La parola “tolleranza” oggi è vista giustamente con sospetto. Tolleranza infatti significa accettare qualcuno o qualcosa, ma quasi come un peso da tollerare, appunto, non comprendendo per contro la scelta di riconoscere all’altro parità e piena dignità, la via cioè dell’inclusione.

La piccola città di Trieste fin dal Medioevo aveva, forse per necessità di sopravvivenza, di fatto adottato un costume di inclusione delle diverse anime del territorio, costume che era sopravvissuto, con qualche momento di difficoltà nella seconda metà del Seicento, fino alla decisione imperiale di apertura del Portofranco (1719). Per questo la parola “Tolleranza” a Trieste è evocativa di un’epoca e di eventi molto importanti. In una città posta nell’ambito di un impero multinazionale, divenuta rapidamente cosmopolita e ricca di personalità impegnate nel commercio internazionale, nelle assicurazioni e nelle imprese di navigazione, molti guardavano con disincanto e libertà a diversità e confini, statali o di gruppo. Questo clima inclusivo restò quindi in qualche modo sotteso al modo di vivere locale, anche se dall’Ottocento in poi travagli drammatici funesteranno queste terre, ideologie e tensioni nazionali porteranno a situazioni quanto mai amare e difficili, prima che potesse essere faticosamente riscoperta e rivalorizzata la preziosa strada dell’inclusione, del riconoscimento della ricchezza portata dall’accoglienza delle diversità.


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