didattica museale

  • 'Tra le linee': il Museo Ebraico di Berlino

    Autore: Fabio Fiore

    Il Museo Ebraico di Berlino (d’ora in poi MEB) è un luogo che non cessa di commuovermi. Non è in senso stretto un “museo”, anche se sin dall’intestazione di fatto lo è. E’ qualcosa di più e di diverso: un luogo della commemorazione e del pensiero. Chi lo ha già visitato, forse mi capirà. A chi non ancora, provo qui a raccontarlo. Per farlo, oltre al sito ufficiale, mi avvalgo di due altri strumenti, l’Audio-Guida e la Guida Essenziale fornite dal museo: anche la loro notevole qualità divulgativa ha l’inconfondibile sapore di quella cultura ebraico-tedesca al centro della narrazione del MEB1 .

     

    L’accesso.
    L’accesso consiste in una ripida scala di quasi sette metri di lunghezza che passa sotto il muro portante dell’edificio barocco e conduce in un labirinto sotterraneo. Ma dall’esterno non pare esserci collegamento tra vecchio e nuovo museo, tra l’antico ‘Kollegienhaus’e l’ampliamento progettato dall’architetto statunitense Daniel Libeskind e inaugurato nel 20012.

    Fig. 1 L’antico Kollegienhaus e l’ampliamento di Daniel Libeskind

    A proposito di questa entrata insolita, Libeskind osserva: «non volevo creare uno dei soliti ponti tra edificio vecchio e nuovo. Non sarebbe stata la soluzione per me…questa storia manca di collegamenti visibili, non c’è alcuna connessione tra la storia ebraica e quella della città di Berlino, nulla di cui si potrebbe dire:“ecco, è questo!”. Dalla strada il collegamento è completamente invisibile» (AG).Quest’apparente assenza di un nesso architettonico tra i due edifici mira in realtà a rivelare un’assenza, a esprimere un vuoto: «l’idea era molto semplice. Il museo doveva essere costruito intorno a un vuoto che attraversa l’intero edificio. Da un punto di vista puramente fisico, della presenza degli ebrei non è rimasto molto, piccole cose, materiali d’archivio, testimonianze più di un’assenza che di una presenza. Dal mio punto di vista, questo vuoto che è parte integrante della cultura contemporanea di Berlino, deve essere reso visibile e accessibile» (Libeskind, AG).

     

    Tra le linee: i “Voids”.
    Between Lines è il titolo di quest’opera straordinaria. E in effetti la struttura dell’edificio si basa su due linee: una diritta e un’altra a forma di fulmine

    Nei punti di incontro tra le due linee si formano degli spazi vuoti,che si estendono a tutti i piani del MEB, detti Voids: «Il Void è uno spazio che organizza il museo e allo stesso tempo non fa parte di esso. Non è riscaldato, climatizzato. E’ qualcosa di diverso che tuttavia è strettamente correlato agli spazi espositivi. Perché il Void fa in fondo riferimento a ciò che non sarà mai possibile esporre. Si tratta della storia della Berlino ebraica, della quale non è rimasto altro che cenere» (Libeskind, AG)3 . Di tali spazi deliberatamente non espositivi, il MEB ne ha previsti cinque di cui uno solo accessibile, il Memory Void, che ospita l’installazione dell’artista israeliano Menashe Kadishman-Shalechet, "Foglie morte"-iniziata nel 1997 e lasciata incompiuta.

     

    Gli “Assi”.
    I sotterranei del MEB sono attraversati da tre corridoi denominati “assi”: l’asse della continuità, l’asse dell’esilio, l’asse dell’Olocausto. Rappresentano i diversi destini degli ebrei tedeschi sotto la dittatura nazionalsocialista. Come le scale, anche gli assi hanno pavimenti in ardesia e sono in leggera pendenza. Restando costante l’altezza dei soffitti nel sotterraneo, ogni corridoio si fa più basso verso il fondo.L’asse della continuità lega il vecchio edificio con la ripida scala principale che conduce ai vari piani del museo. L’asse dell’esilio porta verso la luce, al Giardino dell’esilio.Il terzo asse, quello dell’Olocausto, è un vicolo cieco. Il visitatore è libero di muoversi nelle direzioni che crede.

    Fig. 2. I sotterranei sono attraversati dagli “assi”. L’asse dell’Olocausto è un vicolo cieco

     

    LaTorre dell’Olocausto.
    Uno degli elementi architettonicamente autonomi del MEB è rappresentato dalla Torre dell’Olocausto. Vi conduce il corridoio denominato “asse dell’Olocausto”. La torre è stata realizzata in cemento, è provvista di riscaldamento ed è chiusa su tutti i lati, prendendo luce esclusivamente da una stretta fenditura posta in alto.

    Fig. 3 La Torre dell'Olocausto

    L’ingresso è stato collocato nel piano interrato cosicché dall’esterno la costruzione appare del tutto indipendente dal piano dell’edificio. Il soffitto ha un’altezza di 24 metri. Creato per ricordare le vittime dell’Olocausto, tale edificio è essenzialmente un «voidit void», un «vuoto svuotato», in cui si sentono «i rumori soffusi di Berlino intorno a noi», «i rumori lontani di bambini che giocano nel cortile della scuola», in cui «si vede il bagliore della luce in alto». Ognuno è invitato a «interpretare l’esperienza a modo suo» (Libeskind, AG).

     

    Il Giardino dell’Esilio.
    L’asse del giardino sale in leggera pendenza e conduce all’aperto, al Giardino dell’esilio, un giardino di cemento a pianta quadrata dalla superficie lievemente inclinata. La struttura in cemento impedisce una visione di insieme. 49 steli ne fanno un vero e proprio labirinto. Le steli contengono della terra e in ciascuno di esse è stato piantato un ulivo. L’inclinazione del terreno di circa 12 gradi può provocare un leggero senso di vertigine che mira a trasmettere un poco del senso di stordimento provato da chi, tra il 1933 e il 1941, per sfuggire alle persecuzioni naziste,  si è lasciato alle spalle la storia di Berlino affrontando l’esilio. La forma quadrata di questo giardino è l’unica a rappresentare angoli retti in tutto il museo: «io credo che i  visitatori dopo l’esperienza sensoriale del giardino, dopo averne sperimentato gli effetti, si sentiranno singolarmente estraniati dal contesto a causa della sua forma semplice» (Libeskind, AG)4


    Fig.4 Il Giardino dell'esilio

     

    L’asse della continuità: il corpus documentale.
    Il più lungo dei tre, è anche la via che attraverso una ripida scala conduce all’esposizione permanente del MEB: «questa è la scala principale che vista dall’entrata risulta davvero stretta. Avvicinandosi però si nota che questa scala tende verso l’alto, verso la luce e porta ai diversi piani. Prima però è necessario passare attraverso tutto l’orrore, lo sterminio, il vicolo cieco della Torre dell’Olocausto, il Giardino dell’esilio, la diaspora di uomini e idee, la continuità con il futuro che ancora esiste. Il tempo non si è fermato» (Libeskind, GE).

    Giunti alla sommità della scala, suddiviso in 13 epoche e in diverse sezioni tematiche, l’imponente corpus documentale del MEB ci racconta due millenni di storia ebreo-tedesca dal punto di vista della minoranza ebraica, ponendo «le vicende storiche accanto ai destini personali» e selezionando «gli oggetti significativi dal punto di vista della narrazione espositiva» (GE). Mi limito ai titoli: Il mondo ebraico nel medioevo (le condizioni di vita degli ebrei aschkenaziti), La vita ebraica sul territorio in età moderna (radicamento territorialee stratificazione sociale); Vita ebraica, tradizioni ebraiche (legge religiosa e vita delle comunità, le trasformazioni nel tempo); Moses Mendelssohn (l’illuminismo ebraico); Gli ebrei tedeschi nel XIX sec. tra adattamento e autodeterminazione (conversioni al cristianesimo, movimento socialista, l’idea di nazione, l’antisemitismo politico); La modernità dispiegata: dall’Impero guglielmino alla Repubblica di Weimar (industrializzazione e società di massa, il campo di tensione tra spinte integrative e nuove forme di discriminazione); Reazioni degli ebrei tedeschi al nazismo (di istituzioni e di singoli,  tra il ’33 e il ‘41); Le donne nell’ebraismo (la condizione femminile, tra devozione tradizionalistica e secolarizzazione moderna); Lungo il museo con gli «stivali delle sette leghe» (duemila anni di storia materiale e ‘abitativa’ ebreo-tedesca); Ebraismo, Cristianesimo, Islam: confronto storico-culturale (rapporti secolari, influenze reciproche, conflitti: per un laboratorio del tempo presente); Considerazioni architettoniche (sul progetto di ampliamento del MEB, a partire dall’interrogativo: «è possibile dare una forma architettonica all’identità ebreo-tedesca?».

    Fig. 5 Documentazione della vita ebraica

     

    Informazioni spicciole.
    Con meticolosità teutonica, il MEB sembra calcolare ogni tipo di esigenza (il pubblico dei musei, si sa, è variegato): degli insegnanti, a cui vengono offerte visite guidate, approfondimenti tematici in presenza e online, documentazione e materiali vari; del resto, ci si potrebbe costruire intorno un anno di lavoro, in una quinta, trovando il modo di portare i ragazzi in gita a Berlino, più economica di altre capitali europee, Roma compresa. Dei genitori, che vedranno i loro bambini “trastullarsi intelligentemente” con tutta una serie di spazi, giochi, dispositivi appositamente creati per il loro apprendimento. Il Rafael Roth Learning Center gestisce impeccabilmente gli ambienti multimediali: in ogni sezione, il visitatore avrà a disposizione il corpus documentale interamente digitalizzato, approfondito, illustrato e quant’altro. Persino la caffetteria (il “Café Schmus”) ha un che di speciale: si apre su di un enorme teatro inondato di luce, di fronte a un ampio giardino alberato, come se volessero dirti: «abbiamo cercato di metterti a disagio, di farti percepire il vuoto e l’assenza – di memoria, di uomini, di interi gruppi di persone; ti abbiamo condotto attraverso i molteplici inferni della storia per riempirti la testa di informazioni, immagini, concetti, ricordi; miravamo a fare della tua visita un’esperienza profonda. Ti meriti un po’ di ristoro: prenditi ancora del tempo, non avere fretta di uscire».

    Fig. 6 Il Café Schmus

     

    NOTE

    1. Le ‘Audio-Guide’ (d’ora in poi AG) sono disponibili in ebraico, francese, giapponese, inglese, italiano, russo, spagnolo e tedesco; le ‘Guide’ (Museo ebraico di Berlino. Guida essenziale, a cura del MEB, Nicolaische Verlagsbuchhandlung  GmbH, Berlin 2010,d’ora in poi GE, cfr.www.jmberlin.de) in turco, olandese,danese, ebraico, francese, giapponese, inglese, italiano, polacco, russo, spagnolo, tedesco e per sordomuti.
    2. Daniel Libeskind (1946) è un architetto polacco naturalizzato statunitense, annoverato tra i principali esponenti del “Decostruttivismo”, cfr. www.libeskind.com.
    3. Il vecchio cimitero ebraico di Berlino è un esempio toccante di questa assenza/presenza: la tomba del grande Moses Mendelssohn, alcune lapidi appese  a un muretto, un giardino verdissimo  in un angolo appartato della città:  nient’altro!
    4. A pochi passi dalla Porta di Brandeburgo, notevole è anche il c.d. “Holocaust-Mahnmal”, il monumento per le vittime delle persecuzioni naziste di un altro architetto statunitense, Peter Eisenman, che riprende e sviluppa stile e motivi del Giardino dell’esilio.


                         


    3 settembre 2016

  • Il Guinness dei Primati. L’evoluzione umana non è mai stata così divertente!

    di Romana Scandolari

    Avete mai sentito parlare di Olibrio, di Glicerio, o di Serpentio? E di Galla Placidia o Elia Verina chi si ricorda? Beh, nemmeno io li conoscevo, almeno fino a quando ho assistito a un laboratorio di Antonio Brusa con un gruppo di insegnanti di scuole secondarie. Il titolo era Gli imperatori sfigati! Ovvero quelli che intrigarono e uccisero per conquistare il potere di un impero, quello romano d’Occidente, che però si sbriciolò fra le loro mani. Doppiamente sfortunati, perché ora non se li fila più nessuno e raramente compaiono sui manuali scolastici. Sottotitolo del laboratorio era: Drammatizzazione soft per raccontare una storia che si studia poco, ma che ci interessa da vicino.

    Il laboratorio fu decisamente divertente e incredibilmente istruttivo! Lo potete trovare e ripetere in classe, perché è pubblicato qui, su «Historia Ludens».

    Il gruppo dei piccoli ominidi, dopo il giocoIl gruppo dei piccoli ominidi, dopo il gioco

    L’espediente ludico-narrativo deriva dalle “Interviste impossibili”, che io ascoltavo alla radio a metà degli anni ’70 e che nel 2011 mi avevano dato lo spunto per il laboratorio “La strana storia di Dr. Sapiens e di Mr. Neanderthal

    Il Format è il seguente: un Intervistatore chiama in causa dei personaggi che si presentano al pubblico leggendo la propria (brevissima) autobiografia. Alla fine il pubblico vota per eleggere il più sfigato.

    Non ci ho messo neanche mezzo secondo a cogliere il suggerimento di applicare il medesimo modello a un tema complesso e affascinante, e decisamente più da museo delle scienze, quale l’evoluzione umana. Così, dalla produzione scientifica, immensa e in continua evoluzione, abbiamo ricavato (io e Antonio Brusa) 23 testi, biografie di altrettanti ominidi, ai quali abbiamo lavorato per portare in luce una peculiarità, un aspetto per i quali un nostro antenato meritasse di essere ricordato e di comparire nell’articolato schema ad albero (che va a sostituire quello a staffetta ancora tristemente presente nei manuali scolastici) dell’evoluzione.

    Il risultato finale sono 14 brevissime auto-biografie, a tratti ironiche, a momenti divertenti e sempre in grado di stimolare una riflessione, di primati che, da Homo Neanderthalensis fino a Sahelanthropus Tchadensis, rivendicano un posto di riguardo su uno dei rami del grande albero dell’evoluzione. Pretendono di essere ascoltati e mal sopportano di essere valutati da Sapiens che faticano a uscire da una visione parziale, egocentrica, carica di pregiudizi e annebbiata dagli stereotipi.

    Per facilitare l’interpretazione e l’eventuale discussione, nel debriefing, abbiamo aggiunto al testo alcune semplici note sul carattere del personaggio. Infine, per dare spessore e concretezza, abbiamo fornito ogni primate di una carta d’identità con tanto di Nome, Data, Luogo di nascita, Residenza. Ovviamente non poteva mancare una foto, per la quale abbiamo attinto dal patrimonio immenso e stupefacente del Paleo Artist John Gurche.

    Guinness al MuSeGuinness al MuSe

    Come spesso accade a chi lavora nel campo della mediazione culturale e della didattica, le sorprese più belle arrivano da chi meno te lo aspetti: dall’insegnante fino a un attimo prima silenziosissimo che vive come catartica la recita di Neandertal e rivela un piglio da Carmelo Bene quando sale in scena; dal bimbo timido che stravince interpretando con sicurezza un Antecessor dai tratti inquietanti.

    Questo gioco, testato dapprima in alcune scuole, ha fatto la sua prima apparizione pubblica al MuSe, durante la Giornata della Preistoria (contribuendo nel suo piccolo al record di visitatori che il MuSe ha raggiunto in quel giorno. Si è mostrato, allora, uno strumento agile, dal momento che vi hanno partecipato bambini di seconda elementare e professori prossimi alla pensione.

    “Straordinario vedere come hanno cercato di interpretare gli ominidi loro assegnati. Naledi, sussiegoso e fatuo; Denise (homo denisoviensis) timida e schiva - d'altra parte di lei è rimasto mezzo dito e un dente; Nando, il Neandertal risentito per la scarsa considerazione da parte di Sapiens; i cugini chiacchieroni Handy e Rudolph (rispettivamente Habilis e Rudolfensis); un incazzato Frodo, il floresiens, piccolo sì ma cattivissimo; e tanti altri, per finire con Anto, l'antecessor che ha fatto inorridire tutti con la sua inclinazione a gustare carne umana (duro colpo per i sostenitori della paleodieta)”.

    In conclusione (continua ancora Brusa):

    “Preparazione del gioco estremamente rapida; nessun bisogno di travestimenti particolari; quinte e sfondi teatrali, zero. L’assegnazione del premio è (senza che i partecipanti se ne accorgano) il momento del debriefing, perché per dare un voto bisogna motivarlo, e nella motivazione uno tira fuori i ‘perché’ importanti della storia”. (Raccontare, giocare, imparare la storia, in C. Dal Maso (a cura di), Racconti da Museo. Storytelling d’autore per un museo 4.0, Edipuglia 2018)

    Il pubblico dei sapiens ha assistito alla sfilata degli ominidi. Poi ha votato. Allora ha vinto una splendida Parantropa, una bambina che ha interpretato con grazia un colosso di due milioni di anni fa, per gli amici Nick Schiaccianoci. Rifaremo il Guinness dei Primati a La Spezia, alla fine di maggio, al Paleofestival.

    Chissà vi vincerà? (cominciate a iscrivervi per tempo).

  • Il museo che non t'aspetti

    San Marino, 10 settembre

     

    Il museo dell’emigrante di San Marino

     


    Chiaro. Uno che va a San Marino s’aspetta lo shopping e il Museo della Tortura, del quale non si parlerà mai male abbastanza. Ma se per sbaglio qualcuno si stacca dal corteo dei vacanzieri, che ciabattano e zoccolano verso la cima, e piega verso il monastero di Santa Chiara, ha la sorpresa di visitare un museo piccolo piccolo, ma che - a differenza di quello della tortura e del molto falso medievale che lo circonda – è un museo vero.

    Ci sono andato con i partecipanti alla Summer School  della Rete degli Istituti (Insmli) e me lo ha raccontato la direttrice,  Patrizia De Luca.Ho scoperto una storia che non sospettavo. San Marino, terra di emigrazione. Una terra poverissima e avara. Gli uomini fanno i braccianti, gli scalpellini, qualche volta gli artigiani. Negli ultimi due decenni dell’Ottocento, sulle orme dell’emigrazione italiana, partono: l’Italia in primo luogo, poi  Brasile, Argentina e, dopo la prima guerra mondiale, Francia, e poi ancora Belgio, a fare i minatori.

    Il museo è semplice, organizzato con intelligenza e pulizia. Oggetti degli emigranti, foto, documenti, tabelle con i dati. La famiglia Giorgetti si fa fotografare con orgoglio di fronte al suo ristorantino A la petite republique de San Marin (e vai, con il franc-italese).

    Percentuali analoghe a quelle dell’emigrazione italiana, ma forse più tragiche, vista la piccola comunità, di 32 mila abitanti. San Marino ha circa 60 kmq. Molti non erano mai usciti da quel territorio, nemmeno per andare al mare di Rimini, che vedono dall’alto della Rocca. Molti lo fecero in occasione della loro migrazione. Cerco di immaginare quale sconvolgimento questo evento dovette provocare nelle loro menti.

    E’ un museo vero. Le persone fotografate sono lì, con i loro nomi. I visitatori sono i loro parenti, quando tornano o gli viene voglia di fare un giro, per vedere nonni , zii e bisnonni. Certamente, direte voi: fenomeni conosciutissimi, lettere e foto viste tante volte. Ma in quali musei? Vi chiedo a mia volta. Si contano sulla punta delle dita, in Italia, e questo – di San Marino – è il primo sorto nella penisola, essendo stato realizzato nel 1997. Le nostre foto e le nostre storie sono infinite e toccanti. Lo sappiamo, in Puglia come in qualsiasi regione italiana. Ma ce le teniamo negli archivi, quando va bene. Questa verità del rapporto fra passato e presente, che sento qui a San Marino, mi è negata nella maggior parte del territorio italiano.

    E per chiudere questo piccolo report, una bella storia. Lo sapevate che nel 1957 ci fu un colpo di stato a San Marino? Andò in questo modo. Aveva vinto la coalizione social comunista. Fatto che non andò giù al governo italiano. Un consigliere di sinistra si fece corrompere, gli promisero un posto di cantoniere. Il Gran Consiglio, passato in minoranza per quel voto, si dimise in massa, facendo cadere la legislatura. I consiglieri di centro destra, allora, si riunirono in un capannone vicino al confine italiano e proclamarono un nuovo governo, che l’Italia si affrettò a riconoscere e poi, con un paio di camionette di carabinieri, invase la Repubblica. Posti di fronte all’alternativa di difendersi con le armi, e di ammazzare qualcuno, i consiglieri di sinistra si arresero ai nostri carabinieri.

    Nemmeno questa la sapevo.

  • L’Editto di Costantino o della gestione del passato

    Autore: Antonio Brusa

    Indice

    1. Le certezze
    2. E le certezze distrutte
    3. Che dicono i manuali stranieri
    4. Il Cosiddetto
    5. Wikipedia o a ciascuno il suo Editto
    6. Conoscere o commemorare?
    7. Costantino, 313. La mostra
    8. Le cose importanti. I valori e le radici.
    9. Ma se sei secchione e pignolo
    10. Il messaggio della mostra
    11. Troppo complesso

     

    1 - Le certezze

    Quelle sull’Editto di Costantino, Arnaldo Marcone ce le elenca con chiarezza. Quattro certezze fondamentali. Leggetele. Aprono un problema che non riguarda soltanto la questione dell’Editto, ma il rapporto più generale fra ricerca storica e divulgazione, fra ricerca e didattica e, forse, il senso stesso del nostro mestiere.

    Eccole:

    • Il documento che è consuetudine chiamare “Editto di Milano” non è un editto
    • Tale documento non fu promulgato a Milano
    • L’autore del documento non è Costantino, ma Licinio
    • I cristiani non ottennero la tolleranza attraverso quel documento perché l’avevano già ottenuta due anni prima in virtù dell’editto di Galerio dell’aprile 311.

    Marcone sottolinea che si tratta di “conclusioni inoppugnabili” stabilite da Otto Seeck, studioso tedesco di quelli che è bene non mettere in discussione a cuor leggero, pubblicate per giunta qualche tempo fa, nel 1891.

    Dunque è più di un secolo che si sa con certezza che Costantino e Licinio non si videro a Milano, la capitale occidentale del nuovo impero disegnato da Diocleziano, per emanare il famoso decreto, ma tutt’al più discussero sul perché quello vecchio (appunto emanato da Galerio) non venisse messo in pratica ovunque. In quell’occasione, probabilmente, decisero di inviare delle lettere per sollecitarne l’applicazione, cosa che fu fatta da Licinio, una volta tornato a Nicomedia, la capitale orientale. Dunque, è più di un secolo che si sa che quella vicenda, per come la conosciamo, è una invenzione. Dunque, è più di un secolo che la frase “Costantino emanò l’Editto di Tolleranza a Milano nel 313 d. C” è falsa; ed è più di un secolo che, invece, la scriviamo nei manuali, la insegniamo come verità scontata e ci facciamo su, come vedremo, tante altre belle operazioni.

     

    2 - E le certezze distrutte

    Da subito debbo confessare la mia crisi, di autore e di insegnante. Lo sapevo dell’Editto come tutti. Certo, ne conoscevo letture critiche. Ma in fondo, che i due Augusti, nel momento del loro accordo, avessero licenziato quel documento mi sembrava una cosa scontata, una tipica conoscenza manualistica. Insomma, ero convinto che fosse doveroso indagare sulle cause dell’Editto, le sue conseguenze, la sua filosofia e il contesto nel quale venne scritto, ma non sul fatto.

    Perciò, troverete quella frase anche nel mio manuale. Ora so che avrei dovuto scrivere, invece, una frase di questo genere: “Il 30 aprile del 311, Galerio emanò a Serdica, l’attuale Sofia, capitale della Bulgaria, l’Editto con il quale si concedeva libertà di culto ai cristiani”. Lo farò, non appena ne avrò l’occasione, come ho fatto in tutti i casi analoghi (dalla donazione di Sutri, ai servi della gleba, alle Crociate o alla Piramide feudale: sono un medievista e queste cose mi riescono meglio per quel periodo). Ma so che quando consegnerò il nuovo testo, il redattore farà un balzo sulla sedia e correrà dall’editore, che mi prenderà amichevolmente sottobraccio: “caro Tonio, il libro lo dobbiamo vendere, cerca di smorzare un po’ i toni, sai gli insegnanti non la prendono bene”.

