Autore: Antonio Brusa

La mostra su Piero della Francesca, o, come si sarebbe detto un tempo "sulla fortuna di Piero della Francesca", è bella, ricca, e va vista. Se c'è un po' di delusione per le poche opere pierfrancescane, ci si conforta subito al vedere le splendide raccolte quattrocentesche, ottocentesche e del Novecento italiano, che giustificherebbero da sole altrettante esposizioni.

I miei "ma" riguardano alcuni aspetti accessori, però dal mio punto di vista, dello studioso di didattica, di qualche interesse. A cominciare dalle didascalie, informate e immense. Ho visto qualcuno sostare in lettura. Io le ho lette attentamente, preso dal discorso coerente e informato, che si sviluppa dall'una all'altra. Se le hanno scritte per me, ne ringrazio i curatori. Temo (ma temo, non vorrei offendere nessuno) che un sacco di gente non vi abbia capito un tubo, e non solo perché ogni tanto si eccede (è proprio necessario usare l'aggettivo "ecfrastico" in una didascalia destinata, come dovrebbero essere quelle di un'esposizione pubblica, non soltanto agli esperti?).

Ho dubbi sulla loro effettiva fruizione perché, a vederle tutte insieme, sono un bel libro di sintesi degli studi sulla fortuna di Piero. Quindi: se la mostra era diretta a quella piccola parte di italiani che legge normalmente un libro, è una scelta coerente e giusta. Ma allora, spiegatemi perché si sono spesi soldi in pubblicità, in manifesti per attrarre gente che, come me, sarebbe andata a vederla al primo fischio. Se fai tanto battage pubblicitario, è evidente che ti rivolgi al vasto pubblico che, ahimé, in Italia è fatto di non lettori o di lettori deboli.

Dici: per il vasto pubblico ci sono le audioguide. Le ho prese, infatti. Ma, giunto al secondo step, dopo cinque minuti di elogi sulla grandezza di Piero, sul fatto che è stato ingiustamente dimenticato, ma poi, grazie a questo e a quello, recuperato nell'Ottocento, e bla bla, con le musiche rinascimentali di sfondo, ho cambiato sul canale dei piccoli. Meritoria scelta, quella di creare una comunicazione speciale per loro. Va fatta bene, però. Non credo basti immaginare che Piero in persona risponda, con voce affabile e condiscendente, alla bambina petulante che gli fa le domande, e ogni tanto, un drin drin e una voce allegra inviti l'infante a spostarsi da un'altra parte. Tanto più che sto Piero finto si sforza di spiegare la prospettiva e i colori, ripetendo più o meno quello che il ragazzino trova sul suo libro di educazione all'immagine.

Tanto più che, ogni tanto, si compiono degli errori didattici che fanno arrabbiare. Eccone uno. Siamo di fronte ad un quadro ottocentesco, che rappresenta Dante Alighieri a Verona. E' una delle opere che testimonia il nuovo interesse per l'estetica pierfrancescana. Ma, ora, mettetevi dal punto di vista di una bambina o di un bambino che ascolta Piero della Francesca (1400), ma vivente (oggi), che parla di un tizio, Dante (che lui non conobbe perché visse due secoli prima), ritratto da un tizio che visse invece nel 1800. QUalsiasi insegnante, a questo intrico cronologico, avrebbe imposto il fermi tutti, ragioniamoci su, sennò, altro che il famoso annullamento dei tempi prodotto dalla TV, qui siamo al reato di procurato marasma cronologico. Certo, che il gioco dei tempi è raffinato e godibile. Io mi ci diverto. Ma, appunto, è un lavoro mentale colto. Chi lo intende come uno stratagemma didattico, semplicemente non conosce l'abc dell'insegnamento storico.

Pressione pericolosamente alta, ho chiuso anche questo canale. Mi godo la mostra, mi leggo le didascalie che ho capito essere destinate a me, e vado. Un altro giorno me le studierò tutte, queste audioguide e, come mi piacerebbe, mi fermerò a vedere i tre laboratori didattici, dedicati (per quello che ho intuito) alla prospettiva, ai colori e alle forme. Tre laboratori e un'audioguida per i ragazzi e i bambini. A parte il giudizio che se ne può dare, sottolineo fortemente la positività dell'impegno in questa direzione.

Così, la mostra me la sono vista per me. E qui viene l'ultimo "ma". Forse farà incavolare qualcuno, ma sono uno storico. Sguardo deformato. Ma, francamente, mi chiedo come mai ci siano dei colleghi che riescono a connettere personaggi e opere da un secolo all'altro, prescindendo dai cambiamenti sociali e politici. Piero viene dimenticato. Solo questione di moda? viene recuperato. Solo questione di rivalutazione estetica da parte di questo o di quello? Chi periodizza in questa storia è il critico novecentesco, che rivoluziona il modo di guardare a Piero, o il pittore ottocentesco che lo copia e lo fa conoscere a Parigi. Che al tornante del XVI secolo la società europea sia profondamente cambiata; e che cambiamenti profondi abbiano scosso la Francia e l'Italia ottocentesche; e che durante il fascismo si sia fatto anche qualche discorso di politica artistica, tutto questo sembra messo fuori dall'aula delle muse.

Un'aula fuori dal tempo. Ma, ora mi recupero in pieno la mostra e il piacere di averla vista, è quello che sento, quando sono di fronte a un quadro di Piero.

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