formazione

  • Racconta una deputata della Costituente

    1946-2016 settantesimo Anniversario della nascita dell'Assemblea Costituente e della Repubblica Italiana. Nell'ambito del progetto del CIDI Torino "Racconta una deputata della Costituente", si terranno due incontri di formazione per docenti e studenti partecipanti al progetto. Mercoledì 18 novembre: Come trasformare l'attualità in oggetto didattico, Laboratorio del tempo presente a cura di Antonio Brusa (Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia); martedì 15 dicembre: Come raccontare biografie per immagini a cura di Paola Olivetti (direttrice ANCR), Chiara Cremaschi (Regista), Federica Tabbò (Museo Diffuso).

    Qui la locandina dell'evento.

     

  • SCRIVERE LA STORIA E INSEGNARLA

    L'estate sta finendo e ci attende un autunno intenso tra Short Master sul paesaggio pugliese e Seminari...buon anno scolastico e buon lavoro a tutti.

  • stori@. La storia nell'era digitale.

    Appuntamento a Piacenza, dal 7 al 9 marzo. Per parlare di Storia nell’era digitale. Di seguito il programma del Corso di Formazione per docenti delle scuole primarie e superiori.

    Scarica il programma in pdf.

  • Storia e storie nelle aule italiane: saperi e linguaggi umanistici nella riforma dell’istruzione.

    Il 14 aprile 2015 presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli si terrà la tavola rotonda Storia e storie nelle aule italiane: saperi e linguaggi umanistici nella riforma dell’istruzione.

    L’incontro, che riunisce Università, stampa ed editoria, intende interrogarsi sulla crisi d'identità che negli ultimi anni sta investendo le discipline umanistiche, e promuovere una riflessione sul ruolo che queste possono e devono avere nell’attuale riforma dell’istruzione, e più in generale come strumento strategico per la costruzione del tessuto civico e culturale delle società contemporanee.

    Maria Pia Donato (Università di Cagliari e CNRS), Armando Massarenti (Ilsole24ore), Tomaso Montanari (Università di Napoli Federico II), Mariella Pandolfi (Università di Montreal), Florindo Rubbettino (Casa editrice Rubbettino), Adolfo Scotto di Luzio (Università di Bergamo) si confronteranno dunque su come rinnovare la capacità dei saperi umanistici di rinnovarsi e di contribuire in modo critico alla modernizzazione del nostro Paese e alle grandi sfide del nostro tempo: Introdurrà il Preside della Facoltà di Scienze della Formazione del Suor Orsola Enrico M. Corbi, e coordinerà Vittoria Fiorelli, docente di storia moderna presso lo stesso ateneo, che in passato ha già promosso importanti  iniziative sui temi della formazione storica alla cittadinanza.
    L’incontro si svolgerà nella sala della Biblioteca Pagliara, via Suor Orsola 10, dalle ore 16,30. L'ingresso è libero.

  • Studiare il «cuore della Shoah» attraverso l'«Aktion Reinhardt»

    Studiare il «cuore della Shoah» attraverso l'«Aktion Reinhardt»: la 
distruzione dell'ebraismo polacco (1941-43)

     

     

    8 novembre 2013 - ore 15
    Università di Modena e Reggio Emilia Viale Allegri n. 1, Aula II - Reggio Emilia

     

    Con

    il prof. Iannis Roder - Mémorial de la Shoah - Paris


    Introduce

    Laura Fontana - Referente italiana Mémorial de la Shoah

     

    A seguire, nella sala conferenze di Istoreco (via Dante, Il - RE) 
sarà proiettato il film documentario "Belzec" di Guillaume Moscovitz (Francia 2005, evento speciale alla XX settimana internazionale della critica, 
Venezia 2005), in versione originale sottotitolato in italiano per gentile 
concessione del Mémorial de la Shoah.


    Info sul sito di Istoreco

  • Summer School INSMLI 2014

    Il laboratorio del tempo presente

    Qui trovate il Programma dell'edizione 2014 della Summer school INSMLI e la scheda di iscrizione

  • TFA e Master di formazione. Un confronto tra Italia e Spagna

    Autore: Antonio Brusa


    Intervista a Rafael Valls Mòntes

    Rafael Valls Mòntes insegna Didattica della Storia presso l’Università di Valencia dal 1989. Lavora in un Dipartimento di Didattica delle scienze sperimentali e sociali con 50 colleghi, dei quali dieci sono “strutturati” e quaranta “associati”, cioè docenti di scuola che insegnano presso l’Università. Sono nella sua bella casa, un po’ alla periferia di Valencia, illuminata da un sole autunnale caldo e piacevole. Parliamo di formazione dei docenti e di didattica della storia.


    Tfa italiani e Master spagnoli

    Da quando le Siss furono chiuse dalla Gelmini, in Italia non abbiamo ancora capito come si andrà a finire con la formazione dei docenti. Attendendo i corsi di formazione universitaria, anno dopo anno, si attivano Tfa, poi Pas, poi di nuovo Tfa. Ogni volta le direttive ministeriali arrivano all’ultimo momento, obbligando tutti a soluzioni affannate.

    In Spagna, mi dice Rafael, la legge fu fatta nel 2010. Venne elaborata dai socialisti, ma, quando andarono al potere i popolari, la misero ugualmente in vigore. Venne immediatamente applicata dalle Università. Prima c’era solo un corso di formazione per i maestri, di tre mesi. Il corso attuale – un Master – dura un anno intero; impegna gli allievi per circa 600 ore (60 crediti). Alcuni elementi sono fissati dall’amministrazione centrale, come la durata e gli indirizzi. Le Università, invece, decidono sui crediti, cioè sul peso specifico delle diverse materie di insegnamento, e sul costo. Le Regioni Autonome sul numero dei posti.

     

    Classi di concorso

    Concentriamoci sulla Storia. Da noi è presente in diverse classi di concorso, e il suo peso varia da classe a classe, a seconda dei “compagni di strada”: Italiano, Geografia, Latino, Greco, Filosofia, ecc. A me, per esempio, è capitato di fare corsi di Didattica della Storia di 2, 3, fino a un massimo di sei crediti.

    Qui, in Spagna è più semplice, almeno in questo caso. Chi si vuole abilitare in storia, fa il Master in Storia, Geografia e Storia dell’Arte. E, nel caso di Valencia, i crediti sono: otto per Storia, otto per Geografia e sei per Storia dell’Arte. Ci sono poi altre discipline: un corso di Innovazione e Ricerca (disciplinare) di sei crediti, le discipline socio-psico-pedagogiche: Psicologia dell’apprendimento (4 cfu), Sociologia educativa (4cfu) e Didattica generale (6 cfu), per un totale di 14 crediti. Il tirocinio, che non è gestito dai pedagogisti, ma dalle discipline specifiche e il lavoro finale del master. A conti fatti, il 70% è disciplinare. Abbiamo 80 allievi, divisi in due classi, che pagano un po’ meno di mille euro.

     

    La battaglia dei crediti

    La divisione dei crediti è una fonte perenne di conflitti fra disciplinaristi e pedagogisti. Ho conosciuto esiti imprevedibili di queste battaglie, come una storia bizantina messa nel corso abilitante per insegnanti di sostegno; docenti di medievale, moderna e contemporanea, di latino che si disputavano insegnamenti di uno-due crediti; per non parlare dell’inesauribile varietà degli insegnamenti pedagogici.

    Anche qui c’è stata bagarre. L’Università voleva attribuire le ore disciplinari ai colleghi della facoltà di Storia e Geografia, per quanto la responsabilità dei corsi fosse stata affidata ai Dipartimenti di Didattica. L’argomento è ben conosciuto anche in Italia: i contenuti. Quindi, Storia antica, medievale, moderna e contemporanea. Tuttavia, questi sono corsi che servono per insegnare. Gli allievi devono avere acquisito – nel corso di laurea di primo livello – i crediti di storia sufficienti, e se non li posseggono devono sostenere un esame specifico (di due ore) prima di accedere al Master.

    Siamo riusciti a imporre una regola: poteva concorrere all’incarico solo il docente universitario che avesse fatto almeno tre anni di insegnamento nelle secondarie. E’ stato un buon selettore per eliminare molta concorrenza. I pedagogisti, dal canto loro, volevano mettere le mani sul tirocinio. Ci siamo opposti e abbiamo avuto ragione. Quindi i tutor provengono tutti dalle didattiche disciplinari. Soltanto nel caso in cui non c’è una tradizione didattica, come per esempio a Medicina e a Economia, il tutoraggio è stato affidato a Pedagogia.

     

    Il programma di studi

    Un problema non secondario è quello del programma di Didattica della storia. Ognuno si regola come crede, da noi: al punto che alcuni colleghi di modernistica hanno stilato delle raccomandazioni per evitare, per esempio, che il corso di Didattica sia una reduplicazione del corso di Storia, svolto all’Università.

    Penso che un programma istituzionale di Didattica della storia potrebbe svolgere questi punti (per lo meno, questo è il mio programma): che cosa è la didattica e la sua importanza; i fini dell’insegnamento della Storia; i grandi modelli educativi storici (tradizionale, per scoperta e interattivo); le difficoltà degli studenti nella comprensione storica; analisi dei manuali; presentazione di materiali didattici alternativi; la pianificazione e realizzazione di un'unità didattica, su un tema previsto dal programma o su un altro tema. Il corso, poi, è in stretta relazione con la parte pratica, per quanto i partecipanti non possano sperimentare la loro unità didattica, per questioni di tempo. Infatti, il tirocinio si svolge fra gennaio e marzo, quando non hanno ancora elaborato il progetto. Al termine del corso, vi è il lavoro finale del master, che impegna 6 crediti.

     

    Il tirocinio.

    Conosco una grande varietà di soluzioni, che riguardano soprattutto la suddivisione delle ore: una parte di tirocinio è gestita dai pedagogisti; un’altra dai disciplinaristi. C’è un tutor, a volte uno solo per corso. Chi sia questo tutor, poi lo decidono di volta in volta le Università. A Pavia quelli di storia furono formati nei laboratori Didattica della storia dell’Università. Dunque sono specialisti. A Bari, invece, l’unica tutor era una professoressa di media, risultata prima nelle graduatorie regionali.