    E mi dirà. Se proprio ci tieni tanto, fai così. Lascia la frase tradizionale sull’Editto, perché se l’aspettano tutti. Poi, a lato, ci piazziamo una finestra. Un “per saperne di più” o un “cosa dice lo storico”. Guarda, fanno così anche i tuoi colleghi di antichistica. Eva Cantarella, ad esempio, parla di Costantino, di Milano e del 313 con il relativo Editto, e rimanda all’approfondimento accanto (Corso di Storia Antica, Einaudi, Torino 1995). Una scheda lunga e articolata che inizia con queste parole: “Il primo atto formale che permise ai fedeli della religione cristiana di praticare liberamente il proprio culto è quello di Galerio”. E’ la prassi manualistica. Ragazzi, imparatevi l’Editto, poi ai pignoli e ai secchioni gli diciamo la verità, o un qualcosa che le si avvicini. Tanto, la scheda di approfondimento la si può sempre togliere, come – in questo caso - accade nell’edizione successiva del 2001 (Le tracce della storia, Einaudi, Torino).

     

    3 - Che dicono i manuali stranieri

    Ma prima di andare avanti, è necessaria un’avvertenza. Non voglio mettere sotto accusa i manuali e nemmeno i bravissimi colleghi che li scrivono. D’altra parte, mi sono messo io, per primo, nella schiera dei peccatori. Né vorrei che si pensasse ad un’ulteriore polemica sull’arretratezza della scuola italiana. Per questo motivo, con l’aiuto di Luigi Cajani, con il quale ho ragionato su questo argomento, mi sono andato a vedere dei manuali tedeschi. Più o meno sono come i nostri. Forse solo più sintetici e, perciò, più assertivi. Ad esempio, Martin e Zwoelfer scrivono che Costantino “pagò il suo debito con il Cristianesimo, stabilendo a Milano, con il suo collega Licinio, che i Cristiani e tutti gli altri avrebbero avuto la possibilità di praticare il loro culto”. (Geschichtsbuch 1, Cornelsen, Berlino 1987), p. 145. Oppure Askani e Wagener citano il “cosiddetto Editto di tolleranza”.  (Anno 1, Band 1, Westermann, Braunschweig 1994, p. 182).

     

     

    Certamente, uno di noi coglie in queste espressioni il filo di ironia, la presa di distanza. Ma, come sappiamo tutti, guai a cercare di far comprendere agli allievi, anche se sono tedeschi, queste sfumature, senza passare per professori pedanti e rompi-qualcosa.

     

    4 - Il Cosiddetto

    In realtà, la presa di distanza è obbligatoria, come ammonisce Laura Franco, nel catalogo della Mostra dedicata all’Editto. “Si aggiunge in genere l’aggettivo “cosiddetto”, quando si parla dell’Editto di Milano”, osserva nel suo contributo Costantino nelle fonti letterarie fra storia e mito, in Costantino 313 a.C, p. 58. Ma non c’è bisogno di ricorrere ai manuali di leggibilità, per sapere che questi “cosiddetti”, che noi studiosi amiamo tanto, per limare, specificare, prendere le distanze, sono un macigno nella comprensione diffusa. Il lettore medio li salta, perché non ne capisce bene la ragione. Ma lo fa anche lo storico non specialista. Ad  esempio Jerry Bentley, il grande storico americano scomparso di recente, scrive nel suo affascinante manuale di storia Traditions and Encounters. A Global Perspective on the Past, Mc Graw Hill, N.Y, 2009, p. 308 che Costantino fece una cosa grandissima con il suo Editto (senza virgolette). E, come lui, tantissimi colleghi, fra i quali la maggior parte degli studiosi che scrivono sul catalogo.

     

    5 - Wikipedia o a ciascuno il suo Editto

    Wikipedia è probabilmente lo specchio di una battaglia delle virgolette, diventata ormai internazionale.

    L’edizione tedesca è precisa. Cita subito l’autorità imprescindibile, quell’Otto Seecks che abbiamo visto sopra, e mette in chiaro la cronologia: prima Galerio, autore delToleranzedikt, che vuol dire Editto di Tolleranza, senza virgolette,poi la battaglia contro Massenzio, e buoni ultimi Costantino e Licinio, dei quali si specifica che non emanarono un Editto. Ma i tedeschi sono gli unici (potenza di Otto Seecks?).

    La stessa cronologia è ripresa dall’edizione latina, che non ha dubbi: “Edictum tolerationis Galerii est finis persecutionum religionis Christianae in Imperio Romano”, dice in un latino, così chiaro che lo capisce anche chi non lo sa. A scanso di equivoci, qualche riga sotto si ribadisce che quello di Milano non fece che confermare ciò che già era stato stabilito da Galerio. Questo alla voce dedicata a Galerio. La voce sull’Editto di Milano, specifica che si trattò di una riunione in seguito alla quale vennero mandate delle lettere che possono essere intese come un complemento dell’editto di Galerio.

    L’edizione francese è sconcertante. Riporta tutte e due le versioni. Prima quella sbagliata e poi quella giusta. Senza un’avvertenza al lettore. Insomma: questo è quello che si dice, fate un po’ voi.

    La versione polacca dice che l’Editto è stato pronunciato dai due imperatori (…) nel 313 a Milano, uniti dalla fede nell’impero romano. Prosegue affermando “da questo momento, il cristianesimo non ebbe più ostacoli. In base a questo editto furono restituite alle comunità cristiane palazzi e terre di proprietà ecclesiastici”. Cita, a supporto, il resoconto di Lattanzio, che vedremo subito, spacciato (ma è una prassi consueta nella rete) come testo dell’Editto.

    L’edizione spagnola distingue fraLa tolerancia del Cristianismo, così viene chiamato l’ Editto di Milano, del quale si racconta la versione tradizionale, el’Edicto de Tolerancia de Nicomedia, che sarebbe quello di Galerio, declassato a “antecedente”.

    L’edizione finlandese spinge per una interpretazione progressiva, secondo la quale l’Editto di Milano fu un perfezionamento di quello di Serdica.Lo dice sulla base di una fonte vecchiotta, per quanto informatissima, Philip Schaff, il teologo e storico protestante svizzero, che scrisse nel 1800 unaStoria della Chiesa, il quale sostenne che con l’Editto di Milano si passò da una neutralità negativa a una positiva, che apriva le porte all’adozione del Cristianesimo come religione ufficiale. L’opera è in inglesee forse per affinità linguistica anche gli ungheresi adottano un’interpretazione simile.

    Chi vuole chiudere questo giretto con un po’ di divertimento, vada a consultare l’edizione italiana, per la quale l’Editto ci fu, ed  è presentato come quello vero, ma non era il primo, perché ce ne fu un altro, sempre di tolleranza, nel quale però venne concessa ai cristiani solo un’indulgenza: e qui l’equivoco con la prassi penitenziale cristiana è inevitabile come le virgolette, da spargere a piene mani (Se riuscirete a capirci qualcosa, non vorrà dire che siete bravi, ma solo che siete perfettamente inseriti nello schema di funzionamento di questa nazione).

     

    6 - Conoscere o commemorare?

    Virgolette, dunque, ma decisive, quando si parla della creazione di un evento, come le celebrazioni costantiniane. Ecco come vengono presentate dal giornale della diocesi ambrosiana.

    Ebbene, per commemorare dal punto di vista scientifico tale centenario e per discutere tutti gli aspetti problematici connessi a quello che per l’appunto definiamo convenzionalmente come “editto” (…)

    Dunque, che sia un Editto è una convenzione, non una realtà storica. Però questa convenzione è indispensabile sia per fissare l’anniversario (che si celebra solitamente per qualcosa che è realmente avvenuto), sia per designare la città – luogo reale - dove commemorarlo (vi figurate i milanesi che festeggiano l’ “Editto Bulgaro di Tolleranza”?). Ma questo imbroglio fra realtà e invenzione, cede sicuramente il passo a quella perla della “commemorazione scientifica”, che avrete sicuramente notato, e sulla quale gli studiosi dei rapporti tra storia e memoria potrebbero scrivere libri.

     

    7 - Costantino, 313. La mostra

    E siamo arrivati alla mostra. Ci dovevamo tornare perché il bello dello stereotipo dell’Editto è che l’articolo di Marcone, che me lo ha svelato, è pubblicato proprio nel catalogo della mostraCostantino 313, svoltasi a Milano in occasione del suo 1700 anniversario, e ora aperta a Roma, al Colosseo Editto di Milano: dalle persecuzioni alla tolleranza, pp. 42-47.

    Questa esposizione si apre con il famoso brano di Lattanzio, quello da cui prende il via l’invenzione dell’Editto. Tu entri e ti accoglie la prosa familiare del grande scrittore cristiano.

     

     

    Pensi. Come sono simpatici questi due imperatori, che si vedono a Milano, chiacchierano come due tipi qualunque, e a un certo punto fanno: ma perché non li lasciamo liberi, questi benedetti cristiani? Qui, però, la nota erudita me la dovete concedere, perché serve a spiegare almeno una parte della confusione. Noi non possediamo il testo di quel documento che chiamiamo “Editto di Milano”. Oltre ad una versione ridotta di Eusebio di Cesarea, disponiamo solo dell’ampio resoconto di Lattanzio, autore decisamente schierato a favore di Costantino, e da questi assunto come precettore del figlio Crispo (en passant, Costantino spese veramente male i soldi per la sua istruzione, dal momento che lo fece ammazzare). Sappiamo, dunque, che le precauzioni interpretative sono obbligatorie, in situazioni come questa (nella mia piccola ricerca su Internet, ho trovato perfino il racconto di Lattanzio suddiviso in paragrafi numerati “come se fosse” un documento legislativo.

    Quindi ti aggiri fra i pezzi (belli; emozionanti). Scopri un impero dalle tante religioni. Vedi la mano di Sabazio – dio della nascita e della morte – la mano con le tre dita distese, alla quale si ispirò il gesto cristiano della benedizione. Ammiri un bassorilievo raffigurante Mitra, con i resti della colorazione originale (il dio ha il volto dorato e il mantello rosso). E poi Iside, Giove Dolicheno, il Sol Invictus (accanto al quale Costantino amava farsi raffigurare nelle sue monete d’oro) e tanti altri.

     

     

    La convivenza di questa moltitudine di culti era garantita dall’imperatore, anche prima del nostro Editto. Certo, si sentiva nell’aria una “ricerca del monoteismo”, si premurano di avvertirci i curatori, che evidentemente dispongono di speciali fonti di informazione; per quanto, curiosamente, proprio dopo la legalizzazione completa del Cristianesimo (appunto dopo l’Editto), questa pacchia libertaria finì, dal momento che gli imperatori cristiani si dettero a vigorose campagne di repressione di ogni religione che non fosse quella cristiana, per giunta nella versione che di volta in volta ritenevano ortodossa. I curatori della mostra non mancano di rilevare, infatti, che da subito Costantino impose “qualche limitazione” a questa tolleranza. Un eufemismo si direbbe, visto che appena l’anno successivo al nostro Editto di Tolleranza, si celebrò il concilio di Arles, con la condanna dei donatisti; sei anni dopo vennero proibiti i sacrifici pagani e, da allora, seguì un crescendo ininterrotto di repressioni dall’alto e di violenze dal basso, che portò alla scomparsa di quella varietà di religioni che ci affascina visitando questa mostra. Nella quale, per contro, si racconta con dettagli delle persecuzioni contro i cristiani, illustrate con immagini efficaci di condannatiad beluas , che sfortunatamente non si riferiscono mai a martiri. Non lo può essere, ad esempio, questa scena nella quale un orso sta per sbranare una ragazza legata ad un palo (la si riconosce a destra nella mia pessima foto), troppo sensuale e svestita per essere una santa da venerare.

     

     

    8 - Le cose importanti. I valori e le radici.

    Ma non cavilliamo, dice la mostra. Qui si parla di cose più importanti e attuali. Di tolleranza e di convivenza dei diversi. E, naturalmente, delle radici cristiane di tutto ciò. Questo è il succo che il visitatore comune deve ricavare dalla sua visita. Inoltre, se sei quello che ne vuol sapere di più (e ti senti anche di spendere qualche euro in più), eccoti il catalogo. La sua apertura, di autorità e sponsor, ti incoraggerà in questa interpretazione, come rivela questa rapida antologia.

     

    Ci sono date che partono da una città e arrivano al mondo. Nel 313 Milano proclama “ai Cristiani e a tutti gli uomini la libertà di seguire la religione che ciascuno crede”  (Giuliano Pisapia, sindaco di Milano)

     

    Il rescritto, a firma dei due Augusti Costantino e Licinio, segna la fine delle persecuzioni contro i cristiani e l’atto di nascita della libertà religiosa, ben diversa dalla semplice tolleranza” (Angelo Scola, cardinale)

     

    La celebrazione dell’Editto di Costantino ci ricorda di un antico primato di Milano, da sempre storico crocevia di esperienze e laboratorio civile di sviluppo” (Stefano Boeri, assessore alla cultura di Milano)

     

    Con quella rivoluzionaria decisione Milano divenne il luogo simbolo dell’integrazione e della convivenza di fedi ed etnie diverse” (Diana Bracco, Presidente della Fondazione Bracco)

     

    9 - Ma se sei secchione e pignolo

    E lo devi essere proprio, perché non ti devi fermare alla visita, né ti devi limitare a sfogliarne il bel catalogo e a leggiucchiarne un articolo qua e là. Devi individuare proprio quello di Marcone, e giungere sino alla fine, quando lo storico elenca le certezze che già sapete.

    Ma se lo farete anche voi, capirete che non è una questione di date né di pedanteria erudita. Infatti: un conto è sapere che quell’Editto fu promulgato da Galerio, imperatore talmente pagano e talmente mal visto dai cristiani (fu proprio lui che spinse Diocleziano a iniziare la sua persecuzione), che Lattanzio lo fece crepare tra le sofferenze nel suo De mortibus persecutorum; un conto, ancora, è sapere che perfino l’”Editto cosiddetto”, o il “rescritto” come puntualizza il cardinale Scola,  fu promulgato da Licinio, che era quello pagano della coppia di Augusti. E un conto totalmente diverso è essere convinti che quell’Editto fu opera dell’imperatore che era, o che sarebbe diventato cristiano. Se, infatti, furono gli imperatori pagani a promulgarlo, vuol dire che esso venne pensato per ragioni che per loro erano di “buon governo”. Probabilmente si convinsero che era quello che ci voleva per andare avanti, e si comportarono di conseguenza. Nel caso contrario, come sappiamo tutti, quell’Editto si inscrive in un percorso destinato a portare alla vittoria del Cristianesimo. E ci suggerisce che noi siamo tali (tolleranti e aperti) proprio perché siamo inseriti in quel percorso.

    Che i cristiani potessero liberamente celebrare i loro culti, dunque, era già un fatto acquisito nel 313. Certamente, c’era chi si opponeva (come Massimino Daia, il Cesare che fu sconfitto da Licinio). Ma certamente non Massenzio o qualcuno degli altri pretendenti al trono, che Costantino fece fuori, uno dopo l’altro. E questo forse ci obbliga a guardare da una prospettiva diversa anche la faccenda del Ponte Milvio.

    Cambia totalmente anche la questione del rapporto fra Editto e celebrazione della Tolleranza. Infatti, se è vero che pochi anni dopo la sua promulgazione, Costantino e il suo nuovo entourage cristiano dettero il via a delle pratiche restrittorie della libertà religiosa, allora ne dovremmo trarre la conseguenza che la stagione della tolleranza fu brevissima, e che Costantino, in luogo di inaugurarla, fu quello che la chiuse.

     

    10 - Il messaggio della mostra

    Uno spostamento di due anni (311/313), e il messaggio della mostra si rovescia. Oggi il messaggio è: “il bene della tolleranza ha le sue radici in Costantino, e dunque nell’avvento del Cristianesimo. Dura dunque da 1700 anni, e perciò lo celebriamo tutti, laici e cristiani e di qualsiasi religione”. Potrebbe essere, invece: “Quella che consideri “tolleranza” durò una manciata di anni, e poi scomparve rapidamente. E’ un bene fragilissimo, ci dicono quel periodo e quegli eventi, che pure consideriamo fondanti. Perciò datti da fare se ci tieni veramente”.

    E mi sembra che Arnaldo Marcone non lasci alternative, quando conclude che è alquanto improprio parlare di “tolleranza” e di “persecuzione” per quei tempi. Si trattava, dice, di un fluttuare di situazioni, mai generali e mai durature e mai, soprattutto, nette. Questa mostra, dunque, dovrebbe aiutarci a prendere le distanze, piuttosto che esaltare fieramente i quarti di nobiltà della tradizione occidentale.

     

    11 - Troppo complesso

    E’ quello che ti dicono, quando ti chiamano a organizzare una mostra, a scrivere un manuale o, come mi è capitato anche, a redigere dei programmi di studio. La gente non capirebbe. Bisogna essere chiari e semplici, e tu fai sempre dei problemi. Be’, proprio questa mostra ci insegna che si tratta di un alibi e che il “farsi capire da tutti” è proprio l’ultima delle preoccupazioni. Guardate queste foto. Sono alcune didascalie di oggetti presentati nella mostra. Ecco questa “Alzata frammentaria di coperchio di sarcofago con pastore crioforo”. Uno moderatamente ignorante come me deve smanettare con lo smartphone, per capire che “moscoforo” e “crioforo” sono più o meno la stessa cosa. Più o meno, ma non sottilizziamo. Altrimenti, senza dare nell’occhio, allunga lo sguardo alla versione inglese. Anche a saperne poco, quello shepherd carrying a lamb, lo guida alla soluzione. “Il buon pastore”. Ah. Fortunatamente sono di quelli che non hanno problemi con l’“alzata frammentaria di sarcofago”.

     


    E l’inglese mi salva anche per capire che cos’è questo oggetto, che a prima vista penserei fosse uno stravagante “portatore di tavola”.Trapezoforo, infatti, recita minacciosa la didascalia, mentre la traduzione mi rassicura. E’ la gamba di un tavolino. Ma a quella successiva ci dobbiamo arrendere tutti, gli italiani sfortunati e gli inglesi (che, come avrete notato, sono trattati più umanamente dai curatori della mostra). La “lucerna bilicne”, infatti, ci rimette tutti al nostro posto.

    Se veramente il “farsi capire” fosse il motore delle scelte e delle semplificazioni, allora avrebbero scritto “Buon Pastore, “Gamba di tavolino”, “Lucerna a due luci”. Senza trascurare, ovviamente, il termine tecnico. Quello ci vuole, e chi è bravo e vuole veramente farsi comprendere, sa anche dove e come metterlo. E riesce anche a valorizzarne l’importanza (a far intendere anche quella, infine).

    No, ci dice questa mostra. No, ci dicono “gli approfondimenti”. No, ci dicono queste didascalie e queste virgolette. Il capire è un qualcosa di pochi. Degli esageratamente pignoli. Gli altri, la gente, si accontenti delle storie facili, quelle che già circolano e alle quali è abituata. Si limiti a quelle “spiegazioni semplicistiche e riduzionistiche, secondo le quali fu Costantino, facendo del cristianesimo la religione ufficiale dell'impero, a determinarne definitivamente il successo" (Questa frase, di Andrew M. Greely, un prete irlandese, sociologo e giornalista, l’ho trovata nel sito curato da Andrea Nicolotti, al quale rinvio per chi voglia continuare a informarsi su questo genere di argomenti).

     

  • La bambina e la fusaiola.

     Autore: Antonio Brusa

    La provocazione didattica di Romana Scandolari

     

     

    La bambina prende il disco di terracotta e ci guarda dentro. L’adulto, di fronte a lei, ne prende due e li usa come occhiali. C’è in questo dialogo di gesti una rivoluzione didattica: piccola o grande, dipenderà dalle vostre convinzioni sulla storia e sul suo insegnamento. La bambina maneggia il reperto. Ne sente l’odore, il peso, la rugosità. Immagina a cosa possa servire. L’idea che le è venuta in testa le sembra divertente. L’adulto la lascia giocare, non corregge la sua ipotesi, ma intuisce il filo del suo pensiero e rilancia: “magari sono degli occhiali. Allora prendine due”. Sorride anche lui. Giocano.
    Rivoluzione? Nessun dubbio, per me, educato a un rapporto con il passato, nel quale l’oggetto deve stare al suo posto nella bacheca, e se non lo è ci deve essere scritto a chiare lettere NON TOCCARE. La bambina deve stare al suo posto, nel suo ruolo di ascoltatrice della lezione che l’adulto le rivolge e, se azzarda un’ipotesi sbagliata, l’adulto la deve correggere: “si tratta di una fusaiola, cara. Serviva probabilmente per filare. Sei MOLTO lontana dall’uso effettivo che nell’età del bronzo si faceva di questo oggetto”. Ognuno deve restare al posto suo, in questa prossemica definita da secoli di scolarità, che ha disteso uno spazio enorme, abbandonato e frustrante, fra il contesto culturale nel quale  noi viviamo e l’oggetto esposto nella vetrina. E non ci accorgiamo – noi professori e educatori – che spesso, con le nostre pratiche abituali, stigmatizziamo il soggetto che ci sta di fronte nel ruolo che aveva prima che lo incontrassimo, di individuo separato da quell’oggetto. Ognuno al posto suo. Il pubblico nel mondo moderno, il passato dietro la vetrina. Il professore o l’operatore culturale in mezzo, a raccontare al mondo d’oggi ciò che accadeva in quello di ieri.

    Difficile attraversare questo terrain vague se non si è accompagnati, sospinti, assistiti, incoraggiati, protetti, invitati, attratti. “Provocati”, afferma Romana Scandolari, aprendo il suo Un Museo! 10 dubbi, 100 domande, 1000 scoperte, appena uscito per i tipi di Erikson: un libro nel quale condensa gli anni di lavoro e di ricerca didattica, passati nel Museo delle Palafitte del lago di Ledro, e nell’Officina di Ledro, la scuola di didattica museale che organizza ogni anno a settembre. Un libro provocatorio, come cercherò di spiegare,  invitandovi a non farvi ingannare da un aspetto colorato e leggero che lo fa assomigliare ai tanti che troviamo negli scaffali dei bookshop museali.

    Provocatorio nei confronti dei visitatori. Non venite nei musei perché vi annoiate? Qui giocherete, costruirete, farete delle cose. A un certo punto non vi sembrerà nemmeno di essere in un museo. Alla fine, cambierete non solo la vostra idea di passato, ma anche le vostre convinzioni su questo contenitore culturale. Provocatorio nei confronti dell’uso che le istituzioni immaginano di se stesse. Un museo ha gli studiosi e gli operatori. Chi fa ricerca e chi scarrozza i visitatori. Non è così a Ledro. Se gettate uno sguardo nel suo laboratorio, lo vedrete pieno di repliche e di giochi, computer e libri: qui i ricercatori lavorano insieme con gli operatori, e insieme studiano quella cosa terribilmente seria che si chiama didattica museale (e perciò storica).

    Ci sono gli accompagnatori e gli educatori. Ai primi il compito della guida. Un’ora che va gestita con professionalità raffinata: capacità di cogliere il ritmo del gruppo, di alternare momenti incalzanti e di ascolto, di “agganciare” al sapere del visitatore le notizie  che si vogliono comunicare, adoperare sapientemente il potenziale “esplosivo” di termini impertinenti, risvegliare emozioni, fare incursioni umoristiche. Servirsi non solo delle parole ma anche di oggetti da toccare e annusare.

    Diverso è il ruolo degli educatori museali. Ad essi il compito di gestire una giornata con il gruppo. L’accoglienza, il patto formativo, l’orientamento dei visitatori, temporale e spaziale; le diverse attività con le quali si esplora il museo e che ritmano la giornata con momenti intensi e di pausa; i racconti e la storia da ascoltare; i giochi e le esperienze multisensoriali; le rapide drammatizzazioni, l’uso accorto dell’empatia e dell’archeologia imitativa, attraverso le quali il visitatore oltrepassa il museo e si proietta nel passato. Il visitatore, anche quando è bambino, ha già visto tutto. Si è aggirato per musei dove ha visto reperti di ogni genere. Ne ha studiati a bizzeffe nei manuali. Ha visto infiniti film, cartoon e giocato giochi elettronici bellissimi. Attraverso le realtà virtuali o aumentate, ha provato anche l’illusione di vivere nel passato. Questo, dunque, gli è talmente usuale da essere diventato banale. Proprio per questo è difficile, per lui, “accorgersi” della sua esistenza.

