di Mariangela Caprara

Immagine1 Le ricerche sulle migrazioni, medievali e moderne, hanno una lunga storia, ci informa Giuliano Pinto commentando il libro di Ermanno Orlando, Medioevo migratorio (Il Mulino 2022), dal momento che prendono le mosse dagli anni ’80 del secolo scorso, grazie all’attività di Mario Mirri, Carlo M. Cipolla ed Elena Fasano all’interno della Società Italiana di Demografia Storica (SIDES). Il libro, continua Pinto, affronta il fenomeno delle migrazioni nell’arco di tutto il Medioevo - accostando dunque fenomeni di massa a movimenti di gruppi o addirittura di singoli - da una prospettiva specifica, quella delle comunità locali che hanno accolto gli individui nelle varie forme della loro mobilità.

Questa prospettiva è congeniale a Orlando, che ha studiato a lungo Venezia, la città italiana forse più importante come centro di arrivo di migrazioni di varia natura, insieme a Roma (che però non ha ricevuto le stesse attenzioni nella ricerca). Il suo saggio mette in evidenza il contatto tra individui. Racconta le varie strategie che hanno permesso forme diversificate di integrazione: tra queste spiccano i matrimoni misti, che coinvolgono specialmente i gruppi di lavoratori maschi che si spostano per necessità di guadagno, e che consentono rapidamente l’ingresso in reti familiari, e dunque sociali, molto ramificate.

Nel complesso, il millennio medievale appare molto aperto ai fenomeni migratori: le dinamiche di repulsione/espulsione appaiono marginali rispetto a quelle di integrazione o quanto meno di pacifica convivenza. Il Medioevo è peraltro padre dell’idea di ospedale come luogo di cura aperto a tutti. E anche la concessione della cittadinanza non appare difficile, anzi, è offerta, insieme ad altri tipi di incentivo, agli artigiani e alla manodopera specializzata di origine forestiera.

Comunità marcate, come gli Ebrei, sono ben insediate: lo attestano i monumenti religiosi o di altro genere, legati alla loro vita come a quella di altri gruppi integrati (l’esempio vivo è appunto Venezia). Nella seconda metà del Quattrocento si comincia a registrare una stretta intorno alla mobilità migratoria, dovuta alla crescente chiusura delle oligarchie che vogliono bloccare i fenomeni di ascesa sociale. Diventa più vistoso lo stigma verso gli Ebrei (per cui si inizieranno a costituire i ghetti), e si definiscono nazionalità sgradite, come i Corsi e gli Albanesi, noti per le loro azioni piratesche sulle sponde tirreniche e adriatiche. Il ‘vagabondo’, ossia il forestiero povero, che non fa paura al mondo medievale, diventerà sempre più malvisto, e la parola acquisterà l’accezione negativa che ha ancora oggi.

Migrazioni medievali e odierne

Franco Franceschi, dal canto suo, ha esaltato la scrittura felice del saggio di Orlando, che, raggiungendo un pubblico più vasto, contribuisce significativamente a demolire gli stereotipi sul Medioevo. Tuttavia – avverte - bisogna evitare il fascino dell’analogia storica con l’età contemporanea. Esaminare le migrazioni nel corso del Medioevo significa sì evidenziare delle persistenze, come il timore generico dell’altro, la creazione di etichette negative per gruppi specifici, la pratica criminale che può attirare i forestieri poveri destinandoli al ruolo di sradicati. Va però tenuto conto del fatto che le fonti prestano più attenzione alle dinamiche problematiche che a quelle felici, e che le dimensioni del fenomeni medievali escludono facili parallelismi con la contemporaneità, soprattutto se si tiene presente che in generale l’assimilazione/integrazione è più rapida se i gruppi in mobilità sono di piccole dimensioni.

La migrazione, con la diversità dei suoi motivi e dei suoi stili, è comunque riconducibile a ragioni individuali sulle quali in età medievale le decisioni politiche non incidono significativamente. Il quadro tracciato da Orlando è dunque animato da individui che assumono ‘identità plurime’, personaggi di storie diverse: ‘invasori’ dell’Alto Medioevo, monaci, studenti, mercanti, lavoratori, tutti contribuiscono a un fermento attivo, anche in assenza della formalizzazione del loro status di cittadini, e forse proprio per questo.

Di Medioevo ben ricostruito abbiamo un bisogno estremo, soprattutto perché, rebus sic stantibus, la scuola non riesce a fare di questo millennio un tratto importante del percorso formativo. Sul Medioevo gravano stereotipi ormai inaccettabili, e la chiave delle migrazioni è sicuramente valida per demolirne più di uno. Il metodo di Orlando, peraltro, andando a individuare le microstorie nell’ampiezza del fenomeno, ben si presta a una riformulazione didattica attraverso la selezione di casi di studio ben delimitati e sintomatici.

 

* Sintesi della presentazione del libro, avvenuta il 16 febbraio 2023 a Firenze, presso l’Istituto Sangalli.

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