    No. Il corso è disciplinare. Il tirocinio è di didattica specifica e impegna 12 crediti. Quindi anche i tutor devono essere specialisti. I tutor lavorano sempre in coppia: un professore del Dipartimento di didattica e un professore, vincitore di concorso regionale. Per partecipare al concorso occorre preparare un progetto di formazione. Una commissione regionale sceglie i migliori. Ogni due studenti vi è un tutor. Purtroppo non sono pagati molto. Un tutor prende 180 euro (90 per allievo) e la sua scuola 300.

     

    Innovare l’insegnamento

    Tempo fa, nel fuoco di uno dei dibattiti che periodicamente investono la scuola, un collega scrisse che non vedeva tutta questa necessità di innovazione. Vedo che presso di voi c’è addirittura un insegnamento apposito.

    Questo insegnamento ha un programma molto concreto. “Innovazione e ricerca” è anch’esso un corso disciplinare, che impegna 6 crediti. Si studiano i modelli alternativi; si presentano le riviste specifiche di didattica disciplinare e gli  esempi esistenti di ricerca e innovazione.

     

    Il titolo

    Il TFA è una soluzione provvisoria. Dovrebbe essere sostituito da una laurea abilitante, proposta dalla Gelmini e sostanzialmente ripresa nel documento ministeriale "La buona scuola", ma c’è chi vuole rendere stabile il Tfa, con la proposta di aggiungerlo ad una laurea quinquennale. SI discute, ancora, se questa formazione debba essere universitaria o no, cioè lasciata interamente o prevalentemente alle scuole.

    Il corso di formazione si fa dopo la laurea di primo livello (la laurea di primo livello spagnola è di quattro anni). Chi frequenta il master, ottiene il titolo necessario sia per poter fare lezioni sia per presentarsi ai concorsi. Prima della crisi le regioni facevano un'offerta pubblica, che oscillava fra i 50 e i 300 posti annuali. Ora i posti scarseggiano. A Valencia, per esempio, sono ormai quattro o cinque anni che non si fanno concorsi pubblici. Nella scuola si perdono 10 mila posti per anno, perché, secondo il programma di governo, i posti dell’amministrazione devono diminuire del 10% ogni anno. I nostri allievi possono avere possibilità solo nella scuola privata.

     

    La didattica della storia in Spagna

    Una forte differenza, tra Spagna e Italia, è costituita dalla presenza nelle Università della Didattica della storia. Qui gli insegnamenti sono quasi inesistenti, sono raramente tenuti da docenti disciplinari che si specializzano in Didattica della storia, mentre, nella maggior parte dei casi, sono – come si dice – “sensibili al problema dell’insegnamento”.

    In Spagna, la Didattica della storia inizia nel 1983, con una riforma universitaria dei socialisti che stabilisce i dipartimenti di didattiche specifiche, sia le scuole normali (scuole per la formazione dei maestri, oggi inglobate nel sistema universitario), sia nei corsi di magistero o di educazione o di formazione dei docenti.In ogni Università vi è un Dipartimento di Didattica, che raggruppa, come nel caso di Valencia, gli studiosi di didattica delle diverse discipline. Solo Madrid e qualche grande Università hanno dipartimenti specifici delle scienze sociali.

    A Valencia i docenti di Scienze sociali (storia, geografia, educazione civica) sono quindici, fra quelli strutturati e gli associati. Si sono specializzati in diverse branche della didattica: chi studia i manuali di storia, chi i problemi degli allievi; chi si occupa della professione insegnante. Non mancano gli studi sul curricolo e sono in aumento gli studi sull’educazione civica, sul patrimonio e sull’insegnamento della storia agli allievi che sono in difficoltà.

     

    Didattica della storia

    Questa è una bella differenza tra Italia, dove la Didattica della Storia è generalmente intesa come un fatto di impegno personale e volontario di professori e ricercatori, e Spagna, dove è invece una disciplina strutturata.

    In Spagna esistono 300 ricercatori professionali, dei quali dodici sono ordinari, riuniti in un’associazione specifica Asociaciòn Universitaria del Profesorado de Didactica de la Ciencias Sociales (web). Questa organizza ogni anno un convegno, su temi diversi, in una diversa università. Ogni docente dispone di un’aula virtuale, nella quale pubblica testi, programmi, dossier e strumenti diversi per l’insegnamento.

     

    Sitografia essenziale

    Università pubblica di Barcellona
    Università di Salamanca
    Università di Saragoza

     

  • The Next Generation. Formazione dei futuri professori di storia

    Autori: Antonio Brusa, Luigi Cajani

    “Invitiamo ogni dipartimento di storia a occuparsi seriamente di didattica”. Questa raccomandazione si trova in apertura del programma The Next Generation of History Teacher, promosso da varie organizzazioni di storici statunitensi, fra cui l’American Historical Association . Da questo programma abbiamo tratto il titolo della rubrica, che dedichiamo a coloro che in questi giorni cominciano a frequentare il TFA, ai nostri colleghi che vi insegneranno, e, oltre a loro, a tutti gli insegnanti che vogliono intraprendere un percorso autonomo di formazione professionale specifica.

    Non conosciamo i programmi, né l’organizzazione dei diversi corsi italiani (speriamo che, a questo proposito, l’indagine avviata dai colleghi della Sisem, ci possa dare buone indicazioni). Le poche analisi di quanto è stato fatto nel passato non ci confortano troppo (A. Zannini, “Mundus”, pp. 14-21 e il dossier sulla formazione dei docenti nei nn. 3 e 4). A parte poche eccezioni, i corsi che formano i futuri insegnanti tendono ad assomigliare troppo ai corsi di laurea normali.

    I colleghi americani la pensano in modo diverso. La prospettiva dell’insegnamento della storia fa parte della preparazione generale universitaria, partendo dalla collaborazione far scuola e università per approfondire la conoscenza reciproca in termini di pratiche didattiche e di problemi da affrontare. La preparazione dei futuri insegnanti deve iniziare durante i corsi universitari, attraverso lo sviluppo del pensiero critico sulla storiografia e attraverso curricoli coerenti e integrati, che diano loro una formazione di base completa e non lacunosa.

    Scopriamo, leggendo questo programma, una sorta di prospettiva ribaltata rispetto a quella italiana. Da noi, il lavoro didattico universitario considera l’insegnamento come fatto accessorio. Non se ne parla, durante i corsi, semmai (e se va bene) lo si farà durante il TFA o in qualche altra struttura apposita (non sappiamo che cosa ci riserva il futuro). Negli Usa, invece, è il contrario. Imparare la storia e pensarla, “come insegnanti di storia” fa bene a tutti gli studenti, anche a quelli che non faranno i docenti di storia,  dicono da quelle parti. Punti di vista diversi, come diversa è la considerazione del mestiere di insegnante. Ma fa piacere che, in qualche angolo della terra, i docenti universitari vengano spinti a “incoraggiare i loro studenti a considerare la prospettiva di diventare professori di storia”.

    La nuova didattica, dicono con nettezza, mette l’accento sul fatto che i futuri docenti debbono sapere “come si fa la storia”, come si costruiscono racconti e argomentazioni storiche. Questo porta a due obiettivi fondamentali del lavoro di formazione iniziale: insegnare differenti interpretazioni e metodi di lavoro storico e organizzare un programma formativo organico e coordinato che eviti “corsi altamente specializzati e separati fra di loro”.

    Una nuova generazione di professori di storia, dicono negli Usa. Historia Ludens incoraggia lettori e studenti in questa direzione. Per questo motivo, ha creato una sezione The Next Generation (piacerà, speriamo, anche a chi non ama Star Trek), nella quale vengono riorganizzati i contenuti già pubblicati in passato, e gli altri materiali che utilizzeremo nei corsi di quest’anno. In questo modo, il materiale pubblicato potrà essere cercato sia attraverso le parole chiave (per esempio: storia medievale, didattica ludica, memoria, ecc), sia attraverso una delle quattro rubriche, che costituiscono questa nuova sezione.

     

    Formazione professionale.

    Tutto ciò che riguarda la cultura professionale del docente di storia. Quindi, la storia dell’insegnamento della storia; il ruolo che questa attività ha nella società; i problemi generali dell’insegnamento storico; il manuale, dal punto di vista storico e strutturale; i programmi, sia quelli italiani, sia nel loro confronto con quelli di altri paesi. Il corredo culturale specifico del docente: storiografia, epistemologia, metodologia. Le nuove interpretazioni storiche, la revisione dei curricoli e dei contenuti dell’insegnamento

    Materiali e strumenti

    modelli di lavoro. Le tecniche per costruire laboratori, studi di caso, percorsi di studio. La didattica ludica, la  didattica sul territorio. Didattica museale e del patrimonio. Proposte di programmazione. Curricoli.

    Pratiche

    Esperienze di insegnamento e proposte di lavoro.

    Storia e società

    Il dibattito sui rapporti fra storia e società. L’uso pubblico della storia. Il rapporto fra storia e memoria. La storia pubblica. I media e la storia.

  • Tre giorni pieni di giochi

    Historia e Philosophia ludens, insieme a Bari, dal 15 al 17 aprile.

    Sarà un peccato, se vi perderete questo appuntamento. Ci saranno le classi (dalle elementari alle superiori), gli insegnanti (tanti insegnanti) e noi dei gruppi di Historia e Philosophia ludens.

    Abbiamo preparato nuovi giochi e nuove strategie didattiche. Ci saranno dei tavoli, attorno ai quali le classi giocheranno e ci saranno momenti in frontale, per i professori, per mostrare loro tutte le novità. A volte lavoreremo insieme, filosofi e storici, a volte faremo attività in parallelo: uno sguardo al programma e vi renderete conto della ricchezza di questa tre giorni.

    Il tema conduttore è il tempo. Nella filosofia e nella storia. Per noi storici significa in primo luogo le date (ed è una soddisfazione particolare renderle divertenti, loro che sono il simbolo della noiosità della storia), significa oggetti che si trasformano nel tempo; significa racconti di tempi diversi (per esempio sulle migrazioni); significa giocare con particolari concetti, come la complessità o le rivoluzioni; significa andare in giro per le campagne o per le città, “leggendo i tempi diversi”.

    Non saremo soli, noi italiani. Stavolta arrivano soccorsi dall’estero. Dei filosofi non mi azzardo a parlare (li presenterà Annalisa Caputo), ma lo storico che viene è straordinario: si tratta di Joan Santacana Mestre. Archeologo e docente di didattica storica all’Università di Barcellona. A parte la sua bravura di studioso, chi verrà potrà arricchirsi con la sua competenza straordinaria nella didattica dell’archeologia e degli oggetti.