    L’idea che il passato debba essere “riscoperto”, è una buona provocazione per giornalisti, insegnanti e storici, spesso convinti che esso vada solo “conosciuto”. E che, perciò, si debba puntare sulla divulgazione e sulla comunicazione. Ne è un buon esempio il libro recente di Daniele Manacorda,  L’Italia agli Italiani. Istruzioni e ostruzioni per il patrimonio culturale (Edipuglia 2015), che rampogna (giustamente) i colleghi perché disdegnano la divulgazione, ma disdegna a sua volta di includere nel suo dizionario essenziale di parole chiave termini quali “didattica”, “scuola” o “insegnamento”. Lo vediamo nel comportamento di chi governa, nel centro come nella periferia, dal momento che convoglia gran parte dei pochi soldi destinati all’istruzione e alla cultura  proprio alla comunicazione: tecnologia, festival, manifesti, fiction, spettacoli, app, trasmissioni, parchi tematici, eventi, siti web. E’ un pregiudizio talmente radicato, che ci nasconde l’abnorme uso quotidiano della storia che è sotto i nostri occhi. Un fenomeno così straordinario e invasivo che ha obbligato gli studiosi a creare nuovi settori di studi, quali la storia pubblica e l’uso pubblico della storia. Gettato in questo agone comunicativo, l’insegnante ha perso in partenza. Il comunicatore moderno dispone di mezzi e di tecniche retoriche che sono fuori della sua portata. Posti al suo confronto, l’insegnante e l’operatore museale non potranno che inseguire affannosamente. I loro concorrenti resteranno mediatori culturali tecnicamente più aggiornati, attraenti e spettacolari (e inevitabilmente più forniti di denaro).

    Provocazione didattica, ancora, sia nei confronti di tanti colleghi che cercano la salvezza nel passato, nello scenario tranquillizzante del professore che spiega e dell’allievo che ascolta; sia nei confronti di tanti che, al contrario, scorrazzano nelle praterie intertestuali, dove basta essere competenti per possedere ogni sapere. Entrambi non vedono il baratro che separa i nostri contemporanei dalle conoscenze che sono a loro disposizione, fatto di strutture concettuali, di atteggiamenti personali, di routines argomentative, di organizzazioni dello spazio mentale.

    Queste vanno superate come se fossero delle barriere fisiche. Il ceto dei colti non se ne rende conto, perché è “al di qua” della frontiera. Per noi che studiamo, infatti, il passato è vicino. E’ per noi, paradossalmente, che la comunicazione funziona magnificamente. Per gli altri rischia, anche involontariamente, di creare la mistificazione di non rendersi conto proprio di quella barriera. Il museo e la scuola vanno ripensati come due presidi ai margini di questa. Ad essi, al museo forse più che alla scuola, spetta il compito dell’emergenza, di istruire sulla maniera con la quale quell’ostacolo si può superare. E istruire vuol dire insegnare ad usare le conoscenze, per farsi venire delle idee, per giocarci, risolvere problemi, fare paragoni, discuterle, ma anche per “sentirle” come proprie, apprezzarle e gustarle. Vuol dire la capacità di trasformare le conoscenze sul passato - che ad un bambino (come ad un adulto non acculturato) appaiono di consistenza inafferrabile o inutile -  in oggetti concreti, che si possono manipolare.

    E’ esattamente questo il processo che ci illustrano Romana Scandolari, raccontandoci di bambine e di fusaiole, e Ornella Michelon con le sue splendide (e non accessorie) fotografie. Ma, a ben pensarci, siete proprio sicuri che quegli antichi usassero le fusaiole solo per fare la lana? Non poteva venire in testa a qualcuno di appenderle ai rami di un albero, così, giusto per bellezza, o per cacciare qualche spirito maligno? E non poté venire in testa, a una bambina o a un bambino, di raccoglierne una, di farla rotolare o di guardarci nel buco?  A ben pensarci, dunque, la nostra bambina ha anche elaborato una seria ipotesi scientifica. A ben pensarci, poi -  visto che quasi 30 mila visitatori ogni anno si accollano un bel viaggetto da Trento, per raggiungere il piccolo Museo delle Palafitte di Ledro,  che pure non ha pannelli interattivi e meraviglie tecnologiche, ma solo un drappello di animatori  - le idee didattiche che ci spiega Romana Scandolari costituiscono anche una seria prospettiva di management culturale.

  • La celebrazione e la rimozione. La mostra itinerante per i 100 anni dell’Aeronautica Militare Italiana

    di Antonio De Mario

    01Fig.1: Piloti e specialisti in forza all’Aeronautica Nazionale Repubblicana.Documenti che parlano chiaro

     

     Contro orde barbare pronte compiere ogni orrore quali quelle che avanzano, ritengo non debba essere risparmiata alcuna arma. Chiedo pertanto massima libertà azione per impiego gas asfissianti (…)

     

    Così recita il testo di un telegramma cifrato, il n.375 del 15 dicembre 1935, a firma del generale Rodolfo Graziani, comandante delle armate italiane in Somalia impegnate dell’attacco all’Abissinia, regione dell’Impero di Etiopia. Fra i destinatari, Pietro Badoglio, capo delle operazioni su quel fronte. Ma, come è noto dalla documentazione d’archivio disponibile, quella libertà d’azione venne autorizzata direttamente dal Capo del Governo in persona che, con telegramma 14551 A 1475, datato 12 gennaio 1936, scrisse a Graziani “Sta bene impiego gas nel caso V.E. lo ritenga necessario per supreme ragioni difesa”.

    Poco dopo, lo stesso Graziani avvisò il generale Mario Bernasconi, comandante della Brigata aerea mista in Somalia, che si stava preparando a

     

    ricacciare verso nord l’armata di Ras Destà (…) con azione che dovrà avere esito definitivo e risolutivo. Pertanto, come già verbalmente accennato a vossia, occorre che il concorso dell’aviazione sia portato al massimo della possibilità dei mezzi. Le ultime azioni compiute    hanno dimostrato quanto sia efficace l’impiego dei gas (…).1

     

    La mostra del Centenario

    A cento anni dalla sua fondazione nel 1924, l’Arma aerea d’Italia allestisce una mostra fotografica destinata a essere esposta in diverse città italiane da Roma a Firenze, Bari passando per Milano, Ferrara, Viterbo fino a Lecce, tra marzo e dicembre del 2023, nell’ambito di un ricco programma celebrativo. A Bari la mostra è stata ospitata nelle sale del Palazzo della Provincia, sul lungomare Nazario Sauro

    Alcuni pannelli, con piccoli corredi fotografici e brevi didascalie, schematizzano le tappe principali di una vicenda profondamente legata a un secolo segnato da eventi bellici di immane intensità e tutti tragicamente incistati – a vario titolo - nel nostro immaginario popolare e nazionale. Ma invano cercheremo, tra i documenti d’epoca e i preziosi cimeli esposti, qualche traccia dei documenti appena visti. Cosicché, la celebrazione sembra far rima con rimozione, a spulciare con occhio analitico fra le didascalie, redatte dai curatori della mostra, vagliate e supervisionate dall’Ufficio storico dell’Aeronautica Militare Italiana. Questa struttura, vale la pena notarlo, è quanto mai rilevante in ciascuna delle Armi italiane, corpi e specialità, perché è il vero custode delle tradizioni e dell’identità, della loro corporate reputation. Lo provano le numerose e prestigiose pubblicazioni che da questi enti promanano. Fonti sempre, giustamente, tenute in gran conto dagli storici militari.

     

    02Fig.2: Modello di bomba da lancio caricata a gas Yprite in uso durante la campagna di Etiopia del 1936.L'Etiopia, i bombardamenti, il gas.

    Sulle didascalie che accompagnano il corredo fotostorico della mostra si condensa l’attenzione del visitatore e qui si concentra un forte sapore di rimozione, soprattutto in riferimento a quelle dedicate ad anni cruciali, per l’Italia e per l’evoluzione della Regia Aeronautica.2

    Eccone una.

     

    Etiopia 1936. Quella etiope si dimostra da subito una campagna impegnativa: i reparti della Regia Aeronautica si prodigano in ricognizioni, trasporti, rifornimenti, bombardamenti in uno scenario complesso per le difficoltà ambientali e per la  vastità del territorio. La cooperazione con le truppe di terra viene sviluppata al massimo grado, ma questa lezione non sarà poi tradotta in atto nel secondo conflitto mondiale.

     

     Tutto qui.

     

     

    03Fig.3: Piloti e meccanici in posa con bomba caricata a gas tossico, durante la Campagna d’Etiopia 1936.Ricognizioni, trasporti, cooperazione con le truppe di terra: il freddo e asettico linguaggio militare e neppure il minimo accenno al fatto che fu una guerra di aggressione a una nazione indipendente che vide il ricorso a strumenti bellici espressamente vietati dalle Convenzioni internazionali come i gas asfissianti. Circa 30 tonnellate di aggressivi chimici proibiti furono complessivamente lanciate dagli apparecchi italiani nel corso di tutta la campagna, con effetti atroci non solo sulle bande combattenti ma anche sulle martoriate popolazioni civili. Che altre potenze coloniali nella stessa epoca vi abbiano fatto ricorso, salvo poi celare tutto sotto la coltre del segreto militare, non riduce la gravità dell’azione italiana.3

    Si dirà che non è una mostra celebrativa il luogo per articolate analisi storiografiche. Vero. Ma appare eccessivo ridurre quella feroce invasione a una “campagna impegnativa”. E affidare l’unico accenno critico a una “lezione che non sarà poi tradotta in atto nel secondo conflitto mondiale” pare davvero una scelta fuorviante. Inoltre, quale lezione tattica o strategica si potesse ricavare attaccando una nazione totalmente priva di una propria aviazione o di qualsivoglia difesa antiaerea degna di questo nome è davvero difficile comprendere, pur restando nell’ambito del mero dibattito storico-militare.

     

    La Spagna e gli aviatori che vennero travestiti

     

    Spagna 1936. La Spagna è un importante banco di prova per velivoli ed equipaggi che vengono inizialmente inquadrati nel “Servicio del Aviacion del Tercio”, poi Aviazione Legionaria. Purtroppo non tutte le lezioni apprese saranno adeguatamente sviluppate.4

     

    Anche in questa didascalia nessuno può pretendere l’apertura di una riflessione approfondita di politica militare. Tuttavia, andrebbe notato che in quell’occasione il governo italiano impiegò quote notevoli della forza aerea nazionale, con aviatori travestiti da “volontari” con abiti civili e documenti falsi, spedite a rinforzo del generale Francisco Franco, intento a rovesciare il legittimo governo della Repubblica di Spagna nel 1936. Cosa ci sia stato di così glorioso nell’arrivare a organizzare addirittura un finto atto di vendita di velivoli a un giornalista monarchico iberico, tale Luis Bolìn, e a far arruolare militari italiani nella Legione straniera spagnola, nota come Tercio de extranjeros, è davvero faticoso da comprendere.

    Forse andava fatto notare che, a leggere le cronache del tempo, l’adesione al franchismo fu entusiastica, a partire dal generale Giuseppe Valle, nella doppia veste di Sottosegretario al Ministero della Regia Aeronautica e Capo di Stato Maggiore della medesima, che non esitò a prendere egli stesso i comandi di uno dei primi dodici trimotori S.81, inviati in fretta e furia alle Baleari per trasportare le truppe ribelli franchiste sul suolo iberico.

    Se, dunque, teniamo presenti i fatti ricordati da questi pannelli, il tema, ricorrente nella mostra, delle “lezioni apprese e non adeguatamente sviluppate” suggerirebbe domande imbarazzanti: che cosa non ha ben sviluppato l’Italia? Il modo di fare dei colpi di stato? Come travestire i propri militari o bombardare delle città indifese?

     

    Il topos dell'"unanime ammirazione"

    In un altro pannello si cita lo scrittore Guido Mattioli:

     

    L’opera degli aviatori e dell’Aviazione italiana in Spagna, cioè dell’Aviazione Legionaria, ha già riscosso la unanime ammirazione del mondo e perfino quella dei suoi avversari.

     

    Nel leggerlo pare di udire la voce inconfondibile di Guido Notari, giornalista in forza all’Eiar e all’Istituto Luce. Il Conte Guido Mattioli Belmonte Cima, raccontano le cronache biografiche, fu un provetto pilota, eroe decorato nella Grande Guerra, “il Conte che amava volare”. Negli anni Venti diresse la nota rivista “L’aviazione”. Nel ventennio, poi, fu anche podestà di Rimini, fra il 1933 e il 1939, e durante quel periodo, nel 1938 realizzò e inaugurò l’aeroporto di Miramare.

    Quanto all’unanime ammirazione, davvero non si sa di cosa si parli: per il bombardamento di Guernica? Forse no: l’Italia vi partecipò con tre soli apparecchi Savoia Marchetti S.79. La parte più rilevante di quel modello di bombardamento terroristico di una città priva di difesa nonché di rilevanza militare, fu svolta da diciotto apparecchi Ju.52 che, con 22 tonnellate di bombe, in parte incendiarie, rasero al suolo la cittadina iberica con molte centinaia di vittime civili (1650 secondo alcune fonti). Più probabile allora che il Mattioli volesse riferirsi al bombardamento di Barcellona, compiuto dai regi velivoli il 16-18 marzo 1938, per espresso ordine di Mussolini, con 44 tonnellate di bombe, provocando tra i 600 e i 1300 morti”.5

     

    I due volti di Italo Balbo

    La Regia è, a detta degli analisti storici, il fiore all’occhiello del Regime sin dall’impresa del suo indimenticato fondatore, quell’Italo Balbo che pianificò e condusse la Crociera del Decennale: una imponente e spettacolare trasvolata atlantica condotta con ben 26 idrovolanti S.55, evento che fece epoca ed è oggi considerabile un po’ come il mito fondativo della nostra attuale AMI.

    La Mostra del Centenario gli dedica puntualmente ampio spazio, come è giusto che sia dal punto di vista storico. Ma, anche in questo caso, stonano i termini unicamente encomiastici: Balbo fu certamente un aviatore di notevole livello, capace di fondare e organizzare con moderni criteri l’Arma aerea italiana, ma fu anche uno dei più spregiudicati esponenti della gerarchia fascista, con una fama, un prestigio e un peso politico quasi pari a quello del suo Duce (il quale, peraltro, dopo l’impresa del Decennale, ne fece il governatore della Libia, allontanandolo dalla ribalta dei media internazionali: ma questa è un'altra storia).

     

    La tragedia della scelta

    Proseguendo nel cammino cronologico proposto dalla mostra, si giunge a un altro momento chiave, tra i più controversi della vicenda nazionale legata all’ultimo conflitto mondiale. Siamo ai terribili mesi della crisi finale: la guerra irrimediabilmente persa, la crisi del regime fascista culminata con le dimissioni del 25 luglio, e poi l’armistizio dell’8 settembre. Trauma nazionale, totale, trasversale e delle cui tragiche conseguenze le nostre Forze Armate furono probabilmente le principali vittime. Momenti difficilissimi da ricostruire e raccontare, nella loro complessità e nell’ampiezza delle diverse articolazioni e interpretazioni.

    Il lacerante dramma che travolse gli oltre due milioni di italiani in divisa, in quelle ore fu forte e nella mostra lo si riassume così:

     

    La regia aeronautica segue il Re e il Governo monarchico al Sud per combattere l’invasore tedesco al fianco degli Alleati e sui velivoli i fasci littori lasciano spazio alle coccarde tricolori. Una minoranza di uomini tuttavia rimane al Nord, nella repubblica Sociale Italiana dove, inquadrati nell’Aeronautica Nazionale Repubblicana, combatterono per difendere il territorio italiano martoriato dalle incursioni anglo-americane. Altri aviatori, invece impossibilitati a raggiungere i Reparti costituiti al sud, si uniscono alle formazioni partigiane.

     

    Qui la questione interpretativa si fa delicata. La consecutio degli eventi fornita dalla didascalia è corretta. Tuttavia, è arduo spiegare con la sola registrazione dei fatti il nodo storico della vicenda dell’A.N.R. (Aeronautica Nazionale Repubblicana), ovvero quel simulacro di arma aerea concesso di malavoglia dai vertici militari germanici occupanti alla Repubblica Sociale fondata da Mussolini, e operante dall’ottobre del 1943 all’aprile del 1945 alle dirette dipendenze degli stessi tedeschi.

    Fu una scelta, quella dei piloti e del personale della Regia che preferirono restare fedeli al Fascismo nella sua ultima e più feroce versione, quella di Salò, che non appare affatto risolvibile nella formula “combatterono per difendere il territorio italiano martoriato dalle incursioni anglo-americane”: proprio per il rispetto che si deve a chi si orientò secondo scienza e coscienza in ciò che andava accadendo in Italia in quei mesi, nel calderone della Seconda Guerra Mondiale.

    Forte è il sospetto che questa sia più una motivazione auto-assolutoria elaborata ex post, che l’espressione del sentimento che animò chi scelse di confermare la sua fedeltà al Fascismo e all’alleanza con la Germania nazista. Infatti, fu chiaro da subito, soprattutto ai militari, il vero volto di questa alleanza, dal momento che, con l’Operazione “Achse”, i tedeschi assunsero il pieno controllo delle regioni italiane del centro-nord e della condotta della guerra in Italia.

     

    Tutte le scelte furono giustificabili?

    Ci si domanda qui se sia corretta questa sorta di equiparazione fra chi, tra il personale della Regia, volle e poté obbedire agli ultimi ordini del Governo Badoglio che, in coerenza con le clausole armistiziali firmate a Cassibile il 3 settembre 1943, prevedevano lo spostamento di personale, mezzi e materiali presso le basi del Mezzogiorno occupate dagli Alleati; tra chi, non potendo materialmente eseguire tali ordini, successivamente si unì alle formazioni partigiane operanti al Nord; e chi invece scelse prima di mettersi a disposizione degli occupanti nazisti (diversi piloti italiani furono assorbiti nei reparti di volo della Luftwaffe operanti sul suolo italiano) e successivamente optò per farsi inquadrare nelle formazioni della A.N.R. della Repubblica Sociale Italiana.

    Questione annosa, delicata, che tocca un nervo da sempre scoperto della nostra storia recente quello della “scelta” che molti, moltissimi italiani, in divisa e no, dovettero fare nelle circostanze più drammatiche.6

    Il sentimento imperante che sembra aleggiare oggi, tra gli hangar e sulle piste di volo della nostra AMI - e la didascalia in qualche misura lo rappresenta – è che tutte le scelte furono giustificabili.

    Valgano, per meglio spiegare questo sentimento, le parole di Giulio Lazzati in un bel libro del 1965 dedicato al sacrificio degli aviatori italiani tra il 1940 e il 1945. Parlando della A.N.R. egli scrive: “Tanti morti, proprio come noi giù al Sud, anzi, peggio di noi perché i piloti della “repubblica” hanno dovuto combattere contro forze enormemente superiori e con la certezza che ormai era tutto perduto. Perché lo hanno fatto? Me lo sono chiesto pure io, ma chi di noi può scandagliare l’animo umano e spiegare il perché di certe supreme decisioni? Solo, per me, contano la spontaneità e la dirittura morale, con cui si segue una strada, non il perché della sua scelta”.7

     

    Un'asetticità solo apparente

    Queste didascalie, che inducono il visitatore a focalizzare la sua attenzione sul dramma personale degli aviatori, lo disorientano per quanto riguarda le scelte interpretative odierne dell’aeronautica: un’arma che, oggi, difende una nazione democratica, nata dalla lotta al fascismo e che, di conseguenza, sarebbe obbligata a rivedere criticamente il proprio passato.

    L’asciuttezza e l’asetticità delle didascalie, quindi, non sono un fatto tecnico. Nascondono un’interpretazione univoca del passato, fuorviante e distonica, soprattutto ove si consideri che queste occasioni pubbliche sono rivolte anche agli studenti delle scuole che, in particolare attraverso lo studio e la conoscenza delle vicende più dolorose e laceranti della storia nazionale, dovrebbero costruire la propria capacità di leggere il presente. Può davvero una mostra costruita con questi criteri contribuire a fornire un onesto e limpido bagaglio cognitivo a quanti, giovani e no, vogliano capire e sapere di più e meglio dei momenti cruciali del nostro passato?

     


    Note

    1 Questi documenti sono conservati all’Archivio Centrale dello Stato e ora in Alessandro Cova,Graziani, un generale per il regime, Roma, Newton Compton Editori, 1987.

    Data al 1884 la nascita di un primo Servizio aeronautico a Roma, con l’uso di aerostati da ricognizione. Fino a tutta la Prima guerra mondiale, l’arma aerea operò come branca del Regio Esercito. Fu poi elevata ad Arma autonoma con Regio Decreto del 28 marzo 1923, mentre il 30 agosto 1925 venne costituito il Ministero dell’Aeronautica. Dopo l’8 settembre, la Regia Aeronautica continuò a operare sotto il controllo degli Alleati in alcuni aeroporti pugliesi nella fase della cosiddetta co-belligeranza. Al centro-nord, una volta costituitasi la Repubblica Sociale Italiana, a partire dal 27 ottobre 1943 venne costituita l’Aviazione Repubblicana, dal giugno 1944 Aviazione Nazionale Repubblicana (ANR). L’attuale denominazione Aeronautica Italiana risale invece al 1946, poco dopo la nascita della Repubblica italiana.

    Fra gli storici che si sono occupati delle guerre coloniali italiane, segnalo Nicola Labanca, Oltremare storia dell’espansione coloniale italiana, Il Mulino, Bologna, 2007; Franco Bandini, Gli italiani in Africa, Longanesi Milano, 1971; Angelo Del Boca, I gas di Mussolini, il fascismo e la guerra d’Etiopia, Editori Riuniti 2021. Il colonialismo nei nostri libri di testo: Cajani L., Colonialism and Decolonization in History Textbooks for Italian Upper Secondary School, in The Colonial Past in History Textbooks. Historical and Social Psychological Perspectives, (a cura di K.V. Nieuwenhuyse e J.P. Valentim), IAP, Charlotte NC, 2018; A. Desio, La decolonizzazione nei manuali di storia italiani per le scuole secondarie di secondo grado: 1990-2020, in “Dimensioni e problemi della ricerca storica”, 1/2021, pp. 159-182.

    4Cfr.http://www.icsm.it/articoli/ri/civispagnola2.html Alberto Rosselli, Breve Storia dell’aviazione legionaria in Spagna 1936-1939: “Per cercare di non urtare la suscettibilità dei governi europei favorevoli alla Repubblica, i 12 aerei, ai quali vennero cancellate tutte le insegne nazionali e i distintivi di reparto, vennero venduti, tramite un finto atto, al giornalista spagnolo Luis Bolìn. A scopo prudenziale tutti gli equipaggi italiani vennero inoltre forniti di abiti civili e documenti falsi”. Sull’apporto dell’Italia alla Guerra civile spagnola: cita qualche testo o riferimenti online.

    5Giorgio Rochat, Le guerre degli italiani, Torino, Einaudi, 2006, pp. 113-114.

    Su questo aspetto la letteratura storica è autorevole e ha dato luogo a un dibattito pubblico molto partecipato. Fa specie che non se ne trovi nemmeno l’eco in questa mostra: Claudio Pavone, Una guerra civile, Bollati Boringhieri, Torino, 1991; Angelo Del Boca, La scelta, Neri Pozza Venezia, 2006. Come esempio di “letteratura dei vinti”, gli esempi sono assai precoci: Giose Rimanelli, Tiro al piccione, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1953.

    Giulio Lazzati,I soliti quattro gatti, Milano, Mursia, 1965, p. 295. Per una ricostruzione aggiornata delle vicende A.N.R. vedi Guido Garello,L’Aeronautica Nazionale Repubblicana, in “Rivisita di Storia Militare”, 20 – 21, Luglio-settembre 2015.

     

  • La giornata della Preistoria. Il giorno in cui la storia non fu noiosa

    di Antonio Brusa

    L’altra domenica, il MuSe ha battuto il suo record di presenze giornaliere, 3792 visitatori. «La tempesta perfetta – mi ha detto Giovanni, che ci lavora come animatore (non so bene i loro job title, c’è una gerarchia articolata: mi perdonerà) – il tempo non è bello, quindi le famiglie sono venute, e oggi è la Giornata della Preistoria. Avremo le masse». Ci sono andato anch’io. Volevo vedere le attività. Molte di queste erano curate dagli operatori del Museo delle Palafitte di Ledro. Li conosco tutti e ne ho parlato altre volte, qui su Historia Ludens.

