Bari, 28 gennaio
Lo scrittore e poeta Amadou-Hampaté Ba sosteneva che la cultura africana era essenzialmente orale. Diceva: “in Africa un vecchio che muore è una biblioteca che brucia”. Era una convinzione diffusa. La scoperta dei manoscritti di Timbuctu (Tin-Buktu, nella locale lingua) l’ha rovesciata. Migliaia di manoscritti, redatti su pelle di montone, come nell’Europa medievale, ma anche vergati su scapole di cammello o cortecce d’albero, hanno raccolto i pensieri africani fin dal 1200, intorno a temi di teologia, scienza, tecnica e letteratura. Erano conservati presso le famiglie più importanti della città. Poi, intorno al 1970, cominciarono a essere raccolti in luoghi ritenuti più sicuri, le biblioteche. Quella più importante è (era) dedicata ad Ahmed Baba, un sapiente del XVI secolo che scrisse nelle sue memorie che “fino all’arrivo degli Europei, il pensiero africano coltivava l’amore di un islam aperto sull’universale, che si distingueva molto nettamente da quello di stretta osservanza arabo-musulmana”
L’istituto, che conserva migliaia di manoscritti, è diventato celebre presso studiosi e amanti della cultura. Ne erano fieri gli stessi abitanti di Timbuktu, che potevano leggere ogni giorno questa scritta, affissa presso il Centro: “Il sale viene dal Nord, l’oro dal Sud, il denaro dai paesi dei bianchi, ma la parola, le cose sante, i bei racconti li trovi qui, a Timbuktu”.
In queste ore, le notizie di agenzia ci parlano di biblioteche incendiate, e citano fra queste il centro Ahmed Baba. Non sappiamo come si siano svolti veramente i fatti. Ma non è del tutto fuori luogo ricordare, per farcene un’idea, le parole con le quali il conte Filangieri, direttore degli archivi napoletani, descrisse l’incendio di Villa Montesano, nel quale furono distrutti 30 mila volumi antichi e 50 mila pergamene. Scrisse Filangieri che, vedendo che bande tedesche (ormai in rotta) giravano per le campagne, a saccheggiare case e ville, si preoccupò di contattare gli alti gradi dell’esercito germanico, per spiegare l’importanza esclusivamente storica di quella raccolta documentaria. Parlò con i capi e scrisse, anche per lettera, che studiosi tedeschi ne avevano approfittato in passato, perché si trattava di documenti che riguardavano tutta l’Europa. La mattina del 30 settembre 1943, tre soldati tedeschi, giunti nella villa, stracciarono ostentatamente la lettera di Filangieri, che era stata loro mostrata loro in copia, dicendo. “Comando conoscere tutto, ordine bruciare”.
Leggetela, questa breve relazione. Non c’è una parola di più, un aggettivo, un commento, un giudizio. Forse è proprio la sequenza analitica dei fatti che ci consegna il dramma di quei momenti, come quando – colpiti da un dolore indicibile – siamo appena capaci di fare una nuda cronaca dell’avvenimento.
In quel rogo andò in fumo la memoria storica dell’Italia meridionale del Medioevo. Il comando era al corrente dell’importanza esclusivamente storica di quella documentazione e fu per questo che ordinò di distruggerla. Non è un fatto nuovo, lo sappiamo bene. Dalla biblioteca di Sarajevo, fatta saltare in aria dalle cannonate serbe, all’archivio algerino, trafugato dai francesi al tempo della decolonizzazione, fino alla celeberrima biblioteca di Alessandria, alla cui distruzione concorrono ancora oggi molte candidature, su su fino agli Assiri, che avevano istituzionalizzato la distruzione, o il furto, degli archivi dei paesi conquistati: questi luoghi, emblemi normalmente di un’erudizione separata dalla vita quotidiana, si rivelano in questi terribili momenti strategici. Acquistano, agli occhi dei conquistatori, a qualsiasi civiltà e religione appartengano, il potere immenso di custodire il cuore della nazione da sottomettere.
Dunque, il rogo acceso dai Jhadisti non è il segno di una barbarie incolta. Al contrario, mostra che questi guerriglieri conoscono bene la storia e il funzionamento di una società. Sanno, perciò, come ferirla nel profondo. Chi non lo sa – e quindi dovrebbe essere definito a ragione “barbaro incolto” - popola la nostra penisola, dove le biblioteche e gli archivi vengono lasciati perire e si distruggono, senza nemmeno il bisogno di una guerra.