    Insomma, quasi a conclusione di un anno di lavoro, possiamo dire che il movimento didattico sta ripartendo alla grande, a Bari. Abbiamo fatto due convegni sul neoborbonismo, messo su una rete di scopo sull’insegnamento delle discipline umanistiche, che inizierà ufficialmente i suoi lavori a ottobre. Vedo tanti ragazzi che fanno didattica della storia con Claudia Villani. Con loro e con tanti insegnanti stiamo preparando questo corso da qualche mese. Sarà un appuntamento allegro e utile.

    E sarà un vero peccato se ve lo perderete.

     

      programma completo

     

    hl pl 15 17 aprile manifesto con saluti 1

  • Un canale YouTube dedicato alla formazione docenti

    di Marco Tibaldini

    In un piovoso giorno del novembre 2016 mi trovavo a Trastevere con Domenica di Sorbo, dirigente del MiUR: «Ma c’è un modo per poter realizzare dei materiali didattici e raggiungere i docenti di tutto il paese?» – mi disse – «potremmo fare un canale YouTube con il gruppo dei giovani associati a Clio ‘92» risposi così su due piedi.

    Youtube e divulgazione storica

    Era da qualche tempo che riflettevo su questa possibilità, da quando avevo aiutato un’equipe televisiva di Berlino ad organizzare un viaggio sui luoghi più significativi del fronte italiano durante la Grande Guerra. Stavano infatti realizzando un documentario per raccontare l’evolversi del conflitto settimana dopo settimana, ed il prodotto era poi stato pubblicato su YouTube con tutti i crismi della comunicazione digitale: pagina Fb ed Instagram di supporto, profilo su Patreon e vendita di gadget per ricevere finanziamenti da parte degli spettatori.

    In brevissimo tempo, il loro documentario era stato visto da 150 milioni di spettatori in tutto il mondo. YouTube mi sembrò quindi una possibilità piuttosto concreta per diffondere delle idee in modo innovativo, semplice e rapido. Inoltre, a pensarci bene, io stesso lo utilizzavo ampiamente per documentarmi sul canale dell’Oriental Institute di Chicago e sul Curator’s Corner del British Museum.

    Appunti di storia

    Perciò, ci siamo messi al lavoro. Abbiamo raccolto varie esperienze di studio e ricerca svolte da una pluralità di studiosi, selezionato le unità didattiche e gli argomenti ritenuti meno importanti dai manuali ed infine abbiamo individuato delle fonti letterarie in grado di rivalutarli, spesso traducendole in italiano per la prima volta.

    «Sì, ma fate qualcosa di leggero, che non sia la solita conferenza da specialisti» mi sentivo dire dagli insegnanti a cui sottoponevo l’idea. «Si chiamerà Appunti di Storia» – rispondevo – «perché sarà qualcosa di rapido ed agevole, ma carico di significato, come gli appunti che si prendono a lezione!»

    C’era però anche un altro ostacolo: la comunicazione audio-video di YouTube è un linguaggio al quale siamo ormai tutti largamente assuefatti, e quindi anche esigenti. Dunque, anche se non potevamo permetterci dei grandi effetti speciali, dovevamo cercare di rendere tutto il più gradevole e scorrevole possibile, poter massimizzare l’effetto della nostra comunicazione ed ottimizzare il poco tempo che si ha a disposizione.

    Una struttura didattica multimediale

    Questi ragionamenti ci hanno portato a progettare una struttura didattica multimediale: un presentatore calato in un set scolastico, la presenza di elementi visivi come fotografie di reperti archeologici, schemi e mappe animati, disegni in stile cartoon modellati su delle vere fonti iconografiche, insomma abbiamo cercato di inserire tutti quegli elementi che potessero sottolineare, enfatizzare o ampliare la comunicazione verbale.

    Dietro le quinte del progetto: una ferrea supervisione da parte di Ivo Mattozzi, i contributi di diversi accademici nazionali ed internazionali, ed infine la competenza narrativa, tecnica e tecnologica di un gruppo di giovani studenti universitari.

    L’istituto Zenale & Butinone di Treviglio si è poi reso disponibile ad ospitare il set e gli alunni, che studiano grafica digitale e montaggio video, hanno supportato la realizzazione delle riprese e dei materiali video.

    Nelle prime puntate vedrete …

    Le prime due puntate sono già online: una presenta il progetto e le sue finalità, mentre l’altra entra subito nel vivo della questione cercando di dare una risposta alla domanda Che cos’è la Storia? Questi due episodi ci danno già un assaggio di quella che è la strategia narrativa del canale: un intreccio audio-visivo, nel quale le illustrazioni animate contribuiscono ad alleggerire il tono del discorso, ma anche a sottolineare, ampliare e completare la partitura vocale.

    Gli upload che seguiranno nei prossimi mesi comporranno poi un catalogo di episodi piuttosto variegato: ci sarà una mini-serie dedicata all’epistemologia ed alla metodologia didattica, ricca di interviste a specialisti del settore storico/didattico ed archeologico.

    Un’altra serie di puntate invece è stata realizzata in collaborazione con il Sistema bibliotecario Urbano di Bergamo per darci dei consigli di lettura, selezionati con cura dai bibliotecari della “sezione ragazzi”. Sarà online a partire dal gennaio 2019. Poi ancora seguiranno degli approfondimenti tematici dedicati alla Storia antica, realizzati attraverso mappe ed animazioni digitali, cartoon e delle fonti letterarie tradotte in italiano per la prima volta.

    Bene! Non vi resta che cliccare sul link e seguire il canale per non perdervi neanche una puntata!

  • Un festival di storia tutto per i ragazzi

    di Ilaria Sabbatini

    Congresso dei ragazziCongresso dei ragazzi 2018

    Partiamo dal dato più importante: lo Young Historians Festival di Lucca non è un festival per i ragazzi ma dei ragazzi e con i ragazzi. I ragazzi non sono i destinatari dell’attività didattica ma ne sono gli artefici: sono loro che si pongono nel ruolo del ricercatore e del docente per misurarsi con lo sforzo di insegnare ai propri coetanei. Lo Young Historians Festival di cui si è tenuta un’edizione pilota nel 2018 ha visto ampia partecipazione di studenti, insegnanti e soggetti culturali locali e nazionali. Lo Young Historians Festival è il primo festival italiano di storia rivolto ai ragazzi in età scolare. Il logo raffigura la corona presente sulla stemma di Lucca che celebra la parola Young a significare che i protagonisti del festival sono proprio loro, i ragazzi.

    In mezzo a un proliferare di appuntamenti tematici che vanno dalla filosofia alla matematica, lo Young Historians Festival è il primo festival italiano di storia rivolto ai ragazzi in età scolare, pensato come appuntamento fisso che qualifichi la città di Lucca come luogo della storia per eccellenza, in cui la storia si impara a maneggiarla con particolare attenzione alla formazione e alla didattica.

    La voglia di confrontarsi

    Come spesso succede, si è scelto di organizzare un festival rivolto ai giovanissimi e fatto dai giovanissimi inizialmente per un motivo casuale. All’interno delle attività di ARVO – Archivio Digitale del Volto Santo, ci si era accorti che alcune scuole del territorio lucchese e delle zone limitrofe si erano occupate con successo di argomenti relativi alla città. L’istituto comprensivo di Licciana Nardi e quello di Camporgiano nel 2017 hanno vinto la VII edizione di Raccontare il Medioevo, il Concorso Nazionale di Scrittura indetto dall’Istituto Storico Italiano per il Medioevo di Roma. La notizia era passata inosservata, nessuno a Lucca era a conoscenza di queste attività e dei relativi risultati. Si è pensato quindi di iniziare valorizzando il lavoro fatto e organizzando un congresso per questi studenti, in modo da farli incontrare e permettere loro di confrontarsi sulle attività svolte. Al contempo si è voluta creare un’occasione di incontro tra la città e questi ragazzi che si sono occupati della sua storia ampliando l’occasione del congresso a un festival che coinvolgesse più attori e più istituzioni, pubbliche e private. Questa esperienza ha riservato notevoli sorprese. Hanno colpito tutti il modo professionale in cui si sono relazionati i ragazzi e la qualità delle interazioni che sviluppavano tra di loro. Per arrivare a un simile risultato è stato necessario un attento lavoro di confronto con le scuole ottenendo infine la creazione di solidi rapporti di collaborazione.

    Quest'anno ci riproviamo

    Facendo tesoro dell’esperienza maturata con l’edizione pilota del 2018, col sostegno della Fondazione CRL, vogliamo riproporre una prima edizione effettiva dello Young Historians Festival che continui ad occuparsi dei temi della storia cittadina e dell’itineranza che così tanto peso stanno assumendo nella valorizzazione del territorio. Sulla base delle indicazioni delle scuole, degli operatori museali, degli enti di promozione del territorio è emersa la coscienza di un vuoto di competenze e di materiale didattico. Per questo motivo lo Young Historians Festival 2019 verterà sulla tematica: Verso Lucca. Pellegrinaggi e itinerari culturali di un territorio.

    Al congresso dei giovani storici parteciperanno anche il Centro internazionale di Didattica della Storia e del Patrimonio (DiPaSt) dell’Università di Bologna e lo Young Historians Festival di Lucca da quest'anno è gemellato con la Festa Internazionale della Storia di Bologna, per questo una delegazione lucchese sarà presente alla Festa che si terrà in ottobre all’Archiginnasio.

    Due studiose lucchesi (Leone e Landucci, 2005-2006) hanno scritto: «Il territorio vive nella misura in cui c’è chi lo rende vivo e questo comporta il coinvolgimento della gente, che deve riappropriarsene, riscoprendo prima di tutto l’amore di ciò che lo circonda, maturando poi, attraverso la conoscenza, una chiara ed oggettiva consapevolezza delle sue ricchezze e potenzialità». Questo è esattamente lo spirito dello Young Historians Festival che, facendo perno sul Congresso dei Ragazzi intorno a cui tutto ruota, intende far conoscere la ricchissima tessitura storica del territorio di Lucca attraverso una serie di visite che accompagnano e integrano l'esperienza di ricerca dei più giovani tra gli storici.