    Nell’isola di Lost1. Nell’isola di Lost, ci sono vulcani, boschi e pianure, e bisogna cavarsela con pochi oggetti

    Nell’isola di Lost2. Gruppi di bambini discutono animatamente, osservati da genitori partecipi

    C’era Romana, che faceva Lost in Prehistory, il gioco che ho pubblicato qualche anno fa in Piccole Storie. Lei lo ha magnificamente riadattato, preparando una grande mappa dell’isola e tre belle scatole, ciascuna delle quali contiene un certo numero di oggetti. I bambini si dividono in tre gruppi di naufraghi, che occupano tre ambienti diversi di quest’isola. Devono sopravvivere superando le catastrofi che, implacabilmente, Romana prospetta loro. Adesso c’è l’eruzione del vulcano, poi arrivano i pirati, poi viene la tempesta. I bambini si ingegnano, cercano soluzioni, annaspano. Ma non fanno in tempo a tirare un sospiro di sollievo, che il computer malvagio, nascosto nella montagna (avete presente Lost, la serie televisiva?), toglie loro un certo numero di oggetti. Quindi, ogni volta devono superare le difficoltà con sempre minori risorse tecnologiche. Sopravvivere, privi di tutto ciò che oggi consideriamo necessario. Ma vivere. Ecco la condizione umana, tanto e tanto tempo fa, nella preistoria profonda.

    Avevo progettato questo gioco per far capire ai bambini che cos’è il tempo storico. A scuola sono convinti che sia una striscia, un calendario, una sfilza di anni che rotolano. No. Per lo storico il tempo è differenza. Più due momenti sono diversi, più sono distanti. Più sono uguali, più (come ci capita di dire) il tempo non passa mai. La preistoria è il tempo più lontano da noi, perché è il più diverso. Fai storia e filosofia nella medesima attività. E, vi confesso, è esaltante quando vedi che il gioco funziona, che i bambini si divertono, e alla fine ci ragionano su. Anche, perché, tutt’intorno a loro, ci sono i genitori che li guardano, certo orgogliosi dei figli, ma forse attirati anch’essi dal ragionamento. Non vuoi che ne parleranno tornando a casa in macchina?

    I laboratori della selce e delle collane3. I laboratori della selce e delle collane

    In un angolo c’era Giovanni, con un collega del MuSe. Lui taglia la selce. Mi ha regalato una bifacciale perfetta (ci metto un quarto d’ora a farla, mi ha detto). Chissà la rapidità degli acheulani. Mi ha mostrato anche una foglia di lauro, indistinguibile da quelle antiche. Ma ecco un blocco, con i segni chiari della scheggiatura levallois: questo è neandertal sputato. Lo riconosco perfino io. Di fianco, manco a dirlo, c’è lo splendido Uomo di Neandertal del MuSe, che ci guarda. Trionfalmente nudo (se ne fece anche una discussione sulla convenienza pedagogica di questa nudità, ma i bambini non fanno una piega, semmai sono i maschi adulti che, qualche metro più in là, sbirciano nella scollatura della donna neolitica china sulla macina). Seduti attorno a Giovanni, chi prova a scheggiare un piccolo arnione, chi rifinisce il bordo di un qualcosa che potrebbe essere un raschiatoio, chi fabbrica collane. Giovanni e il suo collega guidano i bambini con poche indicazioni sottovoce, più con i gesti che con le parole, perché, nel frattempo, lavorano anche loro qualche strumento. I bambini seguono attenti. Alla fine (dopo che Giovanni ha tolto il filo della selce, taglientissima, se no), ciascuno ottiene il suo strumento. E se ne vanno, felici, lui e i genitori, a fare un’altra attività.

    Kahoot4. <em>Kahoot!</em>  E il testo a risposta multipla diventò un gioco

    Peccato le nuvole. Si rinuncia al tiro con l’arco (a Ledro ne hanno una ricca collezione). Si ripiega allora al piano dove si raccontano le favole di preistoria (me le sono perse, purtroppo), oppure – unica concessione alla tecnologia – al gioco del kahoot. Non è roba nuovissima. Molti insegnanti lo conoscono già e quelli più scafati sono “oltre”. Lo vedevo, però, in azione per la prima volta. L’idea è elementare. Carichi delle domande a risposta multipla, che vengono proiettate sulla Lim. I partecipanti si collegano con il loro smartphone e rispondono. Il programma calcola la velocità delle risposte, controlla la loro esattezza e, man mano, assegna i punteggi. Alla fine c’è un vincitore. Dove sta il bello, direte? Be’, nel fatto che tutti vedono la domanda e si risponde insieme. Insomma, è proprio il contrario del solipsismo del quale la vulgata incolpa il cellulare. Dal canto suo, la conduttrice abilmente infila, a ogni item, una qualche notizia di preistoria (e le domande sono anche belle, direi). Tiene bene il ritmo, si va spediti. Le otto domande scorrono in una ventina di minuti. Ma nel frattempo nessuno ha perso un colpo. Tutti si sono praticamente sorbiti una lezione di preistoria, e se ne vanno felici e contenti. A giocare ancora, bambini, ragazzi e genitori. E anche un professore amico mio, che si è incanaglito (gli davo di gomito, dai, sbagliane una) e, no, ha voluto vincere lui, se ne va col pacchetto di libri premio.

    Il clou. La tombola preistorica. Un grande spazio, tutti seduti per terra. Si riconoscono i gruppetti familiari. Un pannello sul quale si segnano a mano i numeri. Donato, del Museo delle Palafitte, li commenta ad alta voce, aggiungendo ad ogni numero, che è associato a un qualche oggetto preistorico, un commentino in tono. Anche qui, nulla di tecnologicamente avanzato. Ma le discussioni familiari, le mamme che approfittano per guidare i ragazzi (e magari portarli fuori strada), i gridolini di gioia, quello che credeva di aver vinto e invece no, e quello che aveva vinto veramente, e andava a ritirare il premio. Certamente: dinamiche elementari. Ma sono stati un’ora e mezzo a cincischiare con termini come “bifacciale”, “bulino”, “raschiatoio”, “palafitte”, che indubbiamente non appartengono al lessico familiare. E poi: quanta fatica fa un insegnante, per parlare di ste cose a una banda di ragazzi? E quanta una guida, che li deve tirare per i capelli, di fronte a una teca di oggetti?

    Tombola Preistorica5. La folla dei giocatori alla Tombola Preistorica

    Da un lato, vedo un tappeto con delle ciotole di colore e dei pennellini. Quello che resta del piccolo laboratorio di tatuaggi preistorici con l’hennè (sono andati tutti a giocare a tombola).

    Ecco, questa è stata la “Giornata della Preistoria”. Ne ho fatto una descrizione troppo partecipata? Vero. E se qualche lettore penserà “tutto qui?”, gli darò ragione. Tutto qui. Ma era coinvolgente, piccoli e grandi ne sono stati catturati, e non sono stati mollati per tutto il pomeriggio. Attorno a queste attività, il MuSe di Trento. Chi non lo conosce, può solo immaginare il dispiego di tecnologia comunicativa di questo museo, l’intelligenza con la quale è stato pensato e le emozioni che riesce a creare con i suoi allestimenti. La gente passa, guarda, tocca gli schermi attivi, si affolla intorno agli exibit.

    Tecnologia? Tanta ce n’è nel MuSe. Ma se pensate che il suo successo sia in questa, sbagliate di grosso. Fermatevi un momento, e guardate gli operatori. Chi staziona presso delle installazioni, pronto a suggerire qualcosa o a rispondere a domande. Chi, in uno spazio apparentemente improvvisato, imbastisce uno spettacolino in tema. Qui lo chiamano Instant Theatre (ne abbiamo fatto uno anche noi, io e Romana Scandolari, “il Guinness dei Primati”, nel quale una bambina ha vinto, e quel professore di sopra è arrivato ultimo). Chi tiene un laboratorio, chi gestisce un gioco. Raccoglie un po’ di bambini, li mette intorno a un tavolo e fa far loro qualcosa. Sono le persone – ben formate – che costituiscono il motore di questa macchina di scienza e storia.

    La riprova è in questa giornata. Al MuSe viene un sacco di gente. Sempre. Ma domenica, 1 ottobre 2017, hanno fatto il record. Lo hanno fatto anche perché sono venuti quelli del Museo delle Palafitte di Ledro, dove (forse in omaggio all’età del bronzo) non c’è traccia di video, smartphone, interattività, realtà virtuale o aumentata, full immersion e quarte dimensioni. Fanno tutto a mano, e fanno 45 mila visitatori l’anno. Didattica povera, ma intelligente. La possono fare tutti, questa didattica, anche quei musei dove non ci va nessuno, e che piangono «Ah se avessimo la realtà aumentata… ». Certo, se venissero tanti soldi e tanta tecnologia, tanto di guadagnato. Ma la realtà di piccoli musei, fortemente attrezzati sul piano di questa “didattica povera” (ne potete leggere una rassegna su «Mundus», nn. 7/8, curata da Massimo Tarantini), toglie alibi a tutti, da subito. A ricchi e a poveri.

  • La guerra insegnata (parte II)*. E la didattica che abbiamo perduto.

    Autore: Antonio Brusa

     

    La storia

    Galvanizzati dal successo dello sbarco in Normandia e, insieme, preoccupati dalla resistenza feroce organizzata dai tedeschi nelle Ardenne, gli angloamericani azzardarono un assalto dietro le loro linee, per tagliarne i rifornimenti e accerchiarle. Obiettivo dell’attacco: le città di Njimegen e di Arnhem, nell’Olanda meridionale, e i ponti che attraversano i loro fiumi. Nome dell’operazione “Market Garden”, tragicamente ottimistico per come andò a finire. Tempo: dal 17 al 26  al settembre. Nove giorni di battaglia, per un autentico disastro. Migliaia di morti, il ponte di Arnhem perso, decine di migliaia di prigionieri. Obiettivo militare completamente fallito. La guerra continuò per tutto il terribile inverno del ’44 e solo nei mesi iniziali dell’anno successivo gli alleati riuscirono a sfondare la resistenza tedesca. Il Museo della Liberazione di Groesbeek, nei dintorni di Nijmegen, è uno dei tre che, sul luogo della battaglia, ne conservano la memoria. L’ho visitato e sono stato colpito sia dallo sforzo didattico che i suoi progettisti vi hanno profuso, sia dallo spirito degli oltre ottanta volontari che mantengono in vita questa istituzione. Ecco il resoconto.

     

    Il teatro dell’operazione “Market Garden”, con le due città di Nijmegen e Arnhem. Groesbeek è in basso a destra. Qui vennero paracadutate le truppe d’assalto americane. Le truppe inglesi aviotrasportate attaccarono Arnhem.

     

    Indice

    • Il museo
    • Gli oggetti didattici
    • Il memoriale

     

    Il museo

    Il complesso è composto da due edifici: il museo e il memoriale.

    Ancora prima di visitarli, ascoltando la loro storia e osservandoli dall’esterno, scopro che sono essi stessi il primo monumento storico. Infatti l’edificio museale non è altro che uno stabile “industriale”, residuato dell’immensa opera di bonifica che gli olandesi intrapresero dopo la catastrofe dello Zuidersee del 1953, quando il mare ruppe le dighe e inondò i Paesi Bassi. La bonifica terminò a metà degli anni ’80 e uno dei capannoni di lavoro, in luogo di essere smantellato, venne riciclato come contenitore museale. E’ un edificio basso, senza pretese architettoniche, dunque, ma capace di trasmettere una forte carica emotiva al visitatore olandese (ma anche allo straniero che viene informato), perché unisce due momenti di tradizione nazionale, la guerra contro il nazismo e quella contro la furia del mare.

    Il percorso museale è scandito in tre periodi, riconoscibili da colori diversi: l’avvento del nazismo, la guerra, la liberazione postbellica. Non ne parlo, né descrivo i documenti raccolti e la loro sistemazione (non sono un esperto museologo), perché sono attratto dai dispositivi didattici. Anche questi sono una testimonianza di un periodo preciso: vi riconosco la didattica post sessantotto, quella che dura fino al principio degli anni ’90, nella quale si osservano i primi tentativi (e il loro entusiasmo) di costruire un rapporto con l’oggetto storico basato sull’interazione, e non solo sul racconto delle guide. Ma è anche la didattica del Novecento, basata sulla tecnologia di quel periodo: elettricità, carta, legno e metallo. Un mondo didattico recente, ma ormai scomparso nel nostro secolo, dominato dai computer e dall’elettronica. Simile a quel mondo che ci ostiniamo a cercare, noi adulti, nei giocattoli esposti nelle librerie della Città del Sole.

     

    Il Museo della Liberazione Nazionale di Groesbeek è alloggiato in una costruzione riciclata, utilizzata originariamente per le opere di bonifica dopo l’alluvione del 1953

     

    Gli oggetti didattici

    La realtà virtuale ha conquistato il ruolo di unica via per “far vedere la storia” e ha privato di credibilità ogni altro tentativo di visualizzazione. Questo museo ci mostra come si faceva una volta: attraverso i diorami o i plastici. La realtà virtuale li ha relegati al ruolo di giocattoli scaduti. Un tempo erano uno strumento didattico di avanguardia. Costoso, richiedeva cura, capacità tecniche e studi. In questi musei ne troviamo esemplari di diverso formato. Alcuni, piccoli, rappresentano momenti emblematici dell’avvento nazista o di guerra, come lo sbarco in Normandia. Uno, a grandezza naturale, fissa una scena drammatica, del tentativo di attraversamento del fiume da parte di soldati americani, costretti a ripiegare e a curare i feriti.

    Piccoli plastici: scene di età nazista e lo sbarco in Normandia

     

     

    Quasi a grandezza naturale un momento drammatico del tentativo di attraversamento del fiume

     

    L’interattività è la parola d’ordine dell’odierna didattica digitalizzata. Come si faceva un tempo? Con le lucette e i pulsanti. Un plastico circolare, di alcuni metri di diametro, con delle sedie attorno. Il visitatore si accomoda. Una voce racconta le fasi della battaglie e, man mano, si accendono le luci che rappresentano l’avanzata di una colonna corazzata tedesca, o l’atterraggio degli alianti inglesi. Un faretto illumina i luoghi interessati dal racconto. Puoi anche premere dei pulsanti e vedere fasi particolari: come nel plastico “elettrico” degli scontri sui ponti di Nijmegen. Entrare dentro la storia? Il computer odierno rende reale questa magia. Nella didattica eroica novecentesca è ancora questione di pulsanti e lampadine. Ecco una schermata che mostra delle scelte. Siamo sotto la dominazione nazista. Ci sono dei collaborazionisti. Tu che faresti? Fai la tua scelta, premi il bottone e vedrai le conseguenze. E, infine, lo vediamo il computer, sempre collegato al pannello elettrico. Una scrittura antica (quella dei primi Word o di Wordstar: ve li ricordate?) accoppiato all’onnipresente pannello, con la sua aria da sommergibile del capitan Nemo.

     

    Seduto ai bordi del plastico, il visitatore italiano, riconoscibile dalle scarpe da ginnastica, ascolta la storia e guarda le lucette.

     

     

    Gli scontri intorno al ponte sono visualizzati dalle lucette intermittenti

     

     

    Tre scelte empatiche sulla collaborazione con i tedeschi

     

     

    Un antico computer affiancato da un pannello elettrico

     

    Anche la didattica ludica, oggi, sembra non poter fare a meno del computer, dei suoi scenari realistici, della complessa interazione garantita da programmi sempre più complessi (e costosi). Un tempo, era il regno del gioco dell’Oca, che in questo museo è utilizzato per ricostruire gli eventi dal Nazismo alla liberazione; oppure del Monopoli, che riprende lo stesso percorso e lo riformula con le sue regole specifiche. In questo caso, sono documenti autentici: giochi stampati e diffusi nell’immediato dopoguerra. Ma ci sono giochi (o attività ludiche) progettate apposta per il museo. Non sono meno interessanti. Una bilancia e dei pesi: i fatti e i pregiudizi. Riuscite a trovare un equilibrio (il fatto che sconfigge il relativo pregiudizio)? Oppure uno scaffale con  22 caselle. Accoppiatele nel modo giusto. Si accenderà la lucetta verde e avrete vinto. Infine, il gioco che mi ha commosso: un pannello verde con dei buchi, attraverso i quali si vede un colore diverso. Si chiede alla classe di scegliere il colore della pelle che preferisce (immaginate una classe olandese multicolore). Ognuno sceglie il suo, ovviamente. Si solleva il pannello, compare il petto di un giovanotto. Quei colori diversi erano variazioni della stessa pelle, dello stesso uomo. Un giochino senza pretese, oggi diremmo dall’alto della nostra ipertecnologia iperpedagogizzata. Ma un ottimo punto di partenza per una discussione sul tema (e anche un buon modo per chiudere una visita ad un museo sulla guerra).

    Funzionano queste semplici macchinette didattiche? A giudicare dai visitatori, sì. 40 mila annuali non sono pochi, per un piccolo museo, con soli tre impiegati stabili e 80 volontari che lo mandano avanti, fanno le guide o gli animatori, puliscono, tengono il bar (ampio e confortevole, come mi capita spesso di vedere oltrealpi) e il piccolo bookshop, che non vende modellini di armi, ma cappellini, magliette, agende e penne, papaveri di stoffa rossa, e libri.

     

    Il gioco dell’Oca e il Monopoli sulla liberazione

     

     

    La bilancia dei fatti e dei pregiudizi e lo scaffale delle corrispondenze

     

     

    Gioco interculturale: scegliete il colore della pelle, poi sollevate il pannello verde

     

    Il memoriale

    Il memoriale ha l’aspetto di un paracadute. Forse non fu progettato da un archistar, ma questa forma e il materiale trasparente con cui è realizzato, creano un ambiente luminoso che non ti aspetti per un luogo di memoria. Tutto è chiaro, anche il corridoio che circonda la sala delle conferenze, sulle cui pareti sono appesi i simboli dei reggimenti che parteciparono all’impresa. Da un albero stilizzato dondolano dei foglietti. Sono le riflessioni dei bambini al termine della visita. Scrive Bodine: “mai più guerre”. Sarà retorica, buonismo, quello che volete. Ma è meglio che scrivano frasi di questo genere, piuttosto che quelle che, al tempo del nazismo e durante la guerra, i bambini di entrambi i fronti erano portati a scrivere.

    Una didattica ingenua? Passata di moda? Una didattica povera, superata dai tempi? E’ facile pensarlo e qualcuno, a questo punto sarà di questa idea. La mia è divisa in due ordini di riflessioni. Il primo riguarda questa struttura e le persone che la fanno andare avanti e il flusso dei visitatori, incessante, anche in un giorno di pioggia, come quando ci sono andato io. Il confronto con l’Italia è spontaneo. Anche da noi ci sono musei di guerra: quelli del Risorgimento; quelli della prima e della seconda guerra mondiale, ai quali ho dedicato un lavoro che vedrete presto su HL; quelli della Resistenza. Ora, al di là del loro successo di pubblico, molto vario (per esempio quelli del Risorgimento non è che ne riscuotano tanto, nonostante il recente 150esimo), nei nostri musei di guerra si celebra qualcosa di nostro: il patriota che combatte per l’Indipendenza, o contro il nemico, o per la libertà e una società più giusta. Ma sempre un italiano. A Groesbeek no. Gli eroi sono americani, canadesi, inglesi, polacchi, e tanti altri. Altri, appunto. Eppure, la cura, la passione per la memoria sono palpabili e concreti, come abbiamo visto, nell’imponente numero di volontari. Memoria nazionale, certamente, ma non assistita e concretizzata da eroi egualmente nazionali. Tanta passione, mi sembra di poter dire, per “l’episodio in sé”. Qualcuno è venuto qui e ha combattuto per la libertà. E questo va ricordato.

    Sono solo i pensieri di un visitatore. Nulla di scientifico, ma non posso fare a meno di ricordare il cimitero di Corpusu (Capurso), che i baresi conoscono benissimo, dove sono sepolti i soldati polacchi che caddero in Italia, combattendo contro il nazismo. Confesso di non esserci mai entrato. Mi chiedo quanti miei concittadini hanno fatto come me e mi rammento di un esame (l’argomento era “i luoghi di memoria”), durante il quale la studentessa non seppe dirmi se questi polacchi combattevano con gli Alleati o con i Nazisti.

     

    Il secondo ordine di riflessioni è più tecnico. Quella didattica che ho cercato di raccontarvi è essa stessa un cimelio di un passato. Rende palpabile l’enorme distanza che ormai separa gli anni ’80 dall’oggi. E, paradossalmente o miracolosamente, funziona bene ancora. So che in quella regione (la crisi c’è ovunque) si fa l’ovvio ragionamento che tre musei vicini sono troppi e che sarebbe bene accorparli. Mi piacerebbe che non buttassero via questi giocattoli didattici e avessero l’intelligenza di creare loro uno spazio museale. Anche loro, come gli ambienti e le scene di vita degli anni ’40 e ’50, così ben ricostruite, meritano un posto nella memoria sociale.

     

    Il memoriale di Groesbeek a forma di paracadute

     

     

    L’interno del memoriale

     

     

    Lungo il corridoio perimetrale i simboli dei reggimenti di diversa nazionalità impegnati negli scontri

     

     

    I ragazzi scrivono le loro impressioni su biglietti, che vengono appesi a un albero.

    Mai più la guerra. Bodine

     

    *La prima parte è stata già pubblicata su HL. Descrive la didattica dei musei di guerra in Francia. Le parti successive sono dedicate alla didattica di guerra in Italia.

  • La guerra insegnata. Note di didattica per la scuola e per i musei. (Parte prima)

    Autore: Antonio Brusa


    La guerra insegnata. Note di didattica per la scuola e per i musei. (Parte prima)

     

    Indice


    1. Craonne, la città martire
    2. Gallipoli, la spiaggia sacra
    3. Perché studiare la guerra?

     

    1. Craonne. La città martire

     

     Craonne si trova nel Nord Est della Francia, sotto le Ardenne, dove si affrontarono soldati di molte guerre, europee e mondiali. Per una di quelle eccezioni che si imparano solo in loco, si pronuncia Cran (ma dubito tutti i francesi lo sappiano). La città è piccolissima, un insediamento sparso, con una vecchia scuola, adibita a mensa, e un palazzo comunale costruito con i fondi del governo svedese (omaggio alla città martire). La città importante più vicina è Laon. A un medievista brillano gli occhi a sentirne il nome. Qui si elaborò la scrittura detta “Laon A Z”, sulla quale molti studenti di paleografia, me compreso, hanno consumato i loro occhi. Anche Laon si dice “Lan”. Ho perso l’occasione di farmene bello, di questa particolare pronuncia, con Franco Magistrale, che mi insegnò quella scrittura. Mi consolo dedicandogli questo piccolo lavoro.

     

    L’alboreto di Craonne è un luogo dello spirito. Cento anni fa era l’inferno. Craonne, infatti, è una cittadina che si trova al termine dello Chemin de Dames. Il nome delizioso di questa lunga vallata viene dal 1700, quando le signore del tempo vi passeggiavano con le loro carrozze. Durante la Prima Guerra mondiale era pronunciato con terrore dai soldati. Quella valle era la linea di contatto fra le armate tedesche e quelle francesi. Nel piccolo palazzo comunale di Craonne, due plastici, forse un po’ ingenui, illustrano efficacemente la situazione militare: le trincee nemiche scorrevano parallele, a volte a pochi metri di distanza; mentre – in alto – dal costone che sovrasta la vallata, i tedeschi mitragliavano e bombardavano i francesi, che cercavano invano di ripararsi dietro fortificazioni di ogni specie.


    Quel luogo fu un macello umano. Nella prima giornata di assalti morirono quasi cinquantamila francesi. Alla fine della guerra le vittime furono diverse centinaia di migliaia, da entrambe le parti. Fra di loro, anche cinquecento italiani, di un corpo d’armata inviato dal Regno d’Italia a soccorrere l’alleato in difficoltà. Un quadro, anch’esso alquanto ingenuo, esposto nel comune, ci restituisce il senso di una tragedia ottusa. Ritrae una lunga fiumana di soldati, visti di spalle. Procedono stretti l’uno accanto all’altro verso l’orizzonte, dove c'è Craonne in fiamme, e dove moriranno. Craonne è una metonimia di ogni guerra combattuta sui campi e studiata nelle scuole.


