di Antonio Brusa

Immagine WhatsApp 2025 02 13 ore 06.44.55 7cdbe178 Avete mai letto una novella, di quelle fra il comico e l’angosciato, dove il padrone di casa cambia continuamente idea sulla disposizione dei mobili? Lo fa per nobili ragioni: ora vuole una casa accogliente, ora severa e raccolta, ora vuole mettere a proprio agio i bambini, poi dice no, prima gli anziani. Cambia sempre idea, ma non ha soldi o, per qualche sua ragione, non ne vuole spendere per comprare mobili nuovi, ridipingere le pareti o, magari, per prendere una casa più adatta. Quindi, fa spostare i mobili. Sempre gli stessi. E più gli inquilini li trascinano di qua e di là, più lui si intestardisce, più ci si incavola e più lo stress aumenta. “Una gabbia di matti”, commentano increduli i vicini e scrollano le spalle.

Non l’avete letta? Mi dite che non esiste? Allora, datevi uno sguardo al decreto con il quale si lancia l’attuazione della riforma dell’istruzione tecnica e professionale, stabilita nel decreto-legge 144/2022.

Se supererete i ben 45 commi iniziali - “visto quello e quell’altro” – sarete premiati. Senza nessuna ironia. Perché è importante che il ministro dichiari che devono essere rafforzate le competenze linguistiche, storiche, matematiche (ecc.), che devono essere attuate attività specifiche formative a vantaggio dei prof e, fra le tantissime altre belle cose, che si realizzi l’internazionalizzazione dei nostri istituti tecnici (art.1).

Nel secondo articolo, poi, il nostro consenso aumenta, perché si prevede che l’insegnante usi metodologie diverse (e quindi non solo la lezione: ma lo avranno letto, questo decreto, nella Commissione di Storia?) e perfino unità di lavoro integrate fra varie discipline. Già immagino di realizzare un progetto integrato fra storia e discipline tecnico-scientifiche. E’ un sogno che coltivo da tempo. Due ore di storia + due ore di tecnologia. Un bel laboratorio in compresenza, come dice la legge, finalmente. Finalmente: perché basta con questa interdisciplinarità farlocca, fatta di carte sulle quali tutti scrivono le stesse competenze e poi ognuno fa il pezzo suo per i fatti suoi. Certo, la compresenza richiede qualche ora di lavoro aggiuntiva, perché se dobbiamo stare insieme per quattro ore, ciascuno di noi starà in classe due ore in più. Più ore, più soldi? Non faccio in tempo a chiedermelo, che lo sguardo cade sul comma 4: “le misure di cui al presente articolo sono adottate nell’ambito delle risorse umane, strumentali e disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Non capisco. Il governo chiede ai suoi insegnanti di lavorare gratis, o di continuare con la finta inter/multi/trans disciplinarità?

Il concetto è ribadito nell’articolo 5, dove, a scanso di equivoci, si dice che tutto ciò che è stato stabilito negli articoli precedenti, deve essere inteso senza oneri aggiuntivi.

Poi si passa ai rapporti col mondo del lavoro. Nell’articolo 7 si dice che i docenti delle materie tecniche possono andare nelle aziende relative alle loro materie per aggiornarsi. Vanno in missione, dunque: attività che, anche se poco, dovrebbe essere pagata. No: anche qui, proprio nello stesso comma, si ripete che niente soldi. Si va gratis e l’azienda ti formerà altrettanto gratuitamente. Vogliamo proseguire? Anche l’articolo 8 su partenariato, patti educativi e altre meraviglie da realizzarsi col territorio è chiuso dalla stessa clausola di garanzia (comma 4). Nell’articolo 10 si affronta la questione dei processi di internazionalizzazione. Necessari come non mai nel mondo del lavoro (e anche qui, il pensiero corre ai membri della commissione di storia chini sul loro programma nazionale). Il ministro fa bene a dedicarci un articolo molto dettagliato. Solo che, sarà l’abitudine dell’estensore, anche l’internazionalizzazione termina con la garanzia che non costerà nulla.

Infine, per essere proprio certi e non lasciare dubbi a chicchessia, l’articolo 12 ripete per l’ennesima volta che “dal presente decreto non derivano nuovi e maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.

Un tempo avrei scritto che le riforme a parole lasciano il tempo che trovano. Oggi la penso diversamente. Obbligano docenti, dirigenti e personale ata a mobilitarsi, a riassegnare ore e persone, a elaborare orari fantascientifici. Lo hanno già fatto per l’educazione civica e per l’orientamento. Perciò, con questa riforma a parole, si aggiungeranno tante altre carte, nelle quali certificare di competenze raggiunte, di accordi stipulati, di piani di lavoro stellari. Perciò, penso che questo decreto renderà la scuola più simile alla famiglia della mia novella. Non so con quanto frutto (la scuola italiana ci sorprende a volte, riuscendo anche nell’impossibile), ma certamente con un grande incremento collettivo di stress. Con una differenza: che nella mia novella i vicini commentano increduli; nella realtà, i cittadini italiani sembrano assistere con noncuranza.

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