    Il programma 2019

    Il festival si articola in un Congresso dei ragazzi a cui si affiancano diverse attività complementari. Quest'anno si terranno delle visite didattiche presso gli scavi di San Giovanni e Reparata, il primitivo edificio battesimale a Lucca, insieme ad attività di laboratorio in San Micheletto, sede del congresso. Inoltre il 31 maggio si terranno delle viste guidate al Castello di Nozzano con la collaborazione dell'associazione culturale "Il castello". Infine il 1 giugno si terranno delle visite didattiche, con una particolare attenzione ai ragazzi, in occasione dell'apertura straordinaria della Cappella di Villa Buonvisi a Monte San Quirico, Lucca, che vanta l'unico ciclo di affreschi completo relativo alle storie del Volto Santo. Segue programma.

     

    CONGRESSO DEI RAGAZZI 2019

    Sala congressi di San Micheletto – 30 maggio 2019 – Ore 10:00

    Verso Lucca. Pellegrinaggi e itinerari culturali di un territorio

     

    IC “Gino Custer de Nobili” di Santa Maria a Colle, classe 1B, Alla scoperta di Nozzano, il castello che vive – Tra Modena e Lucca, Il castello appenninico di Roccapelago

    IC “Francesco Francia” di Zola Predosa (Bo), in collaborazione con il Centro DiPaSt e la “Festa Internazionale della Storia” dell’Università di Bologna, Matilde: un’avventura a corte

    IC “Iginio Cocchi” di Licciana Nardi (Ms), classi 1A e 1B, Le vie d’acqua e i castelli della Lunigiana

    IC di Castelnuovo – Camporgiano, classi 1A e 1B, Dal Castello delle Verrucole a Lucca: un viaggio in gioco

    IC “Papa Giovanni XXIII” di Borgo a Mozzano, gruppo misto, Lost in Bargiglio: la strana avventura della scimmia aliena

    IC “Leonardo da Vinci” di Reggio Emilia, classe 1C, Sulle tracce di un monaco in visita a lucca. Gioco storico di orienteering urbano.

    30 maggio 2019 - pomeriggio

    Nel pomeriggio si terranno i laboratori dei ragazzi in San Micheletto, Sala degli affreschi. I laboratori sono aperti al pubblico e vedono la presenza delle associazioni Historica Lucense, Il Cammino di Santa Giulia

     

    VISITE

    Oltre al programma del Congresso dei ragazzi lo Young Historians Festival prevede una serie di visite in sua concomitanza, organizzate in collaborazione con vari referenti.

     

    30 maggio 2019 ore 14:00

    Archeologia urbana per giovani storici: la chiesa dei santi Giovanni e Reparata</span style="color:#66ccff">, in collaborazione con il Museo della Cattedrale

    Riservata ai ragazzi con prenotazione

    Per informazioni: 0583 490530 - 340 2528967

     

    31 maggio 2019 ore 15:00, ore 17

    Un castello per i ragazzi: visita didattica al borgo fortificato di Nozzano Castello</span style="">, in collaborazione con l’Associazione Culturale “Il Castello”

    Aperta al pubblico - consigliata prenotazione

    Per informazioni: 0583 548014 - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

     

    1 giugno 2019, ore 15:00, ore 17:00

    Apertura straordinaria della Cappella del Volto Santo di Villa Buonvisi a Monte San Quirico e visita didattica, in collaborazione con gli inquilini

    Aperta al pubblico - consigliata prenotazione

    Per informazioni: 340 1651605

     

    L'illustrazione per lo Young Historians Festival 2019 è di Riccardo Massagli, storico dell'arte, maestro e illustratore.

     

    ► Scarica il programma del festival

     

    Visita alla Cappela Buonvisi 2018Visita alla Cappella Buonvisi 2018

  • Una ricerca didattica svolta dalle università di Macerata e di Bari. Come si insegna storia nella scuola di base: problemi e pratiche

    Scarica qui la Locandina del Convegno e la Scheda d'iscrizione

     

  • Uno strumento per una programmazione integrata di storia, geografia e economia

    Autori: Antonio Brusa con Catia Brunelli, Andrea Fumagalli, Massimiliano Lepratti

     

    Emilio Leofreddi, Giro del mondo in ottanta minuti

     

    Nel “manifesto”, come con tanta ironia lo abbiamo chiamato, di storia interculturale/interdisciplinare, abbiamo esposto i principi e le avvertenze di massima. Ora è la volta di uno strumento pratico: uno schema/matrice, per costruire una programmazione quinquennale.

    Come avete visto nel manifesto, ci si sforza di pensare alla storia non come una narrazione continua, ma come un Atlante, fatto di carte mondiali, regionali e nazionali/locali. E’ un Atlante particolare, però, perché deve – comunque – tenere conto della cronologia. Di conseguenza, ogni grande periodo della storia umana è organizzato secondo una visione transcalare. E, periodo per periodo, si mostrano le connessioni possibili con altri due campi disciplinari: la geografia e la storia economica. Probabilmente il rapporto stretto con la geografia è già ben compreso dagli insegnanti, oltretutto sommersi da proposte di libri di Geostoria variamente confezionati. Diverso è il caso dell’economia. Questa è una scelta del gruppo di lavoro del CVM (Centro Volontari per il Mondo, curato da Giovanna Cipollari), con il quale sto lavorando. Scelta motivata dal fatto che ci sembra importante sottolineare come, proprio in vista di una formazione civile completa, siano necessarie delle conoscenze economiche, laddove l’esperienza degli ultimi trent’anni ha mostrato il declino progressivo dell’interesse nelle scuole, e nella manualistica, verso questa disciplina.

    Lo schema dovrebbe funzionare in questo modo: guardate la casella Storia/Mondo. In questa si trova il cuore del curricolo. La parte essenziale del programma. Manca il tempo (e ci aggiungete tutte le difficoltà di rito): allora questo è il programma minimo. Per due ordini di motivi: se li mettete in fila, dal passato verso il presente, quegli argomenti “tassellano” completamente il tempo/spazio passato. Quindi, la loro conoscenza è in grado di fornire l’obiettivo minimo dell’insegnamento: una conoscenza razionale e organizzata del passato, che aiuti gli studenti a orientarsi (l’effetto mappa, potremmo dire). Il secondo motivo riguarda l’apertura mondiale di questi argomenti, in grado di “ricomprendere” l’esperienza e gli sguardi sul mondo dei nostri allievi, nati in Italia e no.

    Una volta programmato il contenuto minimo, provate ad aggiungere gli argomenti, pescandoli dalle altre caselle, e quindi dalle altre dimensioni scalari. Solitamente, nella scrittura di un progetto formativo, il docente si comporta come se scrivesse i capitoli di un libro, dal passato verso il presente. E’ difficile, in questo modo, tenere conto del tempo a disposizione e quindi delle possibilità effettive di insegnamento e si lascia al naturale svolgersi dell’anno scolastico il grave compito della scelta. Quando finisce l’anno si chiude il programma, si rimanda all’anno successivo, e alla fine non si arriva mai allo studio del mondo attuale.

    Questo schema vi permette di affrontare il problema della scelta PRIMA di iniziare l’anno. Quanto tempo dura una vostra unità didattica tipo? Dividete il monte ore a disposizione (in genere non più di cinquanta) per la durata di una vostra unità, e avrete il numero dei contenuti possibili. Non si scappa e non c’è progetto che tenga. Si uscirà da queste strettezze quando qualche ministro aumenterà le ore a disposizione.

    Se, dove ne avete l’occasione, avete anche la possibilità di insegnare geografia, allora lo schema vi permette di sommarne le ore a quelle di storia. E quindi di scegliere anche dalle caselle, che - nel nostro schema - sono azzurre. In ogni caso, anche se qualche mano gentile ha cancellato la geografia dal vostro programma, date loro uno sguardo: vi troverete suggerimenti per affrontare l’argomento storico previsto da un altro angolo di osservazione e, soprattutto, i suggerimenti per un rapporto con il presente consolidato e ben controllato (appunto, controllato da un sapere disciplinare).

    Allo stesso modo, date uno sguardo (anche se non insegnate economia) alla casella rossa. Segue passo passo l’argomento storico scelto e permette di inserire nella vostra trattazione didattica concetti, termini e fatti che rivestono un interesse formidabile nella formazione del cittadino. Noterete che, a volte, gli argomenti suggeriti da Andrea Fumagalli, che insegna economia a Pavia, sono già incorporati nella storia insegnata di solito.

    E’ appena il caso di sottolineare che questo schema non è una bibbia. Ho provato con i colleghi del gruppo a riempirlo, in modo da vedere come funziona. Ci stiamo ancora lavorando su. Poi lo proporremo a focus group di insegnanti in sei paesi europei, per vedere come questi ci si ritrovano, se propongono modifiche: i lettori di HL sono i primi invitati a questa prova. Per il momento, sarei contento se aiutasse qualcuno a scrivere la sua programmazione, in questo inizio d’anno.

     

    Preistoria

     

    Disciplina

    Argomento

    Mondo

    Regione

    Nazionale/Locale

    Storia

    Processo di ominazione.

    Africa.

    Popolamento del mondo.

    Popolamento europeo.

    Un sito paleolitico.

    Geografia

    I grandi ambienti della Terra.

    I biomi terrestri scenario del processo di ominazione.

    Le regioni africane ed europea (caratteristiche geomorfologiche e relazioni geoantropiche tra peculiarità del territorio e rispettive opportunità di vita per l’uomo).

    Il territorio di riferimento del sito locale scelto per l’approfondimento storico.

    Storia

    Processo di neolitizzazine.

    Antico Vicino Oriente.

    Focolai di civilizzazione neolitica nel mondo (America, Cina ecc.).

    Migrazioni neolitiche e colonizzazione agricolo/pastorale dell’Europa

    Un sito neolitico.

    Economia

    La moneta

    Sviluppo di un abbozzo di sistema di scambio monetario chiuso: Merce-Denaro-Merce

    1. Prime regolazioni dell’attività di scambio (Mesopotamia)

    2. Sviluppo commercio nel Mediterraneo Orientale

    Scambi neolitici in Italia: ossidiana, pietra verde, selce

    Geografia

    Biodiversità

    I grandi ambienti della Terra.

     

    Differenzazioni spaziali e climatiche nel neolitico.