    La cittadina di Craonne, ai piedi del costone, fu distrutta dalle artiglierie francesi. Dopo la guerra non venne ricostruita in loco, ma a pochi chilometri di distanza. Al suo posto hanno lasciato crescere gli alberi. Scendi nel parcheggio, dall'auto o dal pullman che scarica i visitatori, e ti dirigi verso il bosco. Ti inoltri per i viottoli. Riconosci facilmente che furono un tempo le strade della città. Ad ogni svolta, un cartello con la foto d’epoca ti avvisa che c’era una piazza, al posto della radura; e più avanti ancora il fornaio e poi la scuola comunale. La vita degli alberi, al posto di quella degli uomini e delle loro cose. Forse è questo il senso di pace, che l'alboreto ti comunica?

    Craonne come è oggi e come era prima della distruzione


    Più in là, verso il costone di roccia, vedo degli operai. Lavorano alle attrezzature turistiche del sito. Strade, scale, giardini curati. Il costone di roccia era stato traforato dai tedeschi, con tunnel e bunker. Uno di questi, la Caverna del Drago, è diventata un museo, al termine del quale si passa in un bar/ritrovo, che si apre sulla valle con una balconata spettacolare. Quello era il punto di vista dei soldati tedeschi, e ora è il mio. Oggi, vedo una distesa di colline morbide, con macchie alberate, fattorie, campi coltivati. Il soldato tedesco scrutava quella distesa ingrigita dal fumo, dai ruderi e dai tronchi bruciati, alla ricerca di nemici da eliminare.

     

    L’ingresso del bunker, chiamato la Caverna del Drago; il belvedere attrezzato del museo omonimo

     

    I cittadini di Craonne trovano nel turismo di guerra una fonte di sostentamento. Non c'è bisogno di una indagine accurata per capirlo. Ho la sensazione, però, che lo facciano con dignità. E' una sensazione, certo. Forse, sono anche influenzato dal fatto che la città non si limita al turismo, ma promuove una ricerca accanita e senza veli sulla guerra e sulla memoria.


    La Francia ha un rapporto particolare con la storia. A differenza del nostro paese, è facile che un dibattito storico accenda gli animi della gente comune anche se si parla di fatti accaduti un secolo fa, come è il caso della Prima Guerra mondiale. Detta in parole povere, la questione che divide gli studiosi è questa: per conservare la memoria di quel passato tragico, dobbiamo accettare tutto, usare ogni mezzo, anche la spettacolarizzazione spinta; oppure questa memoria acquista senso e utilità sociale solo se tiene viva  la tragedia e l'incomprensibilità del conflitto, che lacerarono – insieme -  quei tempi lontani, e quelli che ci separano da loro? Ci dobbiamo battere perché la memoria è un patrimonio da salvaguardare per il solo fatto di riguardare eventi decisivi; oppure dobbiamo lottare – intellettualmente e moralmente - per dare un senso a questa memoria? E che cosa deve dar senso a questa memoria? L'idea che quei fatti sono le nostre radici, il “passato senza del quale non abbiamo futuro”? O può darle senso – e quale? - la puntigliosa ricostruzione della desolazione che quei fatti portarono?


    Perché ricordare? Vale anche per la memoria la domanda che il bambino rivolse a Marc Bloch, “perché studi la storia?” E vale anche in questo campo l'ammonimento di Bloch, che gli storici sbagliano, e di grosso, a considerare scontata questa domanda?

    Il programma del convegno su Storia e Memoria

     

    2. Gallipoli. La spiaggia sacra

     

    Quindi, sono a Craonne, insieme con storici che vengono un po' da tutto il mondo, perché ci accomuna il desiderio di raccontarci qualche risposta a questa domanda. Fu una guerra mondiale: dunque non mi sorprende di ascoltare colleghi francesi, italiani, spagnoli, cechi e turchi, canadesi, americani e neozelandesi. Questi ultimi mi incuriosiscono particolarmente. Perché un neozelandese o un australiano dovrebbero porsi oggi il problema della memoria della Prima Guerra mondiale? Certamente, quelle terre inviarono dei soldati. Facevano parte dello schieramento alleato. Questo lo studiamo. Ma, tutto sommato, saremmo portati a pensare che si trattò di una guerra per loro lontana, che sentirono estranea, e quindi facilmente preda dell'oblio. No, ribatte Fanny Pascual, che insegna nell’Università della Nuova Caledonia, informando noi europei che i memoriali della Prima guerra abbondano ai nostri antipodi. Sono luoghi di memoria venerati, oggetto di turismo e di visite incessanti. Sono luoghi di fondazione della nazione.

     

    Il memoriale di Auckland in Nuova Zelanda e quello di Canberra, in Australia, con i papaveri, i fiori dei soldati, apposti dai visitatori

     

    Normalmente, quando spieghiamo in Italia la Prima guerra, tralasciamo un evento che per noi, per la nostra sensibilità, appare alquanto distante. Al principio del 1915 gli Alleati decisero di aprire un nuovo fronte in Turchia. Organizzarono una flotta e uno sbarco imponenti (la prima operazione del genere, sottolineano gli esperti di storia militare). Ma lo fecero così male che mandarono a morire centinaia di migliaia di giovani: neozelandesi e australiani. Un giudizio, questo, sul comportamento stupido e folle degli ammiragli inglesi che guidarono questa impresa sciagurata, che è condiviso dagli studiosi (lo ritroverete fedelmente su Wikipedia). Motivato, senza dubbio, questo giudizio suona però strano, qui a Craonne, dove uno si chiederebbe perché la condotta dei generali francesi,  per quanto sciagurata, sia da considerarsi militarmente corretta.


    In quel caso, ad accelerare la disfatta alleata, contribuì l'armata turca, guidata è vero da un generale tedesco, ma animata da Mostafà Keimal Ataturk, il fondatore dello stato turco moderno. Fu lui, dicono le cronache, che ebbe l'intuizione di fortificare i costoni di roccia che sovrastano le striminzite spiagge dove sbarcarono i baldi giovani dall'Oceania. E di lì i turchi, come i tedeschi a Craonne, presero a mitragliarli con comodo. Per questo motivo, conclude Loubna Lahmrari, studiosa marocchina, specialista di storia turca presso l’università di Montpellier, quella spiaggia di Gallipoli è considerata un luogo di memoria e di fondazione della nazione.


    Il cinema non poteva mancare all’appuntamento. Nel 1985, Peter Weir girò Gli anni spezzati, con Mel Gibson, nella parte di un giovane australiano che fa il portaordini durante la guerra, non riesce ad evitare il massacro e muore anche lui; la Turchia non è da meno, con ben cinque film, uno dei quali reimpiega Mel Gibson, a carattere più o meno nazionalistico.


    La medesima località è diventata un luogo sacro, per due nazioni agli antipodi. E, per giunta, ci dimostra con chiarezza la diversità del ricordo, della memoria e della storia. Per quello della memoria, essa fu teatro di eroismi e martiri. Lo sguardo della storia, invece, pur mettendo in luce le indicibili sofferenze umane che vi furono patite, ricorda che da una parte vi furono dei giovani mandati allo sbaraglio da uno stupido generale; e che dall'altra, altri giovani, per quasi un anno, si esercitarono al tiro al bersaglio umano. La conoscenza, oggi, di quel fatto – potremmo dire “la coscienza storica di quel fatto” -  a mio modo di vedere, non consiste nel “dovere di ricordarlo”; quanto, piuttosto, nell'obbligo morale e scientifico di esplorare i meccanismi sociali, culturali e politici, che lo trasformarono in un evento fondatore.

     

    3. Perché studiare la guerra?

     

    Dovremmo riflettere sull’utilità di una “educazione alla violenza”: in altri termini sulla utilità di dotare i ragazzi di un’attrezzatura mentale, che li metta in grado di far fronte a questo aspetto della vita e della storia, che abbiamo quasi del tutto eliminato nella concezione borghese della vita familiare, ma che straripa nei media e, spesso, nelle strade. E questo è oggi necessario. Non sembri paradossale -  l’analisi dei manuali non ci lascia alcun dubbio – la guerra è sparita dalla didattica.


    Il paradosso nasce dal fatto che, a causa dell’immagine di “storia-battaglia” che la grande rivista francese del secolo scorso “Les Annales” aveva creato per battere la storia tradizionale, e affermare vittoriosamente la propria idea di storia, tutti siamo convinti che gli insegnanti si dividano in due categorie: quelli che spiegano guerre, sovrani e trattati di pace; e quelli che spiegano “la società”. Le battaglie appartengono alla “storia dall’alto”. Ma in realtà: chi la spiega ancora? Ciò che vediamo, invece, è un canone piuttosto deformato, composto da una congerie di tradizioni storiche e storiografiche che si sono fuse e intrecciate fra di loro, attraverso l’uso da una parte, e con la sapiente regia commerciale delle case editrici dall’altra.


    Le guerre, dal canto loro, è vero che abbondano e ne troviamo a bizzeffe, pagina dopo pagina. Ma fate attenzione: sono citate, non sono descritte. Solo qualche volta -  a proposito di Qadesh, per esempio (la prima battaglia che trovo nei manuali: ma sta rapidamente scomparendo, a causa dei tagli di ore e conseguentemente di pagine); oppure della battaglia navale di Salamina o di quella terrestre di Canne – si trova la descrizione delle manovre degli schieramenti. Ma assai di rado leggeremo la sofferenza, i cadaveri, le ferite, la fatica terribile del combattimento, l’angoscia nella sua attesa, la spossatezza e il vuoto, alla sua fine. Sono guerre senza soldati e senza sangue. Tutto questo sia perché i testi, in genere, diventano più freddi e impersonali; sia perché l’intero apparato emotivo della comunicazione storica viene trasferito nelle immagini: e queste, sempre di più invadono i nostri manuali (e c’è da pensare che l’incipiente vicenda della storia in rete non farà che aumentare questa tendenza). Potremmo dire che la guerra dei manuali è il luogo dove si palesa la vittoria della “civiltà delle buone maniere”, che – secondo Norbert Elias – ha pian piano ripulito le nostre case dalle tracce di violenza e di sporco.


    Le eccezioni sono anch’esse significative. In occasione della prima, ma soprattutto della seconda guerra mondiale, si fa largo la descrizione della “sofferenza della popolazione”. Il martirio del fronte interno: il cibo razionato, il freddo, le donne al lavoro maschile, i bombardamenti. E, soprattutto in occasione della prima guerra, troviamo spesso il tema della “vita delle trincee”. A mio modo di vedere, queste pagine hanno molto a che vedere con l’ideologia della “gente comune”, e quindi, pur ponendosi esplicitamente come “critiche” e come “inviti alla riflessione”, corrono il rischio di ribadire convinzioni comuni e ormai scontate.


    Due eccezioni ancora mi sembrano significative, in questo occultamento della violenza, ma sono così importanti che richiedono un discorso a parte. La prima è quella della violenza “sacra”. Quella appunto che porta all’indipendenza della nazione, o alle lotte per la sua sopravvivenza. Per quanto in declino, essa è ancora presente, con modalità diverse e interessantissime da studiare, da nazione a nazione. La seconda riguarda la Shoàh: il racconto della violenza assoluta. Nei tempi recenti è diventato (e anche di questo occorre discutere) paradigmatico al punto tale che tende a sopraffare quello dominante negli ultimi decenni del secolo scorso, il racconto della Resistenza.


    I morti delle guerre manualistiche non sono mai “cadaveri”. Al massimo numeri. Settantamila romani uccisi a Canne; cinquanta milioni di morti nella seconda guerra mondiale. Indici di grandezza della guerra. Inoltre, più si risale verso il passato, più queste vittime assumono i colori dell’epica. Ecco la battaglia di Maratona. Migliaia di morti nell’esercito persiano e “solo” poche decine di ateniesi. Ecco la conquista della Gallia o della Dacia. Centinaia di migliaia di barbari uccisi e un milione catturati e fatti schiavi. Il ragazzo impara la potenza di Roma.


    Non voglio discutere o criticare il racconto epico della guerra. La rielaborazione dell’evento, nella letteratura come nel gioco, fa parte integrante del nostro modo di gestire questi fatti terribili. Il punto è: e la storia? Si deve limitare a citare questi fatti, alle loro descrizioni fredde e asettiche, e, in pratica, li deve occultare? E, magari, deve lasciare al “tema di attualità”, o all’ora di filosofia o di religione, il compito di tematizzarne e raccontarne l’angoscia? Eppure la storiografia ha elaborato potenti sistemi di indagine su questi eventi. Privarne gli allievi non sembra una scelta molto acuta.


    A molti sembra un progresso, non parlare di guerre. Spiego la vita dal basso, della gente comune, la storia di genere o le mentalità. Oppure, come si dice, “spiego la pace”. Giusto: ma non spiegare le guerre significa circondare questi fatti con un recinto di protezione, che li separa dalla storia e li confina nell’empireo degli oggetti scolastici. Li priva della loro problematicità e, perciò, li de-storicizza.


    Noi cercheremo di indagare su questo fenomeno, servendoci di una fonte e di un luogo particolari: i musei di guerra. Molto diffusi in altre nazioni (in Francia in particolare), in Italia sono presenti per la maggior parte in Italia Settentrionale e, ovviamente, con una concentrazione maggiore nelle regioni investite dalla Prima Guerra mondiale. Non mancano i musei del Risorgimento, che di recente hanno conosciuto un momento di risveglio dopo un lungo torpore: anche loro, si ricordi, sono in gran parte musei di guerra. Ho escluso da questa ricerca i musei della Resistenza: per questi occorreranno un discorso e uno studio particolari.


    Studiare la guerra nei musei serve non solo ai loro operatori. E’ utile anche per gli insegnanti. Come tutti sanno, la collaborazione fra insegnanti e operatori è fondamentale per un buon uso didattico del museo. Ma, oltre a questo, lo studio delle scelte espositive del museo aiuta docenti e storici ad approfondire questo argomento. Ci fornisce conoscenze e idee per spiegarla bene, e fare – della guerra – un oggetto di buona didattica.

     

    Fine prima parte

     

    (Seguirano la Parte seconda, sui musei tradizionali e i “musei-manuale”; la Parte terza sui “musei-laboratorio” e i “musei-provocazione”. Questo contributo è la rielaborazione della relazione che ho tenuto al convegno  di Craonne, e che verrà pubblicata in Francia)

  • Roma e le genti del Po

    Autore: Antonio Brusa

    Il grande fiume scorre nella foresta, la nemica acerrima dei Romani.  Un canale, ben curato, attraversa la pianura centuriata. Sullo sfondo, la Brescia odierna. Fra queste scene, che ti avvolgono dagli schermi curvati, si snoda “Roma e le genti del Po” . Una mostra che, mi auguro, segna la fine della mania etnicistica che ha caratterizzato le esposizioni degli ultimi trent’anni (i Balti, i Celti, i Greci dell’Occidente, i Barbari e i Romani).  Un avvilente ossequio all’andazzo ideologico, che, in tempi ancora freschi, ha spinto gli organizzatori a confinare nello spazio nascosto dei cataloghi quegli studi (di Gasparri e di Pohl, per esempio) che dimostravano l’abuso del termine “popolo”, per indicare aggregazioni antiche, le cui caratteristiche non corrispondono a quelle odierne. Saggi che solo uno storico si andava a leggere, mentre il visitatore ignaro (al quale queste mostre sono, in primis, dirette) se ne usciva con l’idea che “un tempo questa terra era abitata da popoli felici, che poi vennero oppressi da Roma, conquistatrice di ieri (e ladrona oggi)”.

    In questa esposizione scopri che i Veneti e i Cenomani erano alleati dei Romani, e da questi ampiamente premiati. Che i Boi e gli Insubri erano federazioni tribali (e non popoli, dunque) e, spesso, si trattava di élites, che si insediavano in terre, abitate da una congerie di popolazioni italiche, con le quali, dopo iniziali fasi di conflitto, trovavano un modus vivendi pacifico, dando origine a “nuove popolazioni”. Si vedono tesoretti di monete puniche, siceliote, sarde e italiche. Dracme celtiche, coniate sul modello di quelle greche. Templi insubri dedicati a divinità delle quali l’interpretatio aveva fornito il corrispettivo latino, e che, in ogni caso, erano rappresentate con aspetti latini, come il sacrario di Atena a Mediolanum, dove i celti custodivano le loro insegne auree. Iscrizioni bilingue, nomi personali misti (un po’ latini e un po’ celti o veneti). Modi di vestire altrettanto contaminati. Scopri, confrontando con i documenti le idee che ti porti appresso, che gli elmi con le corna erano bellamente etruschi e che, se nei musei siciliani si trovano dei sicilianissimi “soli delle alpi”, qui, nelle piane lombarde, si usava il simbolo  adottato dalla Sicilia come marchio identitario.

    Scopri che la valle romanizzata è altrettanto padana di quella celtica, etrusca, veneta o ligure. E la bellezza di questo territorio è proprio quella di conservare la sedimentazione di queste fasi. E, da insegnante, ne trai la giusta conclusione che lo scopo di una corretta educazione al patrimonio è quella  di mettere in grado gli abitanti attuali di questa pianura a leggere questo territorio, a capirne la ricchezza straordinaria e a sentire la responsabilità di custodirla. Quale che sia la loro origine.

     

    Si intravede, fra le righe della mostra, il quadro della “etnogenesi”, un fenomeno, noto agli storici soprattutto attraverso gli studi della scuola di Vienna, della quale Walter Pohl è il maestro riconosciuto. In questo modello, i “popoli” non esistono, ma sono costruzioni incessanti, ieri come oggi. Rielaborazioni di elementi locali e esogeni che non si bloccano mai ad un livello “celtico” o “etrusco” o “romano”. O “italiano”. E’ quindi un abuso contemporaneo staccare delle immagini da un contesto che è in evoluzione continua, per farne il simbolo di una inesistente identità autentica. L’etnogenesi è un fenomeno complesso, che va letto con attenzione e senza mitizzazioni. Nemmeno quelle ireniche. Nella mostra si trovano gli spunti giusti: nelle armi e nell’esaltazione degli eroi, che combattono su fronti multiformi. Punici, celti, romani, liguri o veneti o sanniti. Nei trofei, come la testa di Albino Postumio, antenato del costruttore della Postumia, che fu dorata e custodita in un sacrario celtico. Nel frontone del tempio di Talamone, dove i romani avevano rappresentato il conflitto con gli italici, presentandosi come i Tebani che sconfiggevano i Sette e li mandavano all’inferno.

    In questa complessità c’è spazio anche per la poesia. L’ultima parte della mostra è dedicata ai poetae novi e, credo non solo per me, è stata una sorpresa commovente scoprire che il ritratto di poeta, ritrovato a Sirmione, è proprio quello di Catullo. E’ la tesi di Paolo Moreno, e da questo momento, guai a chi me la tocca.

  • Tharros. O della visita guidata

    Tharros, scavi
     
    La ragazza della biglietteria mi viene incontro. La mia delusione per la mancanza di mappe e di guide deve essere proprio evidente. Mi consiglia: si accodi a quella scolaresca in fondo alla strada. C’è la guida. Ne approfitti.
     
    Ne approfitto. Arricchirà il mio campionario di visite guidate. Raggiungo il gruppo, fermo in una piazzetta a lato del cardo. La guida spiega che serviva per il carico-scarico merci e, magari, per il transito a senso alternato. Mi sento fortunato. Una guida brava. Perciò, voglio vedere quanto resisterà alla ferrea legge della scolaresca-in-visita-guidata, che recita: “Puoi anche essere l’avatar di Cicerone, ma attrarrai un piccolo gruppo di studenti, mentre la maggioranza orbiterà progressivamente più distante, spinta da forze centrifughe irresistibili”. La tappa successiva è il castello delle acque. Queste opere di ingegneria antica mi piacciono da pazzi. Questo, in particolare, ha i pilastri interni e l’intonaco ben in vista. Serviva per impermeabilizzare l’ambiente e impedire la contaminazione dell’acqua, informa la guida, che ha colto un mio sguardo interessato. 
     
    Dietro di me c’è il capannello delle professoresse. Discutono delle infiltrazioni a casa di una di loro. Un ragazzo chiede alla prof, dopo andiamo sulla spiaggia? Un altro ispira all’amico che giocheranno a pallone.  Quelli vicino alla guida si sono ridotti. La forza centrifuga sta vincendo.
     
    Alla tappa successiva ha vinto. La guida, spalle al foro, sale su un masso, alza la voce e inizia: “BREVEMENTE. Ragazzi, ecco il punto centrale di Tharros”. Nulla da fare. Durante il percorso, Riccardo ha gettato cinquanta centesimi in un pozzetto. Ma che sei scemo? Dieci centesimi dovevi buttare. Scemo tu, per la fontana della fortuna ci vogliono almeno cinquanta. Non si parla d’altro. In testa alla fila ormai Riccardo ha buttato due euro e il problema da assodare è se sia scemo o no. Fa eccezione uno, che smanetta al cellulare e ripete: ai fenici piaceva la musica rap? 
     
    Ecco il tempio sul mare, con le colonne finte (quelle vere sono state divelte e portate in una chiesa dell’entroterra). Sapete, gli antichi non buttavano nulla, riutilizzavano tutto. Stavolta non sono d’accordo, cara guida, basta guardare le strade con i basolati divelti e portati via, e gli alzati ormai di pochi metri. Tutto rapinato, altro che riutilizzato. Intanto, siamo arrivati alle terme. La guida mostra la fornace, ormai solo a me e a due turisti francesi, consigliati anche loro dalla signorina dell’ingresso. E ugualmente a noi tre è diretta la spiegazione del sistema fognario, funzionale e intelligente. Non abbiamo inventato nulla, i romani avevano già pensato a tutto. E’ lo storytelling provato tante volte, evidentemente di successo. Con altri pubblici, però. 
     
    Ancora altre due tappe, annuncia rassegnato la guida.
     
    La fila si è pericolosamente allungata. Come ad un segnale ignoto, le prof hanno assunto lo schieramento di guardia. Una dietro a chiudere, due per lato a controllare il gregge. Ah, c’è un prof. Ora me ne accorgo. E’ molto giovane. Sta per i fatti suoi.
     
    Siamo alla Via sacra, quella che sale verso la collina. Di qui non lo vedete, ma dietro c’è il tofet. Attimo di sospensione. Tutti sanno che cos’è. Seduti o in  piedi, vicini o lontani, si fermano. Nessuno guarda la guida. Sembra che ci tengano ad apparire distratti. Ma drizzano tutti le orecchie. Più di cinquemila bambini morti. I romani ci avevano fatto la propaganda – ora la guida racconta distesa - inventando cose terribili sul conto dei cartaginesi (Bravo, mi dico). Invece, il fatto era che qui, a Tharros, si moriva come mosche a causa della malaria. E i corpicini venivano portati al dio. Bravo, dico ancora, e improvvisamente mi ricordo di quando a Cartagine un tipo mi mostrava una lastra sacrificale con due sporgenti, e mi spiegava che i bambini vi si afferravano con le manine, per reggersi mentre il sacerdote tagliava loro la gola. Che ubbidienti, i bambini punici, ci veniva da commentare.
     
    Incoraggiato dal successo, la guida propone: se volete vi posso raccontare altre cose. Se no, ok. OK, quelli dicono al volo e muovono verso l’uscita. Le prof seguono veloci. Il prof ciondolava già dalle parti della biglietteria. Mi avvicino alla guida, gli faccio i complimenti. Gli chiedo altri particolari. Lui, che stava già dirigendosi ad accogliere un altro gruppo (sa, siamo in due soli, non abbiamo un attimo di respiro), si ferma. Vuole raccontare, lo fa bene e io lo ascolto. Fa un altro mestiere. E’ un volontario che ama questo posto e lo conosce a fondo. Ha seguito anche un corso, per imparare a fare seriamente la guida. Mi lascio scappare le mie idee sull’efficacia della “visita guidata”. Ma no, dice lui, oggi i ragazzi sono stati buoni. Vedesse che succede, quando i prof me li lasciano e se ne vanno.
    Non insisto. Sarebbe ingiusto con una guida così brava e appassionata. Ma, mentre me ne vado, non posso far a meno di pensare alla ricchezza di proposte che la didattica museale ha elaborato negli ultimi decenni. L’ultima, semplice quanto entusiasmante, è quella raccontata da Romana Scandolari nel suo Un museo! (Erikson, 2015), dove si conoscono le modalità didattiche seguite al Museo delle palafitte di Ledro.
     
