di Antonio Brusa

ImmagineFig.1: Totem Thunderbird Fonte I media sottolineano la puntualità di Liberator, la nuova serie di Netflix, che esce proprio l’11 novembre, il Veteran day americano. Io preferisco sottolineare la tempestività che ha mosso i responsabili di Netflix a produrre questa fiction proprio in un momento di scontri razziali. Liberator, infatti, racconta le imprese della divisione Thunderbird, dallo sbarco in Sicilia fino alla liberazione del campo di concentramento di Dachau.
Thunderbird, “uccello del tuono”, è un mito/favola comune a popolazioni indigene americane ed europee. Il nome azzeccato per una divisione nella quale latinos e nativi americani militavano insieme a soldati statunitensi. Uno straordinario esempio di integrazione, oltre che di abnegazione e di incredibile valore militare. Non vi furono cittadini di serie B, in quella divisione. Solo soldati, motivati dall’unico scopo di combattere il nazismo.
Giusto chiedersi: perché magnificare quegli uomini, trasfigurati in una perfetta animazione digitale, in un film che si annuncia avvincente (ne ho appena visto la prima puntata)? Possiamo pensare che si voglia fornire un modello a una società che sembra disgregarsi in cento guerre civili e in un violento riapparire di razzismi di ogni genere; oppure che la si voglia invitare a riflettere sulle speranze, suscitate da quella guerra, e tradite dagli eventi successivi; oppure, come si impara dal libro di Alex Kershaw (The Liberator, Crown 2013), dal quale è tratta la serie, che “la guerra è un inferno, non una marcia verso la liberazione” (Tom Hungtinton su “History.net”).
Su “Smithsonian Magazin”, per gli interessati, la storia di quegli eroi. La risposta ai quesiti, una volta vista la serie.

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