di Davide Porsia
Chissà cosa avrebbe pensato Lucio Orbilio Pupillo, prima grammatico beneventano infine plagosus maestro di Orazio. O chissà quale arma avrebbe usato per punire l’imperizia degli alunni e dello stesso magister nell’uso dello stilus e della tabula cerata. “Briciole di cera che rotolano sui banchi e sui libri, che spreco inutile. E che scrittura incomprensibile! Scrivi dieci volte: VIRUM MIHI CAMENA INSECE VERSUTUM” e giù nerbate da lasciare i segni.
Ma Orbilius, archetipo del docente frustrato (e perciò frustante), non c’è: pare sia morto nel 13 a.C. Quindi almeno per il momento, possiamo considerarci al sicuro e ritenerci liberi di sbagliare al riparo da dolorose conseguenze.
Partiamo da un pannello di compensato di pioppo di formato A5 (148 X 210 mm X 4 mm) al quale si aggiungono 4 listelli di faggio (Sezione 10mm X 10mm), due da 210 mm e due da 128 mm. Fatto?
Con colla vinilica (non necessariamente abbondante) incolliamo i listelli sui lati della tavoletta ottenendo un telaio. Eventuali avvallamenti del legno in fase di incollaggio possono essere compensati con degli elastici per tener fermi tavola e listelli.
La tabula è pronta. Ora va cerata. Della cera d’api grezza va più che bene. Sciogliamola a bagnomaria in un pentolino e versiamola tutta in un unico momento (per evitare increspature e avvallamenti) nel telaio di legno. Lasciamo raffreddare. In piano, mi raccomando!
Lo stilo ce l’abbiamo già, di sicuro, nel cassetto della cucina insieme alle posate: una bacchetta avanzata dall’ultimo ordine al ristorante giapponese. Dobbiamo soltanto smussarla con carta vetrata sui due lati, appuntirla da un lato e appiattirla dall’altro (per creare un efficace raschietto per le cancellature).
Ecce tabula cerata. Altro che tablet!
Lezione sulla prima declinazione. Esercizio svolto a casa: memorizza i seguenti sostantivi, i rispettivi significati e declinali oralmente (ebbene sì, rosa-rosae, ogni tanto tocca). Esercizio in classe: incidi sulla tavoletta un lemma della prima declinazione a tua scelta. Discipulae tabulam inscribunt et laetae sunt. Sic est.
La tavola e lo stilo passano di mano in mano, alcuni annusano: “Che buon odore! Sa di cose dolci!” La cera d’api è profumatissima di per sé. Poi anche il legno profuma.
Lo stilo incide e raschia gli errori: intanto traduciamo Tabula scripta est. Tabula rasa est.
“Prof, è bello incidere la cera e scrivere così. Dà soddisfazione.” È vero, lo confermo. Ora scrivete sul quaderno e traducete: Magister laetus est! Ah no, scusate. Quella è la seconda declinazione.
Grazie ai ragazzi della 1BL del Liceo Sylos di Bitonto (Ba); a Malu per gli elastici; a Roberta per l’idea della bacchetta; a Fabio Armenise per la visione del suo dittico.
Post Scriptum (Ovverosia Appendix Prima)
Tingendo la cera di nero (sciogliendo un pastello a cera o con coloranti universali) si riescono ad ottenere tabulae più simili a quelle presenti nelle fonti iconografiche. Ne migliora anche la funzionalità, dato che sul nero risalta maggiormente l’incisione. Le striature visibili in foto sono dovute ai differenti materiali utilizzati: pastello in stearina o paraffina e cera d’api.