    Ci sono dei motivi ben pesanti, che hanno impedito a questo sapere didattico di trasformarsi in pratica professionale diffusa. La mancanza di fondi, che obbliga le scuole a mettere insieme più classi; la mancanza di formazione, sia per gli operatori sia per gli insegnanti; la mancanza di tempo che impone di fare tutto e di fretta, e quindi a scegliere sistemi veloci di fruizione del sito; la scarsa cultura didattica delle nostre istituzioni museali.  Ma perché non riconoscere che c’è anche una certa dose di pigrizia, in questo ripetere ossessivamente un rito che, se non allontana gli allievi dalla storia, certamente non gliela rende più simpatica? 
     
    Diario di bordo, Tharros, 18 aprile 2015
     
  • The Mary Rose. La nave di Enrico VIII/1.Il museo e il sito

    Autore: Enrica Bricchetto

     

    Si riapre il museo della Mary Rose

     

    Il 14 luglio 2016Bbc News annuncia la riapertura, nella sua versione definitiva, delMary Rose Museum di Portsmouth. Sono passati 34 anni da quando è stato riportato alla luce il relitto della nave da guerra fatta costruire da Enrico VIII e affondata nel 1545 nella battaglia del Solent, nelle acque di Portsmouth.

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    fig.1 14 luglio 2016 La BBC News annuncia l'apertura definitiva del Mary Rose Museum clicca qui     

     

    Inaugurato nel giugno 2013, il Museo è stato realizzato da due studi di architettura consorziati: Wilkinson Eyre Architect, responsabile della progettazione dell'esterno e Pringle Brandon Perkins+Will per gli interni.

    In rete si trovano i documenti di questo straordinario progetto che vede l’edificio sorgere nello stesso luogo nel quale fu costruita la nave e che ora è parte delPorthsmouth Historic Dockyard(clicca qui), l’antica area portuale trasformata in museo a cielo aperto, in cui si trova anche laHMS Victory, la nave ammiraglia in cui morì Lord Nelson a Trafalgar.

     

     

     Il museo

     

    L’esterno del museo, di forma ellittica, rispecchia il profilo curvo dello scafo dellaMary Rose, di cui mantiene le dimensioni. Il legname nero di cui è ricoperto gli conferisce, però, l’aspetto di uno yacht di lusso (clicca qui): si fondono l' ancoraggio al passato, dato dal luogo, e un forte senso di contemporaneità dato dal disegno e dai materiali. Per l’essenzialità e la maestosità dell’edificio l’effetto sul visitatore è davvero impressionante.

    Il Mary Rose Museum  ha richiesto un investimento di 30 milioni di euro (clicca qui) e il coinvolgimento di molti soggetti. Gli architetti hanno lavorato in stretta collaborazione con il comitatoThe Mary Rose Trust, fondato nel 1979, presieduto dal principe Carlo e diretto dall’archeologa Margaret Rule.The Mary Rose Trust ha raccolto i fondi e seguito tutta la storia del recupero e dell’allestimento fino all’ultima versione del museo.

     

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     Fig.2  2 giugno 2013 la BBC annuncia l'apertura del Mary Rose Museum

     

    Il museo è “reborn” nel 2013 perché già dal 1984, due anni dopo il recupero del relitto dellaMary Rose, in un padiglione, era possibile visitare lo scafo mentre  in un museo  erano esposti gli oggetti. Il museo rinasce quando un unico edificio, “su misura”, è pronto per ospitare e presentare al completo il mondo di questa maestosa nave da guerra.

     

     

     Il recupero

     

      Alle 9.03 dell’11 ottobre del 1982 più di 60 milioni di persone vedono per la prima volta il relitto dellaMary Roseaffiorare dal mare in diretta TV.  

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    Fig. 3 11 ottobre 1982 il sito della BBC segue l'evento clicca qui

     

    Molti inglesi lo ricordano. Il recupero, infatti, ha una lunga storia.

    Nel 1818 il fattore John Deane riuscì a salvare un fienile in fiamme indossando l’elmo di un’armatura e un tubo per evitare di respirare il fumo. Il  fratello, comprendendone le potenzialità, perfezionò lo strumento e lo adattò alle immersioni. Nel 1836 Deane fu così ingaggiato per esplorare il fiume Solent alla ricerca dei resti delRoyal George,affondato qualche decennio prima, nel 1782, nelle acque di Portsmouth. Deane, invece, portò a galla fucili di bronzo con il timbro di Enrico VIII. Tutti erano a conoscenza che un’unica nave appartenente alla flotta di Enrico VIII era affondata in quelle acque, laMary Rose.Vennero recuperati alcuni oggetti. Poi l’impresa fu abbandonata.

    Soltanto nel 1965 l’intero relitto venne individuato, a 14 metri di profondità, dallo storico e subacqueo dilettante Alexander McKee, che si occupò del recupero per alcuni anni. Nel 1971 il team dell’archeologa Margaret Rule, che diventerà la figura chiave di una sorta di avventura nazionale, fece il primo sopralluogo.

    Alle ricognizioni iniziali seguirono i primi dubbi : il relitto era abbastanza importante da giustificare il recupero che si prevedeva molto costoso? Lo scafo sarebbe stato recuperato integro? Archeologi, storici navali, architetti navali e ingegneri si misero a studiare e diedero risposta affermativa. Così ilMary Rose Trust avviò la raccolta dei fondi.

    Le difficoltà furono molte sia tecniche sia economiche. L’unico caso simile in Europa era quello della nave reale svedese Vasa del XVII sec., recuperata nel 1961 clicca qui. Inglesi e svedesi avviarono una collaborazione proficua e esemplare.

    In tre anni, dal 1979 al 1982, 500 tra archeologi e sommozzatori, in circa 27.000 immersioni, hanno portato alla superficie lo scafo dellaMary Rose e circa 19.000 oggetti. Lo scafo ha poi richiesto due anni soltanto per la fase di asciugatura, mentre il restauro si è definitivamente concluso nell’estate 2016.

     Al termine delle operazioni, è stato restituito  un  relitto simbolico e di grande significato  a tutto il Regno Unito  ma soprattutto alla comunità di Portsmouth. Nel 1929, come dimostra uno spezzone video conservato nell’archivio della British Pathè, nella cattedrale era stato collocato un modellino dellaMary Rose,in memoria delle vittime del naufragio (clicca qui per vedere il video). Una storia, quella dellaMary Rose, molto sentita sul piano locale e su quello nazionale .

    Per questo le vicende del recupero e del restauro dellaMary Rosesono state sostenute da un’attenta politica di donazioni, da finanziamenti e anche dalla lotteria di stato. 

     

     

     La conservazione 

     

     Fin dalle prime immersioni, per gli archeologi marini la Mary Rose  è stata la “Pompei del Regno Unito”. La nave, infatti, inabissandosi, si è appoggiata  da un lato e lì tutto  è rimasto bloccato, come era poco prima dell'inabissamento. Con il passare dei secoli il lato a tribordo è sprofondato nel limo del fondale, creando un ambiente povero di ossigeno che ha conservato legname e oggetti. Il lato a babordo, esposto all’acqua, si è disintegrato. Questa è la ragione per cui si è conservata metà della nave con tutti gli oggetti, le armi e i corpi.

     

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    fig. 4 A. Roll, Mary Rose,1546 (Mary Rose Museum, Gallery). 

     

     Enrico VIII e la Royal Navy

     

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    Fig. 5. Riproduzione di un francobollo del 16 giugno del 1982 - anno del recupero della Mary Rose -  appartenente a una serie realizzata per celebrare la Royal Navy Tradition.

     

    Enrico VIII Tudor si considerava l’ultimo di una dinastia di sovrani con la vocazione per la guerra e per questo ha investito sulla costruzione di una grande flotta, a ridosso della scoperta dell’America e dell’apertura delle rotte transoceaniche.

    Prima di lui, per le battaglie navali, le navi commerciali venivano adattate alla guerra per poi essere riconvertite di nuovo in tempo di pace. Durante il suo regno, Enrico VIII ha attuato la prima riforma dellaNavy Royal, poiRoyal Navy, creando un segretariato alla Marina, appositi quartieri navali e un piccolo numero di navi specificamente da guerra. Alla sua morte le navi erano 58. Per finanziare tutto questo ha impiegato le ricchezze provenienti dalla confisca dei monasteri mentre trasformava l’Inghilterra in un paese protestante.

    Portsmouth è stata scelta come il principale luogo di costruzione della nuova flotta. Era una città fortificata. Vi era laRound Tower, costruita da Enrico V, laSquare Tower costruita da Enrico VII e Enrico VIII fece costruire ilSouthSea Castle. Nel 1495 fu migliorata l'area portuale con la costruzione dei bacini di carenaggio dove, nel 1510 fu costruita laMary Rosee nel 1511 fu varata.

    La Mary Roserappresentava l’idea più avanzata di architettura navale perché la forma dello scafo era definita da una serie di strutture curve al suo interno alla quali venivano aggiunte successivamente le tavole di legno. La forza dello scafo era garantita dalla struttura interna non dalle tavole. Questa in inglese si definiscecarvel e sostituisce la tecnicaclinker in cui venivano sovrapposte le tavole di legno e successivamente aggiunta la struttura. In sostanza laMary Rose inaugura nella marina inglese laCarvel tradition, che rende le navi più resistenti. L’armamento era straordinario. con potenti  cannoni che uscivano dai boccaporti.

    Mary Rose e Grâce à Dieu ,le due navi più famose - carracks,velieri con tre alberi o quattro e tre ponti  - della flotta inglese, affrontarono la Marina francese nella battaglia del Solent, all’interno della quinta guerra contro la Francia.

    Il 18 luglio del 1545 laMary Rose, forse perché era stato costruito un terzo ponte, che aveva aumentato di molto l’altezza e quella sera il vento si era improvvisamente alzato, si inabissò, tra la sorpresa di tutti.

    A bordo c’erano 500 uomini. Solo 35 furono i sopravvissuti. La maggior parte era intorno ai vent’anni. Nel recupero sono stati individuati i resti di 179 uomini e 92 corpi sono stati parzialmente ricostruiti.

    Il più vecchio  aveva 40 anni, il più giovane 10, un bambino. Dalla lettura degli scheletri è stato possibile rilevare che alcuni soffrivano di malattie provocate dalla cattiva alimentazione e molti riportavano ferite da armi da fuoco.

    Enrico VIII ha assistito all’affondamento, senza poter far nulla, dal ponte della naveGrâce à Dieu.

     

     

     Impressioni di un visitatore reale. Lo scafo

     

    La visita delMary Rose Museum procede per colpi di scena. L’allestimento, passo dopo passo, meraviglia e coinvolge il visitatore, immerso in un’oscurità rischiarata a tratti da una luce simile a quella delle candele o delle lampade a olio. Una penombra, quasi nera e oro. Si vive l’atmosfera di 500 anni prima, quando la nave in piena attività, è affondata.

    Come altri musei recenti, anche il Mary Rose Museum  è immersivo,  fa vivere un'esperienza unica al visitatore  attraverso una metafora forte e  significativa. Storici e architetti hanno scelto  la  metafora dell’inabissamento della nave. Chi visita è alla vigilia del naufragio.

    Nella prima sala, introduttiva e di contestualizzazione, ci sono alcuni pannelli con riproduzioni digitali della nave e dei luoghi, linee del tempo e ritratti dei personaggi storici principali: la dinastia Tudor, le caratteristiche della flotta e la situazione politica.  Solo elementi essenziali. Il visitatore si appropria, senza rendersene conto, delle informazioni che servono per vivere l’esperienza. Entra nella metafora.

    Da lì si sale al primo piano dove avviene il primo colpo di scena. Uscendo dall’ascensore ci si trova a camminare sul ponte centrale della nave,the main deck. A destra il relitto, immenso, nella parte recuperata e ricostruita. L’impressione è difficile da descrivere. E’ metà nave, la sezione longitudinale, tutta completa dei ponti e dei vani, illuminata in modo caldo, notturno, Proiezioni digitali e alcuni ologrammi animano la nave e ricreano la vita al momento del naufragio.

     

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    Fig. 6 Lo scafo restaurato a destra si riflette nell'enorme specchio a sinistra. Il visitatore cammina in mezzo.

     

    Mentre il visitatore cammina sul ponte, alla sua sinistra ha una lunga parete di specchi che riflette lo scafo e su cui sono esposte le armi, cannoni, munizioni, rinvenuti in quel ponte nella posizione originaria.

    La seconda tappa è sotto, nel ponte più basso,the lowest deck, al piano terra del museo. Il visitatore cammina accanto all’immenso relitto e si trova all’altezza della cucina e dei luoghi di servizio della nave. Gli ologrammi mostrano cuochi e servitori impegnati a preparare la cena.

     

     

    Impressioni di un visitatore reale. Corpi e oggetti

     

    Al termine della passeggiata sul ponte, sia al secondo sia al primo piano, il visitatore si trova in una sala in cui teche compatte raccontano le storie degli uomini della nave, di chi aveva un ruolo di comando o di servizio.

    Del comandante - Roger Grenville - del commissario di bordo, del capo arciere, del medico, del cuoco, del nostromo, del falegname capo, grazie alle tecniche di lettura dello scheletro, si conoscono le principali informazioni fisiche: età e stato di salute. A ognuno è dedicata una teca in cui sono disposti gli oggetti che usavano nello svolgimento delle loro mansioni.

    Sui muri delle sale, in corrispondenza delle teche,  fanno da sfondo le foto delle fasi del recupero della nave in modo che il visitatore non perda mai il contatto con le condizioni in cui corpi e oggetti sono stati trovati, pieni di fango e di incrostazioni, tutto mischiato e tutto “smontato”, una sorta di indistinto, separato e riportato alla sua integrità grazie alle conoscenze storiche e alle tecniche scientifiche.

    Gli oggetti sono tantissimi: frecce, monete, munizioni di ogni tipo, pentole, siringhe e strumenti medici, vele e cordami. Un mondo di fonti storiche.

    Qua e là, poi, ci sono alcune postazioni multimediali che consentono di vedere alcune scene di vita della nave. Sono in giusta misura perché questo è un museo di oggetti e la storia la fa la regia della ricostruzione.

     

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    Fig.7  Una teca del Mary Rose Museum

     

    Impressioni di un visitatore virtuale. Il sito

     

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    Fig. 8 Il sito del Mary Rose Museum

     

    IlMary Rose Museumdunque è un museo innovativo e entusiasmante, un’esperienza indimenticabile.

    Tuttavia, in attesa di compiere la visitain loco, esplorare la parte in rete è quasi altrettanto interessante. L’architettura digitale del museo è completa: un sito, la app per Android e per Ios, la presenza sui principali social: Facebook, Instagram, Twitter e Pinterest.

    Esplorare il sito è di per sè un’esperienza per la ricchezza di contenuti e per la forza  che ha in sé la struttura. Non è facile esplicitare il continuo e sapiente gioco di rimandi che è dentro il sito. Quasi tutti gli oggetti sono fotografati. Ci sono alcuni video di animazione e molti video documentari. Si possono seguire percorsi che consentono più scelte e talvolta ci trova anche di fronte piccole domande di verifica o  problemi da risolvere. Si incontrano tutti gli uomini che hanno partecipato a questo ultimo viaggio e si capisce che la nave era in guerra. Ci sono strumenti per approfondire le ricerche, bibliografie complete e una sezione che spiega come è stata finanziata l’operazione del recupero e dell’allestimento.

     C'è anche  uno STEM Lab (Science, Technology, Engeenering and Math), attraverso il quale si possono approfondire gli aspetti specifici di queste discipline in relazione alla nave e al suo tempo, realizzando gli esperimenti proposti e con specifiche domande di verifica. Per esempio è possibile scoprire i processi chimici relativi ai coloranti usati in epoca Tudor o l’uso dei polimeri per la conservazione del relitto; come gli scienziati hanno trovato il DNA degli uomini e lo hanno interrogato; la medicina dell’epoca. In questa sezione si conoscono anche le singole professionalità al lavoro nel recupero e nel mantenimento dello scafo e degli oggetti.

    Dal sito è possibile consultare il database di tutti gli oggetti.

    E’ presentata molto bene anche l’attività per le scuole svolta dalla sezione didattica del museo e suddivisa per ordine di scuola. I laboratori proposti hanno un taglio esperienziale: gli studenti apprendono perché vivono l’ultimo giorno della nave, muovendosi tra gli ambienti e ricostruendo gli oggetti.

    E’ molto importante tenere presente che il sito è efficace soltanto lo se si visita con un computer.

     

     

     Impressioni di un visitatore virtuale. La app

     

    Per i dispositivi mobili, invece, è meglio scaricare la app (in effetti nulla vieta di fare entrambe le cose). Mostra gli oggetti in tre dimensioni ; consente di scaricare o di inviarsi bellissime immagini. Dà la possibilità di fare un audio tour, utile certamente durante la visita, ma anche per capire meglio, da lontano, il mondo della nave.

     

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     Fig. 9 L'icona della app per IOS e Android

     

     

     Questioni didattiche

     

     La storia della nave, del suo recupero e del suo allestimento nel museo e nel sito hanno in sé un potenziale didattico dal punto di vista disciplinare e multidisciplinare.

    Intanto le modalità con cui sono trattati i contenuti nel sito lo rendono esemplare: ogni elemento può essere contestualizzato, ogni immagine ha una data, ogni approfondimento rimanda a un volume o a un altro sito. Ci sono le fonti di tutto.

    Ambienti digitali curati, sani e attendibili come questo, consentono di apprendere nella rete e hanno i titoli per essere usati in ambito didattico. Inducono a far frequentare la rete agli studenti per seri motivi di ricerca, emancipandola da luogo di sole relazioni o di copiatura di facili contenuti (videolezioni per studenti, sintesi senza autori, uso pedestre di Wikipedia). Comincia a prendere forma l’ambizione del web 3.0 che immagina il futuro della rete come luogo di fruizione e di creazione di contenuti adeguati alla cultura di oggi e la considera un luogo educativo e di promozione sociale.

    E’ indubbio, infatti, che sia difficile trovare contenuti digitali certi e adeguati per le lezioni. Cercare in rete è molto faticoso, obbliga a farsi continue domande sull'attendibilità delle informazioni e dell’iconografia. Un museo, come questo, diventa il garante per costruire conoscenze e competenze non soltanto di storia o di inglese o di scienze ma anche sulla comunicazione, mediale in questo caso.

    Studiare la struttura del sito, le modalità di relazioni tra le parti scritte e iconografiche, la scelta e la qualità delle immagini, l'organizzazione dei contenuti - non solo storici - e le informazioni sui profili professionali che hanno ridato vita alla nave, di per sé è un’azione educativa non meno che culturale. Ogni sezione del sito può essere oggetto di schedatura e di analisi. La costruzione da parte del docente di una scheda ad hoc per questo sito può fornire competenze che lo studente potrà trasferire in altri contesti.

    Il sito e la app, inoltre, consentono il download di molto materiale. A questo punto si aprono scenari didattici diversi, a seconda delle discipline. Nel caso della storia, la prima possibilità è creare un laboratorio simulato di fonti sulle quali far ragionare gli studenti. La ricerca di immagini di fonti in rete attendibili e corredate delle informazioni di base per il docente è difficile e ancora di più trasformarle in formati utilizzabili in classe. Lavorando nel sito dellaMary Rose per costruire laboratori sulle caratteristiche della nave è un’operazione relativamente semplice che può fare il docente o farla fare direttamente agli studenti. I laboratori possono essere tematizzati sulle professioni a bordo, sulla condizione degli arcieri, sull’uso degli strumenti medici o sulla cucina. I temi trasversali possono essere molti. La parte relativa alla dinastia Tudor conta su molte riproduzioni del re e dei suoi consiglieri. Anche il paesaggio e la città di Porthsmouth sono bene rappresentate.

    Lo studente entra in contatto con un mondo molto lontano e allo stesso tempo si rende conto di quanto le possibilità tecnologiche intervengano nelle nostre relazioni con il passato. Il passato ci viene restituito dalla tecnologia che ha consentito prima il recupero e l’asciugatura dello scafo e poi la ripulitura di tutti gli oggetti ma anche da quella che ne consente la diffusione in rete.

    Allo studente inoltre si può chiedere di raccontare parti di storia producendo piccoli video, da realizzare con le riproduzioni delle fonti. Anche gli audio possono aiutare a creare in un altro modo la storia o a creare altre storie.

    In più, una potenzialità didattica molto alta ce l’ha la riflessione sulla scelta narrativa del museo e quindi del sito. Il visitatore del museo e del sito è dentro la storia dell’ultimo giorno di navigazione della Mary Rose. E’ la metafora del museo: hanno costruito il museo con lo scafo al centro e sempre visibile da ogni lato; nel sito continuamente è possibile tornare alla nave e alle sue caratteristiche.

    L’architettura del museo corrisponde alla scelta narrativa: il visitatore è dentro la nave, ci si percepisce dentro e, in qualche modo la vive. Così è anche nel sito.

     Come trasformare tutti questi spunti in lezioni?  Nel  prossimo articolo il focus sarà sulla progettazione di attività didattiche 

    -segue

     

    Bibliografia

    A.Burton,The Mary Rose Museum. The story continues, Pitkin Publishing, Glouestershire, 2014

    The Mary Rose Exposed, guida illustrata in vendita presso il museo.

    Tutte le immagini usate provengono dal sito delMary Rose Museum.

  • Tutta la Preistoria in rete!

    Autore: Susy Cavone

     

    Ho cominciato a raccogliere i siti per la mia tesi di laurea, sulla Didattica della Preistoria. Poi ho continuato, li ho riorganizzati ed eccoli qua, a disposizione di tutti: professori, studenti e amanti di questa splendida branca della storia.
    Sono debitrice a molti, per questo lavoro. Fra gli altri, a una precedente sitografia, redatta da Mario Iannone, Valentina Sepe e Maria Corallo (ora inI beni culturali: un patrimonio mediato dalla didatticahttp://www.mondimedievali.net/Storiainsegnata/beniculturali.htm).  Spero che i lettori si comportino allo stesso modo: aggiungendo altri siti, che sembrano loro interessanti, o copiando questa stessa sitografia. Basta inviarci l’indirizzo, con il vostro commento.

     

    ARCHEOLOGIA E DISABILITA’                            

    Museo Egizio da toccare. 1984- 2004, storia di un progetto per i portatori di handicap visivo - Elvira D'Amicone: è la descrizione di un progetto per i portatori di handicap visivo nel Museo Egizio di Torino, realizzato da Elvira D’Amicone; presenta una ricca bibliografia di approfondimento.

    http://www.comune.torino.it/museiscuola/esperienze/index.shtml: sito del C.E.S.M.A.P.(Centro Studi e Museo d’Arte Preistorica) di Pinerolo (Torino) che realizza per le scuole primarie di primo e secondo grado laboratori di preistoria, anche per diversamente abili. E’ possibile scaricare schede e pdf  dei diversi progetti didattici e delle esperienze realizzate dai discenti, nei quali viene approfondita la funzione del museo nella società dell’apprendimento continuo.

    http://tuttiabordo-dislessia.blogspot.com: portale che raccoglie risorse online sul web, software didattici free, news sulla scuola e sulla dislessia.  Ha inoltre realizzato una presentazione a  fumetti animati della preistoria per dislessici.