     

    I biomi terrestri scenario del neolitico.

    Le regioni del continente asiatico ed americano (caratteristiche geomorfologiche e relazioni geoantropiche tra peculiarità del territorio e rispettive opportunità di vita per l’uomo).

    Il territorio di riferimento del sito locale scelto per l’approfondimento storico.

     

     

    Il mondo antico e medievale

     

    Disciplina

    Argomento

    Mondo

    Regione

    Nazionale/Locale

    Storia

    Storia antica e medievale (500 a.C. -1500 d.C.)

    La formazione del sistema euro-asiatico africano.

    I poli chiave: Occidente Mediterraneo; Estremo Oriente.

    La strutturazione del sistema continentale nel Medioevo.

    La rottura del sistema con la conquista dell’America

    1. Gli imperi (romano, islamico, cinese, indiano, mesoamericani ecc.).

     

    2. Le città (antiche; medievali).

     

    3. Il mediterraneo (antico e medievale).

     

    4. La formazione dell’Europa (Mondo latino, germanico, slavo, ugro-finnico).

    Studi di casi; patrimonio; città; siti.

    Economia

    Nascita degli strumenti giuridici e commerciali

    Espansione attività commerciale europee in Cina e prime innovazioni tecniche (polvere da sparo, signoraggio monetario)

    1. Codificazione dell’attività di scambio (Grecia Antica e diritto romano).

    550 a.C. signoraggio statale (Re) sulla moneta (Lidia).

    2. Antichità classica e sistema schiavistico. Bimetallismo.

    3. Economia agraria e rapporti di produzione; commercio beni di lusso;

    Studi di caso (una villa romana; una città mercantile medievale; un’azienda agraria medievale ecc)

    Geografia

    Urbanesimo e urbanizzazione nello spazio e nel tempo.

    Fenomeno urbano.

    Regioni urbanizzate; città e territorio, tipi di città.

    Studi di caso significativi inerenti al fenomeno urbano di ieri e di oggi, di qui e d’altrove (slums, zonas, città globali ecc.).

     

     

    Il mondo moderno (XVI-XIX sec)

     

    Disciplina

    Argomento

    Mondo

    Regione

    Nazionale/Locale

    Storia

    La formazione del mondo moderno.

    1. I quattro centri principali del mondo: Cina, India, Euro -mediterraneo, America.

     

    2. La rivoluzione geografica e il sistema mondo.

     

    3. Migrazioni volontarie e schiavili.

    1. Le politiche espansioniste degli stati europei.

     

    2. La guerra dei 7 anni e la nascita del primo impero mondiale (Inghilterra).

    1. Gli antichi stati italiani.

     

    2. Studio di caso.

     

    3. Biografie e individui esemplari.

    Economia

    Nascita delle economie mondo (il mercantilismo aggressivo europeo)

    1. Signoraggio statale della moneta e passaggio dalla moneta merce aurea alla banconota aurea convertibile.

    2. Secolo d’oro olandese e spostamento dell’asse economico dell'economia mondo dal Nord-Centro-Italia (Mediterraneo) al Nord Europa (mare del Nord)

    3. Sviluppo del mercantilismo: passaggio da un sistema M-D-M ad un sistema M-D-(M,D). Moneta come riserva di valore

    1. Sviluppo economie nazionali in Europa (formazione Stati Nazioni)

    2. Europa: grande inflazione aurea inizio 1500.

    3. Europa: declino dominio economico spagnolo e inizio supremazia economica inglese dopo la rivoluzione del 1640

    4. Nascita dualismo Nord-Sud Europa

    5. Sviluppo del sistema finanziario europeo

    6. Crisi Olanda e supremazia Inglese (bolla dei Tulipani)

    1. Espropriazione dei commons e inizio processo di urbanizzazione

    2. Inizio dualismo città-campagna

    Geografia

    Sistema mondo.

    Centro-periferia.

    1. Sistema centro-periferia (variazioni nello spazio e nel tempo).

    2. Colonialismo e riflessi su scala mondiale. Nord Sud del mondo. Cartografia e potere politico.

     Il colonialismo europeo in America latina.

    Studi di caso relativi a differenti forme di rapporto con l’altro diverso e ai riflessi spaziali/territoriali di tali relazioni.

    Storia

    L’economia e l’ambiente del mondo moderno.

    La rivoluzione industriale e agraria.

     

    Storia economica italiana.

    Studio di caso.

    Economia

    Il sistema capitalistico

    1. Nascita del mercato del lavoro moderno con remunerazione in moneta.

    2. Sviluppo di un processo di accumulazione basato sulla manifattura.

    3. Sviluppo di un’economia monetaria di produzione: D-M-D’.

     

    Prodromi e nascita del capitalismo nazionale

    Geografia

    Rapporto bisogno-risorsa.

    La questione aperta della disponibilità e della gestione equa delle risorse.

    I riflessi del rapporto bisogno-risorsa: il paesaggio agrario e quello industriale.

    Paesaggi del locale come espressioni delle differenti modalità di intendere il rapporto tra uomo e ambiente, tra bisogno e risorse.

    Storia

    Il dominio europeo del mondo

    La formazione dello stato moderno.

    Rivoluzioni euro/americane: Olanda, Inghilterra, Stati Uniti, Francia.

    Formazione dello Stato italiano.

    Studi di caso.

    Economia

    Il colonialismo capitalista

    1. Crescente ruolo dello Stato come agente economico.

    2. Monopolio statale di emissione di moneta e nascita Banca Centrale.

    3. Prima fase di globalizzazione coloniale (Inizio dualismo Nord-Sud su scala planetaria)

    4. La rivoluzione russa propone un altro modello economico.

     Aumento centralità del modello di accumulazione capitalistica in Europa e Nord America

    La prima industrializzazione italiana; la divisione economica Nord/Sud

    Geografia

    Confini/organizzazione territoriale

    Le organizzazioni politiche su scala mondiale.

    La Nazione.

    L’assetto territoriale nazionale.

    I conflitti politici e militari

     

     

    Il mondo attuale

     

    Disciplina

    Argomento

    Mondo

    Regione

    Nazionale/Locale

    Storia

    Il governo del mondo.

    1. Le due guerre mondiali.

     

    2. Democrazie e dittature.

    1. Fascismo, Nazismo, Stalinismo.

    2. Resistenze

    3. Il periodo postbellico

    Memoria/commemorazione

     

    Studi di caso.

     

    Biografie.

    Economia

     

    1. Crisi del “capitalismo artigianale“ del XIX secolo, fondato sull’operaio di mestiere.

    2. Rivoluzione tecnologica taylorista e passaggio all’operaio massa.

    3. Crisi degli anni ’30 e nascita del fordismo e delle politiche keynesiane.

    4. New Deal contro corporativismo/nazionalismo economico. Le origini economiche della II guera mondiale

    5. Mao e il comunismo al potere in Cina (nasce il “Secondo mondo economico)

    1. Corporativismo/nazionalismo economico in Europa

    2. URSS: svolta di Stalin, dopo l’esperienza della NEP: industrializzazione forzata e piani quinquennali

    Il corporativismo/nazionalismo fascista

     

    L’economia coloniale italiana

    Geografia

    La geopolitica

    Il quadro geopolitico mondiale

     

    La dimensione spaziale della cittadinanza planetaria

    Geografia economica europea e politiche di coesione

    Lo sviluppo locale nella prospettiva di uno sviluppo neoregionale

     

    Interazione locale /regionale/globale

    Storia

    Economia e ambiente.

    Crisi e sviluppo

    1929, 1973, 2008.

    L’Unione Europea.

    Economia nazionale.

    Studi di caso.

    Economia

    L’instabilità del sistema economico mondiale

    1. Polarizzazione economica nel II dopoguerra.

    2. Dualismo economico tra Nord e Sud del mondo e inizio decolonalizzazione militare dell’Africa ma non indipendenza economica.

    3. Crisi del Fordismo fine anni’60 in Usa e inizio anni ’70 in Europa. Crollo di Bretton Woods e crisi delle politiche keynesiane

    4. Sviluppo e egemonia del pensiero economico liberista anni’80 e anni ‘90

    5. III rivoluzione tecnologica: dal taylorismo alle ICT.

    6. Internazionalizzazione della produzione e finanziarizzazione dell’eco-nomia mondo

    7. Crescita e sviluppo di alcune economie periferiche (BRICS, Cina, India, Brasile, SudAfrica, Russia). Ridefinizione degli assetti gerarchici geo-economiche planetari

    8. Crisi della governance finanziaria 2008-2014

     

    Sviluppo economico italiano; effetti delle crisi nell’economia italiana

    Geografia

    Sviluppo.

    Vari modelli di sviluppo e differenti significati del concetto derivanti da vari indicatori (PIL, ISU ecc.).

    I programmi di sviluppo dell’Unione europea.

     

    La politica economica dell’Unione europea.

    Esempi di Green economy.

    Storia

    Uomini e culture.

    1. Migrazioni attuali.

     

    2. Le nuove guerre.

     

    3. Stati multietnici.

     

    4. La planetarizzazione culturale (internet, culture, alimentazione ecc.).

    L’Unione Europea.

    Italia paese multietnico; politica italiana internazionale; studi di caso.

    Economia

    Dal trentennio progressista all'avvento del neoliberismo

    Il rapporto Nord/Sud al tempo della globalizzazione.

    Delocalizzazione del lavoro e dei capitali.

    Dal Trattato di Roma al Fiscal Compact, passando da Mastricht, Patti di Stabilità di Amsterdam, Unione Monetaria Europea

    Le trasformazioni del lavoro in Italia: dalla flessibilità alla precarietà.

    Geografia

    La mobilità umana.

    1. Le migrazioni internazionali. Elementi di demografia.

     

    2. Il fenomeno della globalizzazione.

    1. Le Euroregioni - organismi transconfinari voluti dall’Ue con fini di integrazione socio-culturale e di gestione/sviluppo sostenibile del territorio – come modalità di superamento dei confini, soggetti rappresentativi di un’esigenza di collaborazione, di sentirsi uniti nel rispetto delle peculiari diversità.

