo impero mondiale (Inghilterra).

    1. Gli antichi stati italiani.

     

    2. Studio di caso.

     

    3. Biografie e individui esemplari.

    Economia

    Nascita delle economie mondo (il mercantilismo aggressivo europeo)

    1. Signoraggio statale della moneta e passaggio dalla moneta merce aurea alla banconota aurea convertibile.

    2. Secolo d’oro olandese e spostamento dell’asse economico dell'economia mondo dal Nord-Centro-Italia (Mediterraneo) al Nord Europa (mare del Nord)

    3. Sviluppo del mercantilismo: passaggio da un sistema M-D-M ad un sistema M-D-(M,D). Moneta come riserva di valore

    1. Sviluppo economie nazionali in Europa (formazione Stati Nazioni)

    2. Europa: grande inflazione aurea inizio 1500.

    3. Europa: declino dominio economico spagnolo e inizio supremazia economica inglese dopo la rivoluzione del 1640

    4. Nascita dualismo Nord-Sud Europa

    5. Sviluppo del sistema finanziario europeo

    6. Crisi Olanda e supremazia Inglese (bolla dei Tulipani)

    1. Espropriazione dei commons e inizio processo di urbanizzazione

    2. Inizio dualismo città-campagna

    Geografia

    Sistema mondo.

    Centro-periferia.

    1. Sistema centro-periferia (variazioni nello spazio e nel tempo).

    2. Colonialismo e riflessi su scala mondiale. Nord Sud del mondo. Cartografia e potere politico.

     Il colonialismo europeo in America latina.

    Studi di caso relativi a differenti forme di rapporto con l’altro diverso e ai riflessi spaziali/territoriali di tali relazioni.

    Storia

    L’economia e l’ambiente del mondo moderno.

    La rivoluzione industriale e agraria.

     

    Storia economica italiana.

    Studio di caso.

    Economia

    Il sistema capitalistico

    1. Nascita del mercato del lavoro moderno con remunerazione in moneta.

    2. Sviluppo di un processo di accumulazione basato sulla manifattura.

    3. Sviluppo di un’economia monetaria di produzione: D-M-D’.

     

    Prodromi e nascita del capitalismo nazionale

    Geografia

    Rapporto bisogno-risorsa.

    La questione aperta della disponibilità e della gestione equa delle risorse.

    I riflessi del rapporto bisogno-risorsa: il paesaggio agrario e quello industriale.

    Paesaggi del locale come espressioni delle differenti modalità di intendere il rapporto tra uomo e ambiente, tra bisogno e risorse.

    Storia

    Il dominio europeo del mondo

    La formazione dello stato moderno.

    Rivoluzioni euro/americane: Olanda, Inghilterra, Stati Uniti, Francia.

    Formazione dello Stato italiano.

    Studi di caso.

    Economia

    Il colonialismo capitalista

    1. Crescente ruolo dello Stato come agente economico.

    2. Monopolio statale di emissione di moneta e nascita Banca Centrale.

    3. Prima fase di globalizzazione coloniale (Inizio dualismo Nord-Sud su scala planetaria)

    4. La rivoluzione russa propone un altro modello economico.

     Aumento centralità del modello di accumulazione capitalistica in Europa e Nord America

    La prima industrializzazione italiana; la divisione economica Nord/Sud

    Geografia

    Confini/organizzazione territoriale

    Le organizzazioni politiche su scala mondiale.

    La Nazione.

    L’assetto territoriale nazionale.

    I conflitti politici e militari

     

     

    Il mondo attuale

     

    Disciplina

    Argomento

    Mondo

    Regione

    Nazionale/Locale

    Storia

    Il governo del mondo.

    1. Le due guerre mondiali.

     

    2. Democrazie e dittature.

    1. Fascismo, Nazismo, Stalinismo.

    2. Resistenze

    3. Il periodo postbellico

    Memoria/commemorazione

     

    Studi di caso.

     

    Biografie.