     

    ARCHEOLOGIA PREISTORICA

    http://www.iipp.it: l’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria offre un sito strettamente scientifico ed estremamente ricco, necessario riferimento per chi si occupa di archeologia preistorica e protostorica. Si consiglia di consultare la bibliografia e la fototeca del sito. Non possiede però un settore rivolto alle scuole; tutti i progetti sono per gli “addetti al lavoro”.

    http://www.tautavel.culture.gouv.fr/: corredato di un’ottima bibliografia, il sito offre un’ottima spiegazione circa la vita dell’uomo di Tautavel in ogni suo aspetto, con particolare riferimento all’ambiente che lo circondava. Contiene un gioco interattivo sull’evoluzione umana con annessa tecnologia di riferimento e schede esplicative.

    http://www.truelles-pixels.mom.fr/:  attraverso la storia di un reperto archeologico, il giocattolo di un bambino del passato (Le bèlier d’Antaka), il sito racconta ai giovani e al grande pubblico il metodo e la tecnica dello scavo archeologico, partendo dal  lavoro della missione archeologica francese realizzata a Mahastan (Bangladesh), per scoprire la civiltà locale di alcuni secoli prima di Cristo e vivere in prima persona uno scavo archeologico.  La cornice è attraente e l’impostazione è fortemente interattiva (suoni, animazioni, giochi, test...).

    http://xoomer.virgilio.it/egnazia: sito ufficiale del Museo e del Parco Archeologico di Egnazia. Contiene informazioni circa la sezione dedicata alle teche del museo ed un percorso fra le emergenze archeologiche presenti nel parco. Alcune pagine sono dedicate alla campagna di scavo iniziata nel 2001 relativa al sito. Non prevede pagine didattiche ma solo un’attività didattica  laboratoriale Una giornata di Gaio ad Egnatia, curata dall’ Associazione Culturale Historia Ludens.


    ARCHEOLOGIA SPERIMENTALE

    http://www.archeologiasperimentale.it
    http://www.archeologiasperimentale.it/link_archeologia.htm:  sono solo alcuni dei siti  di archeologia sperimentale presenti su web, che permettono ai naviganti di seguire passo per passo, attraverso dei video, la realizzazione sperimentale di molti oggetti e utensili  preistorici come bulini e fischietti ricavati da una  falange di cervo, tecniche di scheggiatura e accensione del fuoco, ecc…

    htpp//www.archeolink.com/: il sito si occupa di divulgare informazioni pratiche e teoriche sull’archeologia sperimentale. Organizza attività interattive per adulti e bambini. Sul sito sono  presenti la documentazione relativa alle attività svolte nei laboratori scolastici nazionali, una raccolta di documenti da scaricare e una galleria fotografica.

    http://www.indire.it/content/index: in questo sito si possono consultare numerosissimi progetti didattici relativi all’archeologia sperimentale e alla didattica museale. è possibile scaricare alcuni allegati o proporre on line all’IRRE della propria regione un’attività realizzata dalla propria scuola che sarà poi valutata da INDIRE (Istituto Nazionale di Documentazione per l’Innovazione e la Ricerca Educativa).

    http://webtiscali.it/visabù/: in questo sito è possibile visionare il restauro di reperti archeologici e le  riproduzioni sperimentali di ceramiche di epoca nuragica, fenicia, punica e romana trovati durante gli scavi nei siti di tutta la Sardegna. Oltre ai vari askos, vasi, piatti e alle diverse ciotole decorate, vengono riprodotti  anche monili e collane che un tempo erano il corredo di  donne e di guerrieri nuragici.

     

    ARTE PREISTORICA

    http://www.arachnis.asso.fr/dordogne/viecult/musees/eyzies/msnpreh0.htm: ottimo sito dal punto di vista scientifico per la comprensione dell’arte preistorica; prevede un apparato tecnico circa le esecuzioni dei dipinti rupestri. Le indicazioni bibliografiche sono ampie e ben strutturate per la realizzazione di  ricerche e  progetti  didattici .

    http://www.france-voyage.com/francia-guida/grotta-pech-merle-853.htm: ottimo sito per la comprensione dell’arte preistorica francese di Pech Merl, perché prevede una visita virtuale tra le immagini dei dipinti delle grotte, dei quali sono scaricabili ottime foto. Nel museo è presente un settore molto ampio dedicato alla didattica che propone filmati, esposizioni ed un atelier pedagogico molto interessante sull’arte e sul pensiero dell’uomo, dal Paleolitico al Neolitico.(vedi anchehttp://scano.altervista.org/principale/preistarte/paleolitico/paleolitico.htm)

    htpp://www.archart.it/:  archivio on line con migliaia di foto e immagini circa l’arte preistorica, antica e l’archeologia,  ad accesso gratuito.

    http://www.ask.com/Arte+Preistorica/: è il nuovo portale dal respiro internazionale interamente dedicato all’arte rupestre. Contiene infatti numerosi articoli (in diverse lingue), e-book, forum, e lavori didattico-artistici ispirati a tale tipologia d’arte preistorica.

    http://www.lascaux.culture.fr/#/fr/02_00.xml: il sito permette di visitare virtualmente la grotta di Lascaux e di osservare da vicino i dipinti rupestri. Interessante è la parte relativa all’arte parietale nella quale vengono illustrate e spiegate le materie prime, le tematiche, le tecniche e le prospettive dei dipinti esaminati. Contiene una lunga bibliografia e una dettagliata  cronologia dell’arte parietale, indispensabile per ricerche didattiche.

    http://www.rupestre.net/orme/: sitio della Coop. Arch. “Le orme dell’uomo” operante nel settore dell’archeologia rupestre preistorica in Valcamonica. E’ possibile visionare i vari progetti didattici realizzati direttamente a scuola (i laboratori Arte rupestre e didattica, Tracce degli antichi Camuni. arte rupestre). Organizza inoltre campi scuola settimanali per ragazzi di età minima di  16 anni, visite guidate che variano da mezza giornata a due per i più piccoli, lezioni, percorsi didattici, galleria d’arte preistorica virtuale, dirette a scuole di ogni ordine e grado. È possibile scaricare i pdf dell’esperienze citate. (vedi anche http://www.rupestre.net/tracce/12/artdid.html ).


    DIDATTICA MUSEALE

    http://www.archecoop.it: in questo sito la Cooperativa “Archè” di Macerata  espone nella sezione Musei, alla voce “Didattica”, descrizioni sintetiche dei laboratori d’archeologia realizzati per diversi musei delle Marche.

    http://www.archeobo.arti.beniculturali.it/mostre/monterenzio_didanew.htm: sito del Museo Archeologico “Luigi Frantini” di Monterenzio (Bologna) che  realizza percorsi didattici in correlazione al programma scolastico. All’interno di tali percorsi sono realizzati laboratori  sperimentali relativi alla scheggiatura della selce, alla realizzazione di oggetti ceramici e di una fibula celtica, alla lavorazione a sbalzo su lastre di rame,  alla realizzazione e fabbricazione dei tessuti con l’ausilio di piccoli telai a cornice e alla simulazione di uno scavo archeologico relativo a sepolture esemplificative dei riti funerari in uso a Monte Bibele. E’ possibile scaricare il depliant del museo.

    http://www.archeopg.arti.beniculturali.it/index.php?it/142/archeodidattica: è il sito di Archeodidattica, promosso dalla Sopraintendenza per i Beni Archeologici dell’Umbria,  gestito da personale specializzato in archeologia con esperienza nella didattica museale. Propone attività scientifiche e ludiche della durata di due ore (Piccoli archeologi alla scoperta dell’ antenato preistorico, Indovina come si viveva nell’antico Egitto) e una visita al “museo virtuale” (Viaggio nel tempo: l’antico Egitto), corredata di gioco didattico e legate al mondo dell’archeologia e della storia antica. Tali attività  si possono svolgere sia nelle sedi scolastiche sia presso il Museo Archeologico Nazionale di Perugia.

    www.assodidatticamuseale.it:  sito dell’A.D.M. (Associazione Didattica Museale), responsabile del Dipartimento dei Servizi Educativi del Museo Civico di Storia Naturale di Milano, che offre al pubblico servizi didattici  come i Laboratori mobili, laboratori didattici che vengono portati direttamente in aula sulla scìa dell’esperienza francese del Museo-bus1, il Paleolab: laboratorio di Paleontologia, il Laboratorio didattico di Scienze della Terra, il Biolab: laboratorio didattico di Scienze della Vita e il Parco della Preistoria.

    http://www.comune.empoli.fi.it/citta/turismo/EmpoliPercorsi08.pdf: sito del Museo Civico di Paleontologia d’Empoli il quale  ha realizzato il progetto permanente Museo per la scuola che prevede vari itinerari storico-scientifici. Interessanti per quanto riguarda la preistoria l’itinerario relativo ai fossili, attraverso il quale  vengono delineate le principali  tappe dell’evoluzione della vita sulla terra,  e l’itinerario relativo alla comparsa e l’evoluzione del genere umano e alla sua colonizzazione del nostro territorio. Ogni itinerario prevede l’associazione di due percorsi.

    http://www.comune.torino.it/museiscuola/esperienze/index.shtml: sito del C.E.S.M.A.P. ( Centro Studi e Museo d’Arte Preistorica ) di Pinerolo (Torino) che realizza per le scuole primarie di primo e secondo grado laboratori di preistoria. E’ possibile scaricare schede e pdf  dei diversi progetti didattici e delle esperienze realizzate dai discenti, nei quali viene approfondita la funzione del museo nella società dell’apprendimento continuo.

    http://www.icom-italia.org: il sito dell’International Council of Museums (Comitato Nazionale Italiano) permette di aggiornarsi sulle iniziative proposte da molti musei e di accedere ad un’ampia sitografia e alla rivista dei musei.

    http://www.indire.it/content/index: in questo sito si possono consultare numerosissimi progetti didattici relativi all’archeologia sperimentale e alla didattica museale.. è possibile scaricare alcuni allegati o proporre on line all’IRRE della propria regione un’attività realizzata dalla propria scuola che sarà poi valutata da INDIRE (Istituto Nazionale di Documentazione per l’Innovazione e la Ricerca Educativa).

    htpp//liast.it/: sito ufficiale del Laboratorio di Archeologia Sperimentale di Torino che svolge attività laboratoriale e corsi di aggiornamento per docenti interessati alle attività di archeologia didattica.

    http://www.mtsn.tn.it/perlascuola/libretti/il_Museo_per_la_Scuola_2010-11_Primaria_e_Secondaria_I_grado.pdf: sito del Museo Tridentino di Storia e Scienze naturali di  Trento che realizza progetti e percorsi didattici sperimentali permanenti rivolti ad  analizzare tutti gli aspetti delle culture preistoriche partendo dalle riproduzioni degli  oggetti  quotidiani del Mesolitico e Neolitico. La Sezione didattica del museo offre inoltre ai docenti innumerevoli servizi: una consulenza didattica diretta sul posto o attraverso la posta elettronica; corsi d’aggiornamento per docenti; possibilità di adesione a progetti di ricerca della didattica basati sull’apprendimento attivo, sulla ricerca-azione e sulla sperimentazione; possibilità di creare una pagina a disposizione della scuola sul sito del Museo dove pubblicare la documentazione relativa a progetti didattici speciali e/o co-progettati. Da qualche anno il museo ospita un  Museo itinerante che sviluppa  due percorsi2 di preistoria, differenti per la scuola primaria e secondaria.

    http://www.museodelterritorio.biella.it/: sito del Museo del territorio biellese. Ospita una sezione dedicata alla Paleontologia e due  sezioni archeologiche: la sezione egizia, incentrata sulla figura e sugli scavi  di Schiaparelli  e la sezione d’archeologia del territorio contenente reperti dalla preistoria all’età medievale. Tali sezioni realizzano diverse attività didattiche fondate su un’ eguale metodologia: analisi dei  reperti esposti e  sperimentazione laboratoriale. I laboratori didattici permanenti  sono rivolti ai discenti della scuola dell’infanzia  (L’incredibile storia di Cropetite) scuole  primaria e secondaria di primo e secondo grado (L’intreccio e la tessitura, La nascita della metallurgia,  La pittura degli Egizi, La moneta e il commercio dei Romani, La cosmesi dei Romani, La casa e l’edilizia romana). Il  Museo realizza inoltre il progetto speciale Il Museo a  scuola, la scuola in Museo, per le scuole di ogni ordine e grado.

    http://www.museionline.it: portale dedicato ai musei italiani e alle loro sezioni didattiche.

    http://www.pigorini.arti.beniculturali.it: sito del Museo Preistorico ed Etnografico Pigorini. Oltre ad esporre l’attività museale, il sito offre una sezione educativa dedicata alle attività svolte dalle scuole all’interno del museo.

    www.prehistoiregrandpressigny.fr/: è il sito del Museo della Preistoria di Grand Pressigny, corredato di una pagina dedicata all’archeologia di laboratorio e di una pagina di archeo-giochi per i più piccini, dal Paleolitico all’Età del bronzo.

    http://www.sistemamusei.ra.it/main/index: attraverso questo indirizzo si accede al Sistema Museale della Provincia di Ravenna che offre pagine web interessanti come quelle relative ai laboratori didattici. Nel sito è possibile consultare un’accurata bibliografia, divisa per sezioni, sulle pubblicazioni di didattica curate dai musei della provincia, o cliccare su giochi didattici e accedere alle descrizioni di 13 interessanti giochi realizzati all’interno dei musei emiliani. Tra le attività caratterizzanti del Sistema Museale c’è l’ideazione e pubblicazione di molteplici prodotti editoriali (la guida alle attività didattiche realizzate nei musei italiani A spasso per i musei, il notiziario quadrimestrale Museo in-forma,  la collana di Monografie sui singoli musei, la collana Quaderni di didattica museale,  la collana I quaderni del Laboratorio, la collana di guide a fumetti I misteri dei musei,  la collana Quaderni del Progetto Beni Culturali e il Laboratorio Provinciale per la Didattica Museale) finalizzati a promuovere in maniera continuativa ed aggiornata i musei del Sistema. Offre al cittadino servizi on line come le visite virtuali in 3D ai musei , la consultazione di cataloghi, la prenotazione e il pagamento delle visite guidate e dei laboratori didattici.

     

    LABORATORI D’ARCHEOLOGIA SPERIMENTALE

    http://www.archea.info/: sito della Coop. “Archea”di Bene Viagenna (Cuneo), che realizza percorsi didattici attraverso i quali gli studenti, di ogni ordine e grado scolastico, possono rivivere in prima persona le attività quotidiane, i cambiamenti dello stile di vita e gli adattamenti all’ambiente, messi in pratica dagli uomini preistorici dell’uomo preistorico. Infatti ha ricreato  un villaggio in cui gli ospiti visitano le ricostruzioni fedeli di capanne del Paleolitico, Neolitico ed Età dei Metalli,  realizzate con le stesse tecniche e gli stessi materiali di quelle originali. Inoltre realizza laboratori di simulazione, di scavo in una sepoltura Neolitica, di pittura parietale con ocra e pece, di macinazione dei cereali, di accensione del fuoco e tessitura con tecniche preistoriche.

    http://www.archeologiadidattica.it/aries/: sito curato dalla Coop. “Aries” di  Pavone Canavese (Torino) nel quale è possibile visionare tutti i laboratori  didattici di archeologia, realizzati nelle scuole di ogni ordine e grado, regionali e nazionali. Della Regione Puglia sono presenti solo i laboratori realizzati nella provincia di Lecce. 

    http://www.archeonauti.it/: sito dell’Ass. Cult. “Archeonauti” di Udine, che si occupa di ideare, gestire e realizzare Laboratori Didattici di Archeologia Sperimentale attraverso l’utilizzo di materiali e strumenti il più simile possibili a quelli originali. I laboratori sono tenuti al Centro Visite Storico - Archeologico di Sammardenchia (UD) e nelle scuole, oltre che presso gruppi, associazioni e privati. Attraverso visite didattiche guidate agli spazi espositivi del Centro e i  laboratori didattici di archeologia sperimentale è possibile scoprire la preistoria e la protostoria locale.

    http://www.cesq.it/progetti_didattici_CeSQ_2010_2011.pdf: sito del C.E.S.Q. (Centro studi sul Quaternario Onlus) di Sansepolcro (Arezzo) che  organizza diversi  laboratori  sperimentali di Preistoria, Archeologia, Scienze Naturali, Educazione Artistica e Musicale per le scuole dell’infanzia primaria e secondaria e campi -scuola. I percorsi  didattici proposti permettono di scegliere numerosi laboratori teorico-pratici strutturati in modo da catturare l’attenzione dei partecipanti attraverso la manipolazione diretta dei materiali.

    http://www.rupestre.net/orme/: sito della Coop. Arch. “Le orme dell’uomo” operante nel settore dell’archeologia rupestre preistorica in Valcamonica. E’ possibile visionare i vari progetti didattici realizzati direttamente a scuola (i laboratori Arte rupestre e didattica, Tracce degli antichi Camuni. Sui sentieri dell’arte rupestre). Organizza inoltre campi scuola settimanali per ragazzi di età minima di  16 anni, visite guidate che variano da mezza giornata a due per i più piccoli, lezioni, percorsi didattici, galleria d’arte preistorica virtuale, dirette a scuole di ogni ordine e grado. È possibile scaricare i pdf dell’esperienze citate.


    PARCHI ARCHEOLOGICI

    www.archeopark.net/: lo scopo del sito è quello di far rivivere al navigante la preistoria attraverso la scoperta della civiltà degli antichi Camuni e delle genti padane ed alpine nel corso di 15.000 anni.

    http://www.ctnet.it/museo/cetona/parco

    http://www.mtsn.tn.it/rete/default.asp

    http://www.parcomontale.it

    http://www.rupestre.net.valcamonica.html

    http://www.suedtirol-it.com/valsenales/archeoparc.htm

    http://www.marcadoc.com/parco-archeologico-livelet/

    sono solo alcuni dei numerosi siti relativi ai parchi archeologici (in ordine sitografico: Parco Archeologico-Naturalistico del Monte Cetona (Siena); Museo delle Palafitte del Lago di Ledro (Trento); Parco Archeologico e Museo all’aperto della Terramara di Montale (Modena); Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri di Naquane, Valcamonica (Brescia); Archeoparco di Val Senales (Bolzano); Parco Archeologico Didattico del Livelet - Revine (Treviso)), dotati d’aree didattiche e spazi dedicati a una vera e propria ricostruzione dei diversi ambienti di vita sociale tipici del Neolitico, delll’Eta’ del Rame e dell’Eta’ del Bronzo. Nei laboratori all’aperto si sviluppano attività didattiche d’archeologia sperimentale relative ai diversi periodi della preistoria, oltre alla simulazione di uno scavo archeologico.

    http://xoomer.virgilio.it/egnazia: sito ufficiale del Museo e del Parco Archeologico di Egnazia.

     

    PREISTORIA IN 3D

    http://www.archeopg.arti.beniculturali.it/index.php?it/142/archeodidattica: in questo sito d’archeodidattica, promosso dalla Sopraintendenza per i Beni Archeologici dell’Umbria, è possibile realizzare una  visita (corredata di gioco didattico) al “museo virtuale” relativa alla popolazione dell’antico Egitto.

    http://www.france-voyage.com/francia-guida/grotta-pech-merle-853.htm: ottimo sito per la comprensione dell’arte preistorica francese di Pech - Merl, perché prevede una visita virtuale tra le immagini dei dipinti delle grotte, dei quali sono scaricabili ottime foto.

    http://www.lascaux.culture.fr/#/fr/02_00.xml: il sito permette facilmente di visitare virtualmente la grotta di Lascaux e di osservare da vicino i dipinti rupestri.

    http://www.rupestre.net/orme/: nel sito è possibile visionare sito una galleria d’arte preistorica virtuale, realizzata all’interno di un percorso laboratoriale dalla Coop. Arch. “Le orme dell’uomo” operante nel settore dell’archeologia rupestre preistorica in Valcamonica.

    http://www.sistemamusei.ra.it/main/index: è il sito del Sistema Museale della Provincia di Ravenna  che offre al cittadino  vari servizi on line come le visite virtuali in 3D ai musei nazionali.

    http://virtualmuseumiraq.cnr.it/: su iniziativa del CNR e del Ministero degli Affari Esteri, il sito  propone una visita virtuale storico-interattiva al Museo Nazionale di Baghdad, partendo dalla preistoria fino ad arrivare all’età islamica, attraverso le principali risorse e meraviglie dell’antica Mesopotamia. Avvalendosi di ricostruzioni, filmati, musiche, il museo virtuale presenta oggetti/simbolo delle numerose culture ed epoche storiche in maniera così accattivante da interessare nel contempo appassionati archeologi e semplici curiosi.

     

    PREISTORIA MULTIMEDIALE

    http://www.gaudio.org/lezioni/storia/preistoria/preistoria.htm: sito relativo ad audio-lezioni  disponibili in formato mp3 e wma sulla preistoria, realizzate dal prof. Gaudio,  destinate ai discenti ma  non solo. Tali audio lezioni ( Dai primati agli ominidi, Il Paleolitico, Sepolture eArte nel paleolitico, Il Mesolitico, Il Neolitico,  La preistoria dell'Italia comprese origini, Lingua, politica e società degli Etruschi,  La metallurgia: dal Neolitico all'età del rame,  La nascita delle città) realizzate dal docente, possono rappresentare  solo un approfondimento di studio per chiunque ne  avesse bisogno di integrazioni scolastiche o  per risvegliare l’attenzione di coloro che ritengono noiose le lezioni scolastiche e le pagine dei manuali.

    http://www.glossari.it/glossariopreistoria.html: glossario informatico di preistoria, fondamentale nelle attività di ricerca archeologica e didattica della preistoria, utilizzabile per la spiegazione dei termini tecnici relativi all’archeologia preistorica.

    www.lavagnataquotidiana.org/p/didattica-dellarcheologia.html: blog ideato da Anna Rita Vizzari   ( docente  di scuola Secondaria di 1° Grado “A. Gramsci” di Sestu - CA) in cui vengono forniti ai colleghi informazioni e materiali utili sulle cosiddette “nuove tecnologie” in generale e circa i materiali di altra natura adattabili a una didattica con la LIM, segnalando solo strumenti e risorse, senza effettuare riflessioni didattiche. E’ possibile scaricare un ebook gratuito circa le esperienze legate alla Didattica Laboratoriale dell’Archeologia (Laboratorio di Archeologia, creazione e cura del blog: laboratorioarcheologia.blogspot.com, contenente suggerimenti, materiali e link utili) e di Didattica virtuale dell’Archeologia, che ha previsto l’allestimento di uno scenario virtuale archeologico su Second Learning World e  la creazione di un canale video intitolato Archeologia e Storia nei mondi virtuali.

    http://www.skuola.net.it: sito di Scuola.net, il portale della scuola che si occupa di fornire kit didattici, lezioni, articoli, appunti, mappe concettuali e percorsi didattici su molti argomenti fra cui la preistoria (http://www.skuola.net/storia/appunti-preistoria/preistoria.html).

    http://www.soundcenter.it/preistoria.htm: sito di musica preistorica sperimentale  gestito da il  “Centro del Suono”, che presenta un centinaio d’oggetti quotidiani della preistoria come pietre, conchiglie, ossi e corni e dimostra sperimentalmente come possano diventare percussioni, fischietti trombe, ance, archi e rombi. Offre anche  informazioni sui brani musicali a tema preistorico, realizzati dallo stesso centro musicale,  come il brano Altamira, del quale è possibile un ascolto direttamente dal sito.