     

    2. Il glocalismo, le multinazionali.

    1. Flussi migratori e rispettivi riflessi spaziali e socio-culturali economici nel proprio Paese.

     

    2. Studi di caso.

     

    Questo materiale fa parte del materiale utilizzato nel convegno “Una nuova etica per i curricoli della cittadinanza globale” -  Senigallia 6, 7, 8 settembre 2013 - organizzato dal CVM e dalla regione Marche. Il progetto europeo, coordinato da Massimiliano Lepratti, si intitola: Critical review af the historical and social disciplines for a formal education suited to the global society. Il gruppo di lavoro che ha collaborato alla stesura di questo schema è formato da due economisti (Andrea Fumagalli e Massimiliano Lepratti, e una geografa Catia Bonelli).

     

    Emilio Leofreddi, Sun Tzu

     

  • Via Francigena. Uso pubblico e realtà storica *

    Autore: Giuseppe Sergi


     
    Di quello che si de’ astenere il pellegrino e quello che de’ prendere
    Giovanni Sercambi, Cronache delle cose di Lucca, dal 1164 al 1424, A.S.L., Biblioteca Manoscritti, n. 107, c. 352r

     

    "Viae Francigenae" al plurale

    Secondo Abelardo -   lo ha ricordato Umberto Eco negli anni Ottanta del Novecento  -  le parole non si limitano a rispecchiare la realtà, ma danno anche corpo sia alle cose scomparse sia a quelle inesistenti (Postille a Il nome della rosa, in "Alfabeta", 49,giugno 1983, p. 19). La definizione di "via Francigena" si riferisce di sicuro a una cosa oggi scomparsa. Possiamo domandarci: c'è anche il rischio che si riferisca a una cosa inesistente?

    No, il rischio non è così alto: ma certo il Consiglio d'Europa con il suo progetto di itinerario europeo, gli assessorati delle regioni italiane con i loro materiali, le numerose associazioni nate per valorizzare culturalmente o turisticamente la “Via Francigena”, tutti rischiano davvero di dare una consistenza troppo precisa a questa parola, quasi che indichi una grande identificabile e ben tracciata autostrada che percorreva in diagonale l'Europa medievale.

    Non era così: le vie "Francigenae" erano molte, o addirittura moltissime, e non si può neppure parlare di varianti di un percorso principale perché per lo più si trattava di percorsi di pari dignità e pari anche per intensità di transiti. L'esempio lo offre proprio il Piemonte che ha due grandi valichi "Francigeni" alla pari (il Gran S. Bernardo e il Moncenisio) di cui sarebbe assurdo tentare di stabilire quale sia il più 'vero' o il più importante. Non solo, ma molte attestazioni documentarie designano strade di cui noi non riusciamo a tener conto, perché se lo facessimo ci avvieremmo a cartografare gran parte del reticolo viario europeo: valle per valle, zona per zona. Sono le strade di cui le popolazioni locali volevano semplicemente dire che arrivavano dalle Alpi o verso le Alpi si dirigevano.


    Calarsi nella mentalità medievale

    Allora il medievista non deve discutere di via Francigena come se si trovasse sempre di fronte a una carta dell'Europa o comportandosi da uomo attuale che ha istintivamente una mentalità da carta europea: deve, invece, calarsi nella mentalità e nella concezione proprie degli anni in cui la "via" o meglio le "viae Francigenae" erano usate e non erano una lodevole ma artificiale ricostruzione culturale.

    Lo storico ha gli strumenti per valutare tutti quei percorsi alla luce di una completa carta d'Europa (ciò che ben pochi nel medioevo si avvicinavano a poter fare) e, al tempo stesso, per non cadere negli anacronismi un po' frettolosi in cui  cadono facilmente gli enti turistici di oggi. Può essere utile, in questa sede, accennare al potenziale perenne rapporto dialettico fra Ministero dei Beni culturali e del Turismo e le singole Pro Loco: il primo ha l'istinto di cercare il vero percorso di una grande strada medievale (perché sia più semplice da cartografare e da proporre al turismo internazionale); le seconde sono pronte ad applaudire se quell'unico percorso individuato passa sul  territorio  dei  loro  comuni  e  a  mandare  telegrammi  indignati  se  ciò  non avviene.

    Avrebbero torto l'uno e le altre, sia il Ministero sia le Pro Loco: è come se pensassero davanti a carte di scala molto diversa.

    Per fortuna la via Francigena non è Cristoforo Colombo: perché Cristoforo Colombo è uno solo, da qualche parte sarà pur nato, ed è difficile sottrarsi a quella  vera  (in  questo  caso  non  immaginaria)  guerra  di  Pro  Loco  che  si contendono i natali dello scopritore dell'America. Di "viae Francigenae" invece ne possono esistere varie, e se aggiungiamo anche le attestazioni di "Romea", "pellerina" e, in qualche caso, "regia", ne esistono in numero ancora maggiore.

    Il linguaggio della sentenza iniziale di Abelardo, dunque, il linguaggio che parla di cose che non ci sono più, riflette anche il lungo travaglio che avevano avuto quelle stesse cose mentre c'erano ancora. Rivela che ci sono state culture locali e regionali (gli orgogli municipalistici, le tradizioni, ciò che corrisponde, nel passato più lontano, alle Pro Loco di oggi) che si sono comportante in modi diversi.


    Locale,  non localistico

    Attenzione, non sto suggerendo una lettura tutta localista. Non sto dicendo che l'uomo del medioevo aveva solo orizzonti spaziali circoscritti. Non voglio proporre mille piccoli paesaggi mentali al posto dell'unica grande carta d'Europa dell'uomo  contemporaneo.  Sto  dicendo  che  allora  c'erano,  e  convivevano, concezioni dello spazio molte diverse e che ognuna di queste concezioni determinò diverse sedimentazioni documentarie del termine "via Francigena".

    Per gli abitanti di Alessandria, la via Francigena era quella che passava vicino alla loro città. Non si ponevano il problema che ne esistessero altre; così per gli abitanti della valle di Susa, del Torinese o addirittura del Novarese. E' proprio un problema di toponomastica locale, come il nostro dare nome alle vie: nella toponomastica locale la "via Francisca" o "Francigena" era quella che suggeriva il percorso transalpino; non creava alcun disturbo che altre zone avessero pure la loro, diversissima e diversamente direzionata, via Francigena.

    Certo i poteri di dimensione regionale, come i Savoia, sapevano che la loro regione conteneva una pluralità di percorsi, ma non si preoccupavano di gerarchizzarli, né potevano sensatamente tentare (non avrebbero avuto alcun successo) di cambiare a favore di un percorso unico gli usi toponomastici locali.

    I grandi poteri poi, nel medioevo, non erano in grado di costruire grandi percorsi sovraregionali come le strade romane, imponendo nomi appositi del tipo di "via Aurelia" o "via Aemilia". Non potevano farlo, non tentavano neppure, e neanche tentavano di denominare in modo unitario percorsi già esistenti. Ecco, noi in un certo senso siamo deformati dall'idea delle grandi vie romane: perché la nostra odierna concezione - dello spazio ma anche dello stato - è in realtà vicina più a quella romana che a quella medievale. Quindi rischiamo di cercare sulla carta la via Francigena   un po' come si cerca la via Aurelia: e, se lo facciamo, sbagliamo.


     
    Tabula peutingeriana, I-IV secolo, edizione Konrad Miller, 1887-1888 (segmento VII)

    La tabula peutingeriana è una lunga striscia di pergamena, divisa in 11 segmenti, che riporta la mappa del mondo conosciuto e conquistato da Roma. La mappa è conservata presso la Biblioteca Nazionale di Vienna (Codex Vindobonensis). Essa fu rinvenuta nel 1507 in una biblioteca di Worms da Konrad Celtes, bibliotecario dell’imperatore Massimiliano I d’Asburgo, che la fece pervenire all’umanista Konrad Peutinger. Nel documento giunto sino a noi manca la parte estrema  occidentale dell'impero, ovvero parte della Britannia e della Penisola Iberica

     

     

    Leggere storicamente le fonti

    Dobbiamo invece tener conto del pensiero degli uomini e storicizzarlo: il pensiero diverso, come abbiamo visto, di chi intraprendeva un viaggio, di chi dalla sua reggia considerava i suoi domìni dall'alto  -  in modo statico ma senza i mezzi per modificare troppo il paesaggio  - e infine il pensiero di chi (il contadino, ma soprattutto il notaio che redigeva i documenti) nei luoghi ci abitava. Per gran parte del medioevo coloro che principalmente incidono sulla toponomastica locale sono questi ultimi, cioè gli abitanti locali.

    Gli  storici  hanno,  in  passato,  lavorato  sui  grandi  itinerari  (quelli  degli eserciti, raccontati dai cronisti) ma anche quelli dei pellegrini colti che, come Sigerico, ce li raccontano in prima persona. Ma ora  - se cercano in ogni regione dove nei documenti notarili locali è rimasta traccia di un nome di strada che di quella strada vuole sottolineare l'internazionalità  - essi si imbattono quasi esclusivamente nella concezione locale dello spazio. Quindi si imbattono in varie e diverse "viae Francigenae", o scoprono che lo stesso percorso che al quinto chilometro si chiama "via Francigena", al ventesimo chilometro si chiama "via regia", oppure "via Romea".  In Piemonte non c'è dubbio che la "strata pellegrina" o "pellerina" (presso Torino) è un percorso di quella che un po' più a nord e un po' più a sud si chiama "Franca" o "Francorum" o "Francisca" o "Francigena", ma che, procedendo verso Vercelli, può anche chiamarsi "strata Lombarda". In Valle d'Aosta la strada percorsa da Sigerico non si chiama via Francigena, bensì "via publica domini comitis": ma avremmo il coraggio di dire che si trattava di una strada diversa? Evidentemente no.


    Lo spazio dei viaggiatori

    A quella locale e a quella regionale possiamo aggiungere almeno altre due concezioni dello spazio: quella dei grandi viaggiatori (mercanti, pellegrini, intellettuali, militari) e quella dei grandi poteri centrali (i re, i papi).

    I grandi viaggiatori, all'inizio del loro viaggio (un mercante astigiano verso le fiere della Champagne, il monaco  che da S. Giusto di Susa si accinge a fare un viaggio religioso-culturale attraverso i principali monasteri europei, il pellegrino diretto a Roma, il principe che avvia una spedizione militare verso la pianura padana) progettavano - insisto, "progettavano" - il loro percorso volta per volta, a seconda di mete e obiettivi e, qualunque fosse la loro scelta (sapevano benissimo di non avere una sola scelta possibile), dovunque transitassero, avevano   buone possibilità di essere percepiti come "viandanti della via Francigena" dagli abitanti delle zone in cui passavano, perché in ogni singola zona non usavano se non raramente percorsi secondari, ma usavano la strada che, per la cultura locale, era quella pubblica, internazionale e dei grandi viaggiatori.

