Diario di bordo, Palermo 27 ottobre

Non ho avuto ancora il tempo per studiare il documento sulla buona scuola. Lo devo fare, non fosse altro perché molti lo stanno studiando (e non solo leggendo) e sta facendo dibattito. Per quello che ne so, con più contro che pro. E sulla scuola, ignorata dalla società prima che dalla politica, che si faccia dibattito è comunque un bene.

C'è un "ma" iniziale, grosso quanto una casa. Quello delle cifre. Quelle le ho lette e studiate e, per quanto sia complicatissimo capirci qualcosa, dicono chiaramente che da una parte si investe e dall'altra si disinveste. E la cifra del togliere è sempre più alta di quella del dare (le valutazioni sulle quantità sono diverse, secondo i commentatori, ma tutte sono d'accordo sul fatto che, alla fine, si sottraggono soldi alla scuola).

Inoltre, la cifra del "dare" è prevalentemente destinata a fatti importantissimi - come l'assunzione dei precari o la messa a norma degli edifici scolastici ; ma non propriamente pertinenti con i "meccanismi" interni della macchina formativa: la formazione dei docenti, il loro aggiornamento, la dotazione di strumenti efficaci di insegnamento, la ricerca didattica sul campo, la costruzione di un sistema di valutazione efficace (e non il fantasma dell'Invalsi). Meccanismi duri e difficili, perché per ottenerli occorre lavorare sodo, e spendere un sacco di soldi. Il rosso, dunque, in questo versante, è di quelli vermiglio acceso.

Il "ma" pregiudiziale è facile. Si lancia l'osso della disputa sulla riforma, tutti si avventano su questo e, nel frattempo, nessuno bada ai soldi che vengono destinati alla scuola. Le parole dicono che la scuola è centrale, bla bla, la lista della spesa dichiara che essa scende continuamente nella gerarchia delle cose importanti.

Non mi consola il fatto che si tratta della stessa strategia comunicativa della Moratti e della Gelmini. Non mi consola dire che questa è la dimostrazione definitiva che Renzi è uguale a Berlusconi. Anzi: penso proprio che anche questo sia un altro osso lanciato agli italiani che, pure, vogliono e sono capaci di discutere di politica. La conclusione che ne ricavo è molto, molto più deludente per me: si tratta di prendere atto che, destra o sinistra, la scuola (e con essa la ricerca e l'università) è per la società italiana un fattore secondario. La formazione dei cittadini? abbiamo altre urgenze a cui pensare. Ne parliamo dopo, quando usciremo dal baratro.

Chi è convinto di questo (e lo è intimamente, anche se non lo dichiara) pensa che in fondo il mio è un punto di vista parziale, attento a un aspetto del problema, importante sì, ma non centrale (come quello delle riforme istituzionali o del rilancio dell'economia o del funzionamento della burocrazia o dell'evasione fiscale).

E' proprio questo sentire comune che mi deprime. Non è così. La cura della formazione dei cittadini è un fatto fondamentale della tenuta sociale di una collettività. Non serve in vista di un futuro migliore (argomento principe di chi taglia sotto la spinta dell'urgenza economica). Ha effetti immediati sulla società, ritorni potenti sulla voglia di ripresa sociale. Perché le grandi riforme scolastiche, quelle vere, quelle che impegnano grandi quantità di soldi, si fanno nei momenti di ripartenza della nazione (dopo l'Unità d'Italia, dopo la prima guerra mondiale - certo, la riforma Gentile -, negli anni seguenti la seconda guerra mondiale). Non "quando si sta bene".

Questi tagli sulla formazione nazionale dicono che non si crede nella ripresa italiana. Non ci crede la politica. Il fatto che non sembra che siano in cima alle proteste attuali (più interessate ai temi fondamentali di sopra), mi dice ancora che nemmeno la società ci crede veramente.

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