     

    TESTATE GIORNALISTICHE ON LINE

    http://www.archaeogate.org/ sito di Archaeogate, il portale italiano di  Archeologia Subacquea, Archeologia Classica, I.I.C.E., Egittologia, Antichità classiche e papirologia. Offre informazioni aggiornate su università, libri, progetti di ricerca e  scavi.

    www.archeologiaviva.it/: sito di ArcheologiaViva, rivista italiana di divulgazione archeologica. Offre informazioni su mostre, convegni ed eventi  presenti sul territorio nazionale e internazionale.Contiene inoltre segnalazioni relative a scavi archeologici e a corsi d’archeologia.

    http://www.archeomedia.net: rivista di aggiornamento sulle novità archeologiche ad abbonamento gratuito. Offre numerosi servizi: lezioni di argomento storico-archeologico per istituzioni e scuole; informazioni tecniche circa l’accompagnamento presso musei e aree archeologiche; ideazione e realizzazione di sussidi audiovisivi; prestazione di attività didattiche finalizzate alla divulgazione e alla pubblica fruizione del patrimonio archeologico e culturale.

    www.archeorivista.it: sito di Antika, rivista online e gratuita su archeologia, storia e arte antica.Offre informazioni e notizie su scoperte, scavi, libri, convegni, restauri e tutto quello che riguarda il degrado archeologico. Contiene una guida online gratuita su archeologia, storia e arte antica e  centinaia di schede e articoli su eventi, luoghi, personaggi e miti,  scritte da archeologi,  antropologi e scienziati.

    http://www.ask.com/Arte+Preistorica/: è il nuovo portale dal respiro internazionale interamente dedicato all’arte rupestre. Contiene infatti numerosi articoli (in diverse lingue), e-book, forum, e lavori didattico-artistici ispirati a tale tipologia d’arte preistorica.

    http://www.positanonews.it/categorie/9/news_costiera_amalfitana.html: sito di Positanonews, testata giornalistica online. Pubblica notizie, informazioni, eventi su Positano, Costiera Amalfitana e Penisola Sorrentina; sono inclusi temi e iniziative archeologiche. Ha pubblicato nel 2010 la ricerca di Michele Pappacoda:  La preistoria e gli uomini primitivi, dimostrando un vivo interesse per l’archeologia preistorica.

    www.romarcheomagazine.com/: sito di RomaArcheoMagazine,  Rivista di archeologia online sulla città di  Roma e sulla storia dell’Impero Romano.

    http://www.rupestre.net/tracce/12/artdid.html: sito di Tracce, rivista ufficiale di arte rupestre in Italia. Recentemente ha pubblicato i risultati ottenuti dalle  esperienze didattiche  condotte  nel  Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri di Naquane.

    www.sardegnattiva.it/associazioniculturali.htm

    www.bcxt.it/index.php/grand-tour/itinerari-culturali/sardegna/115-archeosardegna-con-la-scuola: siti di “ArcheoSardegna.com, il portale italiano che propone informazioni sull’archeologia e sulla preistoria  della Sardegna: un viaggio tra nuraghi, tombe dei giganti, dolmen, menhir, domus de janas, templi, attraversando le civiltà nuragica, punica, fenicia e romana che ne hanno segnato la storia.

    http://mysterium.blogosfere.it/tag/preistoria/4: sito di MysteriumBlogosfere, portale italiano che si interessa dei misteri irrisolti fra cui quelli relativi alle scoperte dell’archeologia preistorica.

     

     

    Note:

    1. Il Museo-bus, assieme al Museo in valigia,  sono  progetti interscolastici inaugurati il 5 maggio 1980 dai Ministri dell’Educazione Nazionale e della Comunità Francese e Belga. Tuttora realizzati nelle scuole francesi e belga, in questi progetti le classi  vengono raggiunte direttamente a scuola dall’équipe museale, munita di valigia didattica o bus, nei quali  sono contenuti calchi di ominidi, manufatti delle varie tipologie ceramiche e litiche, faune fossili, tutti destinati alla manipolazione da parte dei bambini e utili all’illustrazione didattica sia delle fasi della preistoria che delle discipline che concorrono all’interpretazione dei dati di scavo. Sia il museo-valigia che il museo-bus presentano uguale itinerario didattico: a) una guida introduttiva presenta la metodologia che verrà utilizzata per realizzare il laboratorio;  b) la classe viene  divisa in gruppi di tre bambini ciascuno; c) ogni gruppo ha  vari strumenti didattici con cui lavorare (un fascicolo relativo ad un periodo preistorico, contenente esercizi per sviluppare un lavoro autonomo, scoprire gli oggetti, manipolarli, analizzarli, fare una relazione da mostrare  agli altri gruppi; schede guida su come riconoscere gli oggetti e classificarli con targhette; descrizione degli oggetti in base alle caratteristiche; glossario; utilizzo di una linea del tempo e di una carta  geografica della  nazione; esercizi d’analisi e riflessione sui reperti, dopo la manipolazione, per stabilire la fruizione in base alla materia prima e in base alla  scoperta attraverso la sperimentazione e  fabbricazione di vasi o utensili litici; questionari a scelta multipla (vero/falso); dizionario su cui realizzare ricerche di termini tecnici; disegni da scoprire e sintesi parziali come punti di riferimento per la sintesi generale. Questi progetti  hanno il compito d’attirare l’attenzione dei ragazzi  verso i reperti e di  suscitare l’invito alla scoperta come strumento di decentramento. Lo scopo didattico di tali progetti è quello di iniziare i bambini al rispetto dei reperti e ad un’analisi profonda degli oggetti attraverso la loro manipolazione. Il loro successo a livello nazionale scaturisce dalla possibilità di essere utilizzati  rispettando i programmi degli insegnanti, perché s'integrano perfettamente con l’orario scolastico e possono essere svolti in qualsiasi momento dell’anno scolastico; inoltre  possono rimanere anche quindici giorni in una scuola. Cfr  AA.VV. Sciences de l’homme et de son environnement, in “Cahiers de Clio”, Centre de la Pédagogie de l’Histoire et des Sciences de l’homme,  N° 63,1980; TOGNI R., Ringiovanire il museo: qualche motivata provocazione. Incontri con Munari: museo ‘inventato’ Museo del bambino. Museo“famigliare”. Museo tenda, bus, valigia, Centro Di, 2000, pp. 26-37, in Atti del convegno “Munari arte come didattica”, Faenza, 1999.
    2. Il primo, per i più piccoli, prevede uno spettacolo teatrale e giochi d’animazione corporea per ripercorrere la vita di Ljiuba, bambina del Paleolitico. Il secondo,  per i più grandi, prevede un approfondimento della preistoria, che si sviluppa attraverso una serie d’esperienze interattive e creative, con contenuti di storia e archeologia preistorica (limitato però alle scoperte del Riparo Dalmieri), attraverso cui i ragazzi analizzano e formulano ipotesi sul mondo preistorico.
  • Un museo virtuale di storia contemporanea utilizzabile in classe. LeMo - Lebendiges Museum Online.

    di Antonio Prampolini

    Indice

    1. Struttura e risorse del sito

    2. Esempi didattici

    3. Ricerche

    Il LeMo è un museo senza muri e sale di esposizione, senza orari di accesso e percorsi obbligati per i visitatori; è un museo virtuale dove la storia può essere “vissuta” (di qui il nome Lebendiges Museum) attraverso gli oggetti digitalizzati che costituiscono il patrimonio museale e i numerosi testi di contestualizzazione/interpretazione, i documenti originali, le testimonianze delle persone.

    Il progetto, che risale al 1997, è il risultato della collaborazione fra tre importanti istituzioni culturali tedesche: il Deutsches Historisches Museum, la Stiftung Haus der Geschichte der Bundesrepublik Deutschland e il Bundesarchiv. É presente in rete dal 1998 con un proprio sito, che nel 2014 è stato ammodernato nel design e nelle funzionalità. Si è affermato nel corso degli anni duemila come il principale portale (per numero di accessi) in lingua tedesca sulla storia contemporanea della Germania.

    Può essere usato anche dal docente italiano, dal momento che il progetto contiene delle pagine che presentano una versione in lingua italiana; in ogni caso, con l’aiuto di un traduttore automatico (Google Translate funziona abbastanza bene) si possono sempre leggere i testi allegati ai documenti iconografici.

     

    1. Struttura e risorse del sito

    Il sito http://www.dhm.de/lemo si articola in sei sezioni: Linea del tempo (Zeitstrahl), Tematiche (Themen), Testimonianze (Zeitzeugen), Patrimonio museale (Bestand), Didattica (Lernen), Progetto LeMo (Projekt).

    La Linea del tempo (Zeitstrahl), che inizia dall’anno 1815 per arrivare ai giorni nostri, è suddivisa in undici periodi, accompagnati ciascuno da una scheda introduttiva (Kapitelüberblick):

     

    1. Dal Congresso di Vienna alla Rivoluzione del 1848: Vormärz und Revolution 1815-1849

    2. Dalla reazione alla formazione dello stato nazionale: Reaktionszeit und Nationalstaatsbildung 1850-1870

    3. L’Impero: Kaiserreich 1871-1914

    4. La Prima guerra mondiale: Der Erste Weltkrieg 1914-1918

    5. La Repubblica di Weimar: Die Weimarer Republik 1918-1932

    6. Il regime nazista: Das NS-Regime 1933-1945

    7. La Seconda guerra mondiale: Der Zweite Weltkrieg 1939-1945

    8. Il Dopoguerra: Nachkriegsjahre 1945-1949

    9. La Germania divisa: Geteiltes Deutschland 1949-1989/90

    10. La riunificazione tedesca: Deutsche Einheit 1990

    11. La globalizzazione: Globalisierung 2001-

     

    La sezione Tematiche (Themen) affronta l’argomento Democrazia e dittatura (Demokratie und Diktatur) confrontando i due regimi politici e i diversi stili di vita nella Germania divisa in due stati. A tal fine vengono presi in esame alcuni documenti ed oggetti di vita quotidiana.

    Nella sezione Zeitzeugen le testimonianze sono raggruppate per periodi storici di riferimento (gli stessi della Linea del tempo) e consistono in pagine di diari, lettere, memorie, racconti. La sezione è aperta al contributo di tutti coloro che hanno vissuto esperienze significative o che detengono documenti di interesse storico (la pubblicazione delle testimonianze non è automatica ma è sottoposta all’approvazione da parte della redazione del sito).

    Il “cuore” del sito è la sezione Patrimonio museale (Bestand) che contiene un inventario suddiviso per categorie: Oggetti (Objekte), Biografie (Biografien), Cronologie (Chroniken), Video (Video), Testimonianze (Zeitzeugen), Documenti (Dokumente), Fotografie (Fotografien), Sguardi retrospettivi (Rückblicke), Statistiche (Statistiken), Didattica (Lernen).

    La sezione Didattica (Lernen) si rivolge al mondo della scuola offrendo materiali per l’insegnamento/apprendimento della storia contemporanea della Germania messi a disposizione dal Deutsches Historisches Museum e dalla fondazione Haus der Geschichte der Bundesrepublik Deutschland.

    Il museo propone, in particolare:

    - una mappa interattiva (luoghi, persone, conflitti) sulla storia franco-tedesca lungo il fiume Reno (Der Rhein von Basel bis Koblenz. Deutsch-französische Geschichte am Rhein);

    - un corso di orientamento su Nazionalsocialismo e Storia del dopoguerra (Nationalsozialismus und Nachkriegszeit);

    - guide online sul tema Democrazia e dittatura riguardanti:

    - Design, tecnologia, dominio (Design – Technik – Herrschaft),

    - Arte e censura (Kunst und Zensur),

    - Le donne e la lotta per l'uguaglianza (Frauen und der Kampf um Gleichberechtigung),

    - Democrazia e potere (Demokratie und Gewalt).

     

    2. Esempi didattici

    La fondazione Haus der Geschichte der Bundesrepublik Deutschland permette di accedere alla totalità dei propri materiali didattici (suggerimenti per lezioni in classe e visite a mostre permanenti); tra questi segnaliamo:

     

    01Fig.1: La caricatura del Piano Marshall Karikatur Marshall-Plan Il 5 giugno 1947, il Segretario di Stato americano George C. Marshall aveva proposto ai paesi europei usciti distrutti dalla guerra un piano di aiuti economici. Anche i paesi dell’Europa dell’Est ne avrebbero potuto beneficiare, ma l’URSS si oppose. La caricatura del Piano Marshall fornisce una buona introduzione alla "Guerra fredda" e offre l'opportunità di affrontare i temi della ricostruzione economica e l'inizio del confronto politico-economico-militare tra Oriente e Occidente (per maggiori informazioni: Piano Marshall/riforma valutaria).
    Gli studenti potranno esaminare la caricatura realizzata nella Germania Occidentale nel 1947. Analizzando le persone (le loro posizioni, espressioni facciali, gesti) e gli oggetti raffigurati saranno in grado di individuare gli obiettivi del caricaturista.

    Lo “zio Sam”, personificazione degli Stati Uniti, distribuisce generosamente monete a un gruppo di bambini che rappresentano i paesi dell'Europa occidentale (nella caricatura è possibile riconoscere la Gran Bretagna: John Bull, la Francia: la Marianne, l’Italia: il gondoliere con la t-shirt a strisce). Il dittatore sovietico Josef Stalin, invece, si rivolge, con un atteggiamento minaccioso, ad un altro gruppo di bambini che rappresentano i paesi dell'Europa orientale (l'Ungheria, la Polonia, la Cecoslovacchia e la Bulgaria) mettendoli in guardia dall’accettare il piano di aiuti americano. Da notare che nella caricatura le nazioni sia dell’Europa Occidentale che Orientale sono raffigurate come bambini e non come persone adulte, a sottolineare la loro comune condizione di inferiorità, sia pure in differenti contesti, verso le due grandi potenze uscite vincitrici dalla Seconda guerra mondiale.

    02Fig.2: Macchina fotografica segreta. La rivolta popolare del 17 giugno 1953 nella DDR Geheimkamera Solo quattro anni dopo la fondazione della DDR (Deutsche Demokratische Republik), centinaia di migliaia di persone manifestarono contro la dittatura comunista il 17 giugno 1953. La giornata è passata alla storia come una rivolta popolare. Quel giorno, il fotografo Richard Perlia aveva scattato di nascosto delle foto che poi era riuscito ad inviare in Occidente.

    Le cause della rivolta popolare nella DDR risalgono al progetto per la "costruzione pianificata del socialismo" approvato nel luglio 1952 dal Secondo Congresso della SED (Sozialistische Einheitspartei Deutschlands), il partito comunista con a capo Walter Ulbricht. La sua attuazione portò a una grave crisi alimentare, ad un peggioramento del tenore di vita della popolazione e a una diminuzione della produzione industriale. Molte persone fuggirono a Ovest. La morte di Stalin nel marzo 1953 suscitò speranze di miglioramenti, ma la leadership della SED proseguì nella sua politica aumentando i ritmi di lavoro nelle fabbriche senza adeguare i salari.
    Il 15 e 16 giugno 1953 scoppiarono proteste a Berlino Est e nell'intera DDR che si intensificarono il giorno successivo. Le persone scesero nelle piazze chiedendo non solo una diversa politica economica ma anche libere elezioni, la sostituzione di Ulbricht e la liberazione di tutti i prigionieri politici. Per reprimere la rivolta popolare, l'Unione Sovietica intervenne direttamente con una massiccia azione militare che causò decine di morti e portò a molte migliaia di arresti.

    Il tema della "rivolta popolare del 17 giugno 1953" può essere elaborato dagli studenti prendendo spunto dalla Macchina fotografica segreta (componenti, dimensione, funzionalità, uso), per poi progettare e scrivere una relazione sulla soppressione delle libertà di stampa e di espressione nella DDR, utilizzando i testi collegati all’evento; in particolare: 17 Giugno 1953 – Insurrezione popolare (17 Juni 1953 – Volksaufstand).

    03Fig.3: Veicolo per il trasporto di prigionieri della polizia segreta nella DDR MfS-Gefangenentransportwagen

    Nella DDR, il Ministero per la Sicurezza di Stato (MfS), la polizia segreta, gestiva i propri centri di detenzione preventiva dove venivano incarcerati i sospetti prima del processo. Se un prigioniero doveva essere spostato in un altro luogo, veniva trasportato con un veicolo apposito. La funzione di questi mezzi di trasporto richiedeva di essere mascherata. Erano camuffati da furgoni civili per non suscitare scalpore.

    Il Ministero per la Sicurezza dello Stato (MfS), popolarmente noto come "Stasi", era il più importante strumento politico di repressione del Partito Socialista Unitario Tedesco (SED). Era organizzato e operava sul modello della polizia segreta dell'URSS (il KGB). I compiti e le responsabilità del MfS non furono mai chiaramente definiti, non era soggetto ad alcuna restrizione legale. Il numero dei dipendenti del MfS aumentò costantemente nel corso degli anni: se nel 1950 erano 1.100 le persone impiegate, il numero salì a 10.000 nel 1953 e a 20.000 nel 1961. Oltre che sul lavoro dei dipendenti a tempo pieno, l’attività del Ministero per la Sicurezza dello Stato si basava sulle informazioni dei cosiddetti “dipendenti segreti”.

    Per scongiurare “azioni ostili” contro il regime, negli anni '70 e '80 fece sempre più affidamento sulla “disintegrazione” dei gruppi interni di opposizione (ad esempio, dei gruppi per la pace, l'ambiente e i diritti umani). Gli agenti del MfS diffondevano in modo sistematico voci e informazioni false sui membri di tali gruppi, si servivano di prostitute per ricattare gli uomini, distruggevano le relazioni familiari e causavano fallimenti professionali. Il Ministero per la Sicurezza dello Stato pianificava consapevolmente i danni fisici e mentali delle vittime. La forza bruta veniva usata, in particolare, contro coloro che tentavano di fuggire dalla DDR.

    Il veicolo per il trasporto dei prigionieri esemplifica il modo di operare del MfS e può essere utilizzato in classe per introdurre l'argomento “lavoro e metodi della Polizia segreta nella DDR”. Per approfondimenti la scheda rinvia agli articoli: Struttura del MfS e Sorveglianza

    04Fig.4: La costruzione del muro Objektgruppe zum Mauerbau Domenica 13 agosto 1961, agenti di polizia e soldati della DDR “sigillano” il confine con Berlino Ovest e l'anello esterno della città. Vengono demolite case, erette barriere anticarro e di filo spinato. Nei giorni seguenti, squadre di operai sotto sorveglianza militare iniziano a sostituire il filo spinato con un muro alto circa due metri, che taglierà in due Berlino. La popolazione in entrambe le parti della Germania è indignata e scioccata.
    Con il permesso dell’URSS, il Comitato centrale del Partito Socialista Unitario Tedesco (SED) aveva deliberato in totale segretezza la costruzione del muro. Le truppe sovietiche di stanza nella Repubblica Democratica Tedesca (DDR) contribuirono a “mettere in sicurezza” l'erezione del "muro di protezione antifascista". La leadership della Germania orientale voleva in questo modo porre fine all'esodo di massa dei propri cittadini attraverso Berlino Ovest.
    Nei giorni della costruzione del muro si susseguirono scene strazianti lungo il confine tra le due Germanie. Il muro interruppe l’attività (e il sostentamento economico) a oltre 50.000 berlinesi dell'Est che lavoravano all'Ovest. Il regime ridusse a sette il numero dei valichi di frontiera tra le due parti della città. La rete dei trasporti di Berlino venne interrotta sulla linea di confine. Le finestre e le porte delle case in prossimità del muro vennero murate. Le guardie di frontiera avevano l'ordine di sparare su chi cercava di fuggire a Berlino Ovest. Almeno 140 persone furono uccise dopo il 1961.

    Gli studenti, partendo dai materiali impiegati nella costruzione del muro, possono iniziare un percorso di approfondimento delle ragioni della sua edificazione e della divisione della Germania in due stati contrapposti utilizzando i testi di contestualizzazione e di approfondimento che il museo offre ai visitatori.

    05Fig.5: Cabine di controllo alla frontiera del Palazzo delle Lacrime Grenz-Kontrollkabine Tränenpalast  Dopo la costruzione del muro solo poche persone possono lasciare la DDR e sono previste anche regole rigide per l'ingresso nel paese. Il regime controlla attentamente alle frontiere le persone, sia in uscita che in entrata, come in queste cabine del Palazzo delle lacrime (Tränenpalast) al valico di Friedrichstrasse.

    Il Palazzo delle lacrime, inaugurato nell'estate del 1962, era l’edificio in cui i tedeschi dell'Est di solito dovevano dire addio ai loro parenti e amici occidentali e dove l'amministrazione doganale, che lavorava a stretto contatto con gli organi di sicurezza della DDR, vigilava sul rispetto dei severi divieti di esportazione riguardanti in particolare generi alimentari, dispositivi tecnici, opere d’arte. Nelle cabine di controllo passaporti, scomodamente strette, gli agenti doganali della Germania dell’Est verificavano minuziosamente l'identità delle persone prima di timbrare il visto di uscita, sottoponendole ad una procedura che creava un’atmosfera di forte tensione e stress psicologico.

    La Cabina alla frontiera del Palazzo delle Lacrime è un esempio dei meccanismi di controllo poliziesco introdotti dal regime comunista sul transito delle persone tra le due Berlino dopo la costruzione del muro.

    Sulla base dell'osservazione dell'oggetto (materiali, dimensioni, luogo di utilizzo e funzione), gli studenti potranno ricostruire e rivivere le procedure di controllo doganale della DDR e il loro impatto sulla vita dei berlinesi.

    06Fig.6: Il Discorso di Kennedy a Berlino Kennedy-Rede in Berlin Il 26 giugno 1963, quasi due anni dopo la costruzione del Muro, il presidente americano John F. Kennedy visita la Repubblica Federale di Germania e Berlino Ovest. Parla ai berlinesi davanti al municipio di Schöneberg. Il discorso di Kennedy nella registrazione originale offre l'opportunità di approfondire la storia della “Guerra fredda” e della divisione della Germania in due stati.

    Per oltre quarant'anni, tra il 1949 e il 1989/90, la Germania, a causa della sconfitta nella Seconda guerra mondiale, è stata divisa in due stati: la Repubblica Federale di Germania (BRD ) a Ovest, e la Repubblica Democratica Tedesca (DDR) a Est. I due stati hanno appartenuto a blocchi contrapposti, capeggiati rispettivamente dagli Stati Uniti d’America e dall’Unione Sovietica, che si sono fronteggiati nella così detta “Guerra fredda”: un conflitto globale permanente che non si è mai tradotto in uno scontro militare diretto grazie alla forza dissuasiva dell’arma atomica.
    I tedeschi dell'Ovest e quelli dell'Est hanno perciò vissuto per quasi mezzo secolo in due sistemi politicamente, socialmente ed economicamente diversi. Il rapporto tra i due stati è stato caratterizzato da una dura competizione e, solo dopo l’avvento alla cancelleria di Willy Brandt (1969), da tentativi di riavvicinamento (l’Ostpolitik).

    Gli studenti, dopo avere ascoltato il discorso di Kennedy, potranno creare una mappa mentale sui rapporti tra Est e Ovest utilizzando le numerose schede di approfondimento sulla storia della Germania nella seconda metà del Novecento pubblicate sul sito del museo.

    3. Ricerche

    La sezione Patrimonio museale (Bestand) permette di effettuare ricerche nelle diverse categorie in cui si articolano le collezioni: Oggetti, Biografie, Cronologie, Video, Testimonianze, Documenti, Fotografie, Statistiche, Didattica.
    Per ogni categoria il sito visualizza un elenco dei contenuti con le relative immagini. Cliccando sulle immagini si accede ad una scheda sintetica con i link alle risorse del sito. La ricerca può essere circoscritta ai diversi periodi storici in cui è suddivisa la linea del tempo (Zeitstrahl).

    Ad esempio, volendo effettuare una ricerca sulle fotografie della Prima guerra mondiale, dopo avere scelto la relativa categoria (Fotografien), si seleziona, nella colonna di sinistra della videata, il periodo storico Erster Weltkrieg. Sullo schermo appariranno tutte le immagini fotografiche della collezione LeMO inerenti a quell’evento. Interessati ad una particolare immagine, si clicca sulla medesima per accedere alla scheda descrittiva. Ad esempio, la fotografia che ritrae nell’aprile del 1917 i piloti degli aerei da caccia sotto il comando di Manfred von Richthofen, noto come il "Barone Rosso" (Die Jagdstaffel von Richthofen) è associata ad una scheda che rinvia ad una pagina di approfondimento sulla guerra aerea (Der Luftkrieg) con i link alle biografie di alcuni piloti.

    È possibile accedere alle risorse del museo virtuale anche attraverso i “capitoli” in cui è suddivisa la linea del tempo (Kapitelüberblick), che la homepage del sito https://www.dhm.de/lemo visualizza con grandi immagini iconiche, ricorrendo ad un approccio non più focalizzato sugli “oggetti” del patrimonio museale ma sui “testi” (un approccio che potremmo definire “enciclopedico”).

    Se interessati alla Prima guerra mondiale, il relativo capitolo Der Erste Weltkrieg offre un quadro riassuntivo dell’evento e rinvia ad altri testi di approfondimento (ad esempio: guerra di posizione, Stellungskrieg; guerra dei materiali, Materialschlachten; gas tossici Giftgas). Il capitolo contiene, inoltre, registrazioni audio e audiovisive, fotografie, mappe e una cronologia degli anni di guerra (1914, 1915, 1916, 1917, 1918) con i link a numerose biografie di personaggi illustri. 

    Il LeMo, museo virtuale online di storia, per l’importanza delle collezioni, per i materiali didattici che offre, per le funzionalità del sito, e, non ultima, per la centralità della Germania nella storia dell’Europa, rappresenta senza alcun dubbio una risorsa che è opportuno utilizzare nell’insegnamento e nella divulgazione della storia contemporanea non solo nei paesi di lingua e cultura tedesca, ma pure in altre realtà nazionali, e tra questa rientra anche l’Italia.

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