    Il fatto che, sempre nella zona di Torino, sia documentata la "strata publica peregrinorum et mercatorum", elimina poi ogni dubbio sulla possibilità che vi fossero percorsi preferenziali diversi per i pellegrini o per i mercanti: non erano diversi. Le modalità dei viaggi potevano essere differenziate non solo dalle mete, ma anche dalle soste intermedie: monasteri e luoghi di culto nel caso dei pellegrini, mercati e città nel caso dei mercanti, ma senza escludere, perché c'erano, i viaggi misti, con intreccio di motivazioni religiose e commerciali.

    Ciò  che  ho  appena  detto  segna  una  differenza  importante  della  via Francigena rispetto al percorso per Santiago di Compostella: quest'ultimo era infatti un percorso specializzato di pellegrinaggio, all'interno di singoli tratti del quale si innestava poi ogni altro tipo di uso, ma che rimaneva molto caratterizzato. Questa specializzazione d'uso determina anche una maggiore precisabilità del suo percorso, perché ogni tappa aveva acquisito un valore rituale che, per la sua stessa natura, tollerava meno le deviazioni.

     
    Teodomiro davanti alla tomba di San Giacomo, la data dell’invenzione è fatta tradizionalmente risalire all’anno 829.
    Archivo della Cattedrale di Santiago de Compostela, Ms. Tumbo A (1129-1255), c 1v

     

    A fronte di un comune medievale di Torino che poteva imporre ai viaggiatori di sostare almeno una notte in città, ed essenzialmente a questo badava, ci sono stati i numerosi  comuni toscani che, nell'insieme,  hanno  preferito già nel medioevo l'aggettivo "Francigena" rispetto ad altri aggettivi e hanno anche propagandisticamente determinato la maggiore notorietà di un percorso rispetto ad altri, come dichiarò candidamente un assessore regionale al Turismo (in "Su & Giù per la Val di Susa e la Val Sangone", 19 (ottobre 1994, p. 11).

    Da quel nome e da quella notorietà deriva un atteggiamento d'indagine (l'individuazione del "vero" percorso medievale, la distinzione d'uso fra diversi percorsi) che ha forse per la Toscana maggiore giustificazione. Ma per le altre regioni non dobbiamo compiere noi, oggi, le operazioni che il medioevo non aveva compiute. La riapertura e la pubblicizzazione in valle di Susa, qualche anno fa, del "sentiero dei Franchi", deve essere salutata come la lodevole valorizzazione turistico-culturale di uno degli interessanti percorsi medievali - sopravvissuti solo nella memoria popolare e non nell'uso - ma non si devono, come purtroppo è stato fatto, accogliere anche le deformazioni di quella memoria popolare: ad esempio la convinzione che fosse il percorso compiuto da Carlo Magno per sconfiggere i Longobardi, oppure che fosse una strada tutta speciale con cui i pellegrini toccavano i principali monasteri della valle.


    Tanti nomi per tante vie

    Perché il nome "Francigena"? Alcuni studiosi, rispetto a una certa  spiegazione  spontanea  (Francigena  come  strada  "generata,  proveniente" dalla Francia), preferiscono un'altra spiegazione, che considera via Francigena equivalente dell'altrettanto documentato "via Francigenarum" (cioè via percorsa da coloro che sono nati in Francia). Forse entrambe sono spiegazioni accettabili: l'importante è aver chiaro che la "regione di Franchi" nel medioevo non coincideva con l'attuale Francia. Il regno dei Franchi occidentali era diverso dal "regno dei Burgundi" - la grande Borgogna di allora - e ciò spiega perché anche in Savoia e nella Borgogna attuale, pur di là dalle Alpi, si trovano attestazioni di "via Francigena".

    Di tutti i nomi possibili della via (abbiamo visto Francorum, Franca, Francisca, Francexia, Pellerina, Romea e altre varianti più generiche), questo è quello che suona più originale ed esotico sia alle orecchie medievali sia alle nostre: ciò che è più esotico è anche più connotante. Di qui la fortuna storica sull'Appennino tosco-emiliano e nelle aree più vicine a Roma (dove "Romea" rischiava di essere troppo normale). Di qui, anche, la fortuna odierna.

     

    Le strade, le chiese, la Chiesa, il Giubileo

    Chiesa e poteri: un singolare inesatto e un plurale da spiegare. Su questi argomenti il medioevo è una storia di singolari e di plurali da definire. Vediamo perché e incominciamo dalla chiesa. Fino agli anni di passaggio fra i secoli XI e XII, fino a Gregorio VII, a Canossa, al notissimo concordato di Worms, sarebbe anacronistico e sbagliato attribuire alla sede papale la funzione che i secoli successivi ci hanno abituato a riconoscerle.
    Fin oltre l'anno Mille il vescovo di Roma aveva solo un generico primato d'onore, aveva forza dirimente in questioni teologiche, ma non decisionalità centralizzata, superiorità gerarchica rispetto alle sedi arcivescovili e vescovili. Per grandi ambiti regionali avevano più peso le decisioni dei concili dei vescovi di quella certa regione: era così ad esempio per le notissime paci di Dio, che erano appunto decise da assemblee di vescovi e non da Roma.

    Non a caso il primo anno santo - con connessa indulgenza plenaria per chi si recasse a Roma in pellegrinaggio alle quattro basiliche di S. Pietro, S. Giovanni in Laterano, S. Maria Maggiore e S. Paolo - fu soltanto del 1300 a opera di papa Bonifacio VIII: iniziativa di una chiesa ormai davvero, a quel punto, centralizzata e monarchica.

    L'anno santo, inizialmente ogni 100 anni, fu reso più frequente da papi successivi: ogni 50 da Clemente VI, ogni 33 da Urbano VI, ogni 25 da Paolo II, alla fine del secolo XV.  All'indulgenza, e poi all'insieme nell'anno in cui si poteva conseguire, fu applicata la definizione giubileo (dal corno di montone, chiamato jovèl, con il cui suono i sacerdoti ebraici annunciavano l'anno sabbatico).

     
    Come fu lo perdono di Roma
    Giovanni Sercambi,Cronache delle cose di Lucca, dal 1164 al 1424, A.S.L., Biblioteca Manoscritti, n. 107, c. 351r

     

    Senza dubbio l'anno 1300 registrò un gran numero di transiti dall'Europa settentrionale verso Roma. Ma dobbiamo prendere atto che dei dieci-undici secoli che corrispondono alla durata convenzionalmente attribuita al medioevo, solo gli ultimi due secoli medievali ci mostrano un pellegrinaggio romeo deciso dal centro della chiesa occidentale e con questo livello di formalizzazione. La chiesa di Roma raccolse e ufficializzò tendenze spontanee dei secoli precedenti della cristianità, in particolare dei movimenti penitenziali di ispirazione gioachimita del secolo XIII.

    Il pellegrinaggio di gran parte del medioevo deve dunque essere interpretato in chiave policentrica, differenziando le mete terminali e quelle intermedie, i promotori, gli impulsi spontanei. Sul medesimo asse viario coincidevano pellegrinaggi lunghi e pellegrinaggi brevi, legati a culti locali. Su gran parte del percorso potevano incontrarsi i romei (pellegrini diretti a Roma), quelli diretti al Santo Sepolcro a Gerusalemme, quelli che coprivano in pellegrinaggio la distanza fra i due grandi centri di culto dedicati a S. Michele (Mont-Saint-Michel in Normandia e S. Michele del Gargano).

    Tre tipi di pellegrini che percorrevano la stessa strada, ma ne facevano un uso diverso a seconda dei loro scopi: è sicuro, ad esempio, che il pellegrino devoto al culto di S. Michele non rinunciava mai a una sosta rituale al monastero di S. Michele della Chiusa - presso Torino - mentre quello diretto a Gerusalemme poteva fare altre scelte. Senza escludere che il devoto di S. Michele si desse una duplice meta italiana, sia Roma sia S. Michele del Gargano.

    Pellegrini cristiani entrano al Santo Sepolcro, Riccoldo da Montecroce, Liber peregrinationis, Bibliothèque Nationale, Paris, ms. fr 2810, c.274r

     

    Pellegrinaggi in linea e pellegrinaggi concentrici

    Uno storico e antropologo francese, Alain Guerreau, ha distinto concettualmente  i  grandi  pellegrinaggi  "in  linea"     dai  più  locali  e  brevi pellegrinaggi concentrici.  La grande linea della via Francigena incontra nel suo percorso i molti cerchi ideali disegnati da quelli che potremmo definire "imbuti di devozione" dei pellegrinaggi più locali. Fra gli esempi: S. Michele e S. Giovanni Vincenzo (europeo l'uno, valsusino l'altro; con salita a S. Michele l'uno, con meta al sepolcro di S. Giovanni nella località di S. Ambrogio, ai piedi del monte Pirchiriano su cui sorgeva la grande abbazia, l'altro).  I pellegrinaggi concentrici potevano  non  avere  alcuna  influenza  sui  grandi  pellegrinaggi  in  linea,  ma potevano anche determinare interferenze, sovrapposizioni, piccole deviazioni: un culto locale poteva essere promosso a una dimensione sovraregionale proprio per il fatto di avere un punto di focalizzazione collocato sull'asse di un grande pellegrinaggio.

    L'esempio di S. Michele, appena fatto, continua a invitarci a spostarci dal singolare "chiesa", troppo moderno o almeno bassomedievale, al plurale di chiese, monasteri, centri canonicali, ospizi retti da religiosi. Questi, grazie alla loro collocazione nell'area della via Francigena, prosperavano e garantivano servizi. Per molti di questi centri - che siano centri di preghiera, di cura d'anime o d'assistenza - la via Francigena fu addirittura la ragione principale della loro fondazione: e non solo nel caso degli ospizi, antichissimi, del Moncenisio e del Gran  S.  Bernardo,  ma  anche  nel  caso  di  monasteri  come  Novalesa  in  val Cenischia e S. Giacomo di Stura alle porte di Torino, di collegi canonicali come S. Lorenzo d'Oulx e S. Antonio di Ranverso.