    Economia

     

    1. Crisi del “capitalismo artigianale“ del XIX secolo, fondato sull’operaio di mestiere.

    2. Rivoluzione tecnologica taylorista e passaggio all’operaio massa.

    3. Crisi degli anni ’30 e nascita del fordismo e delle politiche keynesiane.

    4. New Deal contro corporativismo/nazionalismo economico. Le origini economiche della II guera mondiale

    5. Mao e il comunismo al potere in Cina (nasce il “Secondo mondo economico)

    1. Corporativismo/nazionalismo economico in Europa

    2. URSS: svolta di Stalin, dopo l’esperienza della NEP: industrializzazione forzata e piani quinquennali

    Il corporativismo/nazionalismo fascista

     

    L’economia coloniale italiana

    Geografia

    La geopolitica

    Il quadro geopolitico mondiale

     

    La dimensione spaziale della cittadinanza planetaria

    Geografia economica europea e politiche di coesione

    Lo sviluppo locale nella prospettiva di uno sviluppo neoregionale

     

    Interazione locale /regionale/globale

    Storia

    Economia e ambiente.

    Crisi e sviluppo

    1929, 1973, 2008.

    L’Unione Europea.

    Economia nazionale.

    Studi di caso.

    Economia

    L’instabilità del sistema economico mondiale

    1. Polarizzazione economica nel II dopoguerra.

    2. Dualismo economico tra Nord e Sud del mondo e inizio decolonalizzazione militare dell’Africa ma non indipendenza economica.

    3. Crisi del Fordismo fine anni’60 in Usa e inizio anni ’70 in Europa. Crollo di Bretton Woods e crisi delle politiche keynesiane

    4. Sviluppo e egemonia del pensiero economico liberista anni’80 e anni ‘90

    5. III rivoluzione tecnologica: dal taylorismo alle ICT.

    6. Internazionalizzazione della produzione e finanziarizzazione dell’eco-nomia mondo

    7. Crescita e sviluppo di alcune economie periferiche (BRICS, Cina, India, Brasile, SudAfrica, Russia). Ridefinizione degli assetti gerarchici geo-economiche planetari

    8. Crisi della governance finanziaria 2008-2014

     

    Sviluppo economico italiano; effetti delle crisi nell’economia italiana

    Geografia

    Sviluppo.

    Vari modelli di sviluppo e differenti significati del concetto derivanti da vari indicatori (PIL, ISU ecc.).

    I programmi di sviluppo dell’Unione europea.

     

    La politica economica dell’Unione europea.

    Esempi di Green economy.

    Storia

    Uomini e culture.

    1. Migrazioni attuali.

     

    2. Le nuove guerre.

     

    3. Stati multietnici.

     

    4. La planetarizzazione culturale (internet, culture, alimentazione ecc.).

    L’Unione Europea.

    Italia paese multietnico; politica italiana internazionale; studi di caso.

    Economia

    Dal trentennio progressista all'avvento del neoliberismo

    Il rapporto Nord/Sud al tempo della globalizzazione.

    Delocalizzazione del lavoro e dei capitali.

    Dal Trattato di Roma al Fiscal Compact, passando da Mastricht, Patti di Stabilità di Amsterdam, Unione Monetaria Europea

    Le trasformazioni del lavoro in Italia: dalla flessibilità alla precarietà.

    Geografia

    La mobilità umana.

    1. Le migrazioni internazionali. Elementi di demografia.

     

    2. Il fenomeno della globalizzazione.

    1. Le Euroregioni - organismi transconfinari voluti dall’Ue con fini di integrazione socio-culturale e di gestione/sviluppo sostenibile del territorio – come modalità di superamento dei confini, soggetti rappresentativi di un’esigenza di collaborazione, di sentirsi uniti nel rispetto delle peculiari diversità.

     

    2. Il glocalismo, le multinazionali.

    1. Flussi migratori e rispettivi riflessi spaziali e socio-culturali economici nel proprio Paese.

     

    2. Studi di caso.

     

    Questo materiale fa parte del materiale utilizzato nel convegno “Una nuova etica per i curricoli della cittadinanza globale” -  Senigallia 6, 7, 8 settembre 2013 - organizzato dal CVM e dalla regione Marche. Il progetto europeo, coordinato da Massimiliano Lepratti, si intitola: Critical review af the historical and social disciplines for a formal education suited to the global society. Il gruppo di lavoro che ha collaborato alla stesura di questo schema è formato da due economisti (Andrea Fumagalli e Massimiliano Lepratti, e una geografa Catia Bonelli).

     

    Emilio Leofreddi, Sun Tzu

     

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