di Antonio Brusa
Era di grande interesse il seminario su “vero, falso, manipolazione a fini politici: un falso problema?”, organizzato dalla fondazione Feltrinelli e online il 14 gennaio. Vi hanno partecipato come relatori Marina Gazzini, Serge Noiret, Francesco Filippi e tanti altri, tutti intervenuti con grande competenza. Si è parlato di stereotipi, false conoscenze, conoscenze approssimate: la quantità di falsità che circola nell’etere è tale che ci obbliga, quasi di corsa, a rivedere il vocabolario, per classificare, distinguere e quindi valutare (basti vedere la voce che la Crusca dedica a “disconoscere, misconoscere, sconoscere”, per accorgersi dell’affanno con il quale stiamo inseguendo il problema). Come ha ricordato un relatore, riprendendo certamente una vecchia battuta di Eco, prima le panzane si sparavano in osteria, poi uno tornava a casa e pensava a quanto fossero cretine. Ora la rete è diventata un’osteria invasiva, ci vivi dentro e non sai più da che parte voltarti.
Donald Sassoon, concludendo il dibattito, ha spostato il suo focus in una direzione che interessa da vicino i docenti di storia. Ha detto: è vero, i falsi girano a più non posso e ce ne sono di vario genere. Ma ce ne è uno che è più pericoloso, e deriva dall’abitudine a prelevare dal passato solo alcuni elementi, tralasciando tanti altri, per scopi personali, anche politici. E ha fatto proprio l’esempio di programmi di storia che prendono solo fatti relativi all’Occidente e tacciono su ciò che è accaduto nel resto del mondo. I singoli fatti magari sono indiscutibilmente accertati, ma il racconto complessivo (la “narrazione”) è falsa. Uno dei falsi più dannosi, ha commentato lo storico, e mi sembra di aver capito che volesse intendere: “peccato che se ne parli poco”.
Certamente dovremmo parlarne dopo aver letto l’intervista di Valditara nella quale il ministro proclama che basta con l’insegnamento della storia mondiale e che la “narrazione” che i ragazzi italiani devono apprendere riguarderà solo la nostra penisola e, semmai, l’Occidente. Come se ciò non fosse già la realtà delle nostre scuole. A rigor di logica, stando alla sua dichiarazione, non è che si rivolterà una scuola, già di per sé refrattaria ad accogliere quel po’ di storia mondiale suggerita dai programmi del 2012. La realtà di una storia autocentrata resta. La novità è che Valditara ne esplicita a chiare lettere lo scopo politico: deve essere tale, perché dobbiamo salvaguardare la tradizione occidentale, la nostra identità, il senso della patria (e così via). La storia, secondo lui, è una selezione di fatti passati, operata per scopi politici. Proprio quella tipologia di falso individuata da Sassoon.
E non sarebbe il caso di parlarne? Magari, qualche docente ora si renderà conto che la storia che ha sempre insegnato, così apparentemente anodina e “non ideologica” (come sottolinea Valditara), ha un chiaro scopo politico: e vuoi vedere che, finalmente, qualcuno comincerà a infastidirsi per questo uso politico della storia?
Passatempo, 15 gennaio 2025