    La concorrenza fra i monasteri

    Fra le moltissime osservazioni che occorrerebbe fare sulla presenza stradale di questi enti, segnalo le tre meno ovvie.

    La prima: fra i secoli XII e XIII si ebbe il passaggio, graduale e diversamente datato a seconda delle zone, dalle presenze religiose miste  - in cui i monasteri si assumevano sia funzioni di preghiera sia funzioni di assistenza  - alle presenze religiose specializzate. Queste ebbero maggior fortuna (anche sotto il rispetto delle donazioni ricevute dalle popolazioni  locali e dell'appoggio garantito  dall'aristocrazia)  dei centri assistenziali e ospedalieri, adatti a una  società medievale più  matura che avvertiva in minor misura i problemi antichi della cristianizzazione e sviluppava invece la dimensione sociale dell'esperienza religiosa.

     
    L'ospitalità dei pellegrini e dei poveri come opera di misericordia  Affresco del refettorio della cattedrale di Santa Maria de la Seu Vella, Lleida, Spagna - XIII sec


    La seconda: questi enti religiosi erano punti di riferimento per i livelli alti della società, e reclutavano i propri membri fra l'aristocrazia e, in qualche caso, fra i borghesi. Ma quelli collocati lungo la via Francigena erano nelle condizioni di differenziarsi nettamente per i loro àmbiti di reclutamento dei monaci, che potevano essere cittadini o regionali nonostante la collocazione stradale. Potevano essere addirittura estranei alla dimensione locale, legati alle origini privilegiate del pellegrinaggio (è il caso di S. Michele della Chiusa, che per molto tempo ebbe monaci prevalentemente alverniati e aquitani, e scarsi coinvolgimenti con la realtà locale della valle di Susa).

    La terza: fra questi centri c'era un'accentuata competizione, la "concorrenza monastica" ben definita  da Bernard Bligny in ricerche di oltre trent'anni fa. E' un'altra conferma che la coscienza della comune appartenenza alla societas Christiana non li induceva a comportamenti unitari, concordati e complementari: perché era naturale contendersi i favori della religiosità popolare; contendersi le soste dei pellegrini più nobili, più ricchi e più generosi; costruire dentro e a margine dei tracciati della strada signorie fondiarie e politiche, coltivate da rustici e attrezzate con castelli: e  i confini di queste signorie erano ovviamente oggetto di frequenti controversie.


    Il potere “generatore” della via Francigena

    Siamo già dunque passati, se pur attraverso gli sviluppi signorili degli enti religiosi, al tema dei poteri. E dobbiamo prendere atto che la via Francigena, a seconda che si snodasse in aree più o meno vicine   ai grandi valichi alpini, determinava interventi diversi del potere. Presso i valichi più obbligati delle Alpi Cozie e Graie  si aveva la massima concentrazione di un intervento umano di alto livello, che possiamo definire politico-concorrenziale: su questi percorsi i diversi poteri medievali potevano solo  realizzare o sottrarre ad altri il controllo di strade poco modificabili e occuparsi della loro manutenzione e attrezzatura.

    Nelle ramificazioni verso la pianura - quindi sulla via Francigena più a valle - si aveva invece un intervento umano più concretamente operante, che possiamo definire politico-progettuale,  perché i poteri qui incidevano non su percorsi obbligati, ma su aree di strada con diverse opzioni possibili.  Sono constatazioni che si possono fare sia per il livello massimo del potere, il potere dei re -  che dall'età carolingia in poi si erano sempre occupati più della transitabilità alpina che della rete stradale  nel  suo  complesso - sia  per poteri  intermedi  come  i  principati territoriali, sia per i poteri signorili più locali.

    La  via  Francigena,  come  le  altre  grandi  strade  del  medioevo,  era  un importante "generatore". Generatore di concorrenze e di conflitti, che a volte determinarono tensioni   inimmaginabili per ospedali rurali piccoli e marginali. Le dispute confinarie fra diocesi di Torino e di St. Jean-de-Maurienne furono accesissime intorno al valico del Moncenisio e sulla striscia stradale corrispondente alla val Cenischia.

    Ma la strada fu anche generatore di strutture politiche. La strada non generava soltanto formazioni politiche ampie ma anche nuclei signorili. Spesso le  famiglie valorizzavano il controllo di un transito o per aumentare la loro forza contrattuale rispetto a poteri superiori o per sfruttare a fondo la loro collocazione attraverso la riscossione di pedaggi. Nei tratti alpini la via Francigena fu sfruttata soprattutto da un’aristocrazia intermedia che, al seguito dei Savoia, individuò nella strada il modo per trovare nuovi ambiti d’affermazione. Famiglie come i “de Aprili”  e i "de Toveto" seguirono i Savoia di qua dal Moncenisio, operarono assiduamente al loro seguito, accettarono incarichi di vario prestigio, soprattutto espressero personaggi adatti per diventare “castellani”, cioè ufficiali preposti alle nuove circoscrizioni.

    Tuttavia, è indispensabile (per quanto difficile) muoversi con grande prudenza, nell'usare questa categoria concettuale della strada-generatore,: perché in passato l’erudizione ha fatto della strada la molla obbligata di ogni processo storico, non solo con spiegazioni monocausali che oggi sarebbero inaccettabili, ma anche presupponendo quelle fissità e inevitabilità dei percorsi che mi sono impegnato a smentire nella prima parte della relazione.


    La strada come “acceleratore”  e “regolatore” di processi

    Più nuova e meno densa di insidie è, sul piano politico, la categoria della strada come "acceleratore" di processi storici. All'interno delle Alpi distinguiamo le zone  marginali  da  quelle  di  grande  transito. Constatiamo  che  nelle  valli  più ‘stradali’  non solo le novità avevano tempi uguali rispetto a quelli (di solito veloci) della pianura, ma realizzavano con un’alta concentrazione (dato il territorio relativamente limitato interessato dai transiti) una sintesi spesso originale fra culture, schemi politici e modelli sociali diversi. La dinastia dei marchesi di Torino nel secolo XI realizzò in valle di Susa, prima che altrove, la  trasformazione del  proprio  ufficio  pubblico  in  potere  dinastico-signorile;  il  modello  delle franchigie per comunità rurali fu adottato nelle valli di Susa e di Aosta prima che altrove.

    Ma la via Francigena era anche un "regolatore". La strada-generatore aveva fatto nascere con facilità lungo il proprio asse la vera novità istituzionale successiva al Mille, cioè la signoria "di banno": la signoria di castello di famiglie ricche di terra e di intraprendenza militare. La strada-acceleratore poteva determinare un precoce  sviluppo di questi nuclei di potere, che per altro erano un modello politico comune alla generalità delle campagne medievali. Tutto questo è vero, ma lungo una via come la Francigena i poteri di grandi dimensioni, i re e i principi territoriali,  si affrettavano a  regolare i loro rapporti con le autonomie signorili, riservando a sé l’alta giustizia, accettando autonomie locali solo in quanto formalmente subordinate, sforzandosi di inquadrarle in ordinamenti di tipo precocemente statale. Lungo la via Francigena le novità signorili nascevano prima ma, poiché non passavano inosservate, dovevano regolare la loro coesistenza con i grandi poteri regionali e sovraregionali.

     
    Affreschi di Llida (citato sopra). Pellegrini che si ristorano

     

    I comuni e le città

    Un fugace cenno precedente ci ha introdotti a un ultimo protagonista politico dell'area di strada, i comuni. Sia per comuni di un certo livello (Asti, Chieri, Torino, Ivrea), sia per comuni medi (come Susa o Aosta), sia per le numerose comunità rurali, la grande strada si poneva come alternativa concreta e preziosa all'agricoltura, alla pastorizia, all'esercizio di diritti locali. Questa alternativa consisteva nello sfruttamento dei transiti, nei suggerimenti commerciali che provenivano dalla collocazione delle comunità e nelle agevolazioni connesse.

    Anche le comunità più piccole che occupavano luoghi cruciali lungo la via Francigena avevano  buona forza contrattuale nei rapporti con il potere.

    Tra Moncenisio e Chambéry la strada era, contemporaneamente, elemento di stabilizzazione e di mobilità. Di stabilizzazione perché costituiva la discriminante intorno a cui si organizzavano le gerarchie politiche, si regolava la coesistenza fra conti, vescovi e signori, si definiva l’identità politica delle comunità. Di mobilità perché non solo innescava la circolazione di modelli istituzionali - notarili, cancellereschi, giuridici -,  non solo suggeriva l’impegno nei commerci di nuovi ceti emergenti, ma stimolava anche la proiezione verso l’Italia e verso sud-est di un’aristocrazia intermedia alla ricerca di nuovi campi d’affermazione.

    Di qua dalle Alpi la strada agiva invece in modo più frastagliato. Suggeriva direzioni  d’espansione  ai  Savoia ma dava anche forza  ai  suoi  concorrenti; garantiva da molti anni l’autonomia e il prestigio di enti religiosi impegnati a costruire dominazioni signorili ma li spingeva anche verso il coordinamento; stimolava da un lato nei Torinesi uno sfruttamento in certo senso ‘passivo’ della strada (controllo di pedaggi, “custodie” di castelli loro affidate dalla signoria vescovile) ma sviluppava d'altra parte nei Chieresi una delle più interessanti vocazioni imprenditoriali e mercantili della regione. E in questa situazione l’aristocrazia  militare  maggiore, invece di rassegnarsi come in Borgogna a un inevitabile superiore coordinamento, poteva giocare con una pluralità di alleanze per tutelare i propri spazi di autonomia.

    In conclusione: se in tema ecclesiastico la via Francigena ci fa assistere a un disseminatissimo plurale (le chiese) che diventa singolare (la chiesa di Roma come promotrice massima dei grandi pellegrinaggi), in tema politico il plurale dei numerosi poteri continua a imporsi, e di singolare troviamo soltanto la costrizione al coordinamento che una grande strada europea imponeva a chi voleva sfruttarne i vantaggi.

     

    *Adattamento da La via Francigena. Chiesa e poteri, in La via Francigena. Itinerario culturale del Consiglio d’Europa, Atti del Seminario di Torino, 20 ottobre 1994, pp. 12-23
    Ricerca iconografica di ARVO (Archivio del volto santo) a cura di Ilaria Sabbatini

     

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