Per una proposta didattica integrativa

di Daniele Morgese

 

Conferenza Nel corso della propria vita scolastica uno studente medio si confronta con un numero irrisorio di compagni. Difficilmente più di un’ottantina. Con loro affronta per 13 anni lezioni, compiti, interrogazioni. Anche quando incontra docenti che propongono metodologie innovative (innovative per così dire: in Italia si spaccia ancora per nuovo il Debate), le sperimenterà sempre con lo stesso campione umano. Certo, ci sarebbero le uscite didattiche, le esperienze Erasmus, le competizioni nazionali, ma nessuna di queste ha il carattere didattico di un Hackathon. Ecco quindi la prima caratteristica di questo mediatore didattico: l’Hackathon è tra quelli maggiormente capaci di abbattere la rigidità del nostro sistema scolastico.

 

Ma di che cosa si tratta, precisamente?

Sebbene sia arrivato nelle scuole Italiane quasi dieci anni fa, sono ancora in molti a ignorare questa metodologia challenge-based learning, incentrata sulla capacità di risolvere un problema, proponendo una soluzione originale e innovativa dopo una sessione intensiva di 24 o 48 ore. Il nome, infatti, è una crasi tra le parole Hacking (smontare) e Marathon. La formula è molto semplice: studenti provenienti da scuole, città e indirizzi di studio diversi, vengono divisi in squadre eterogenee per sesso e curriculum di sei/otto componenti, e viene loro dato un tempo definito per affrontare la sfida collettiva, una maratona progettuale. Ad esempio: a Genova, negli scorsi giorni, è stato chiesto di riqualificare le piazze della città unendo didattica e divulgazione storica e storico-artistica con l’ausilio delle nuove tecnologie.

Dopo una prima fase di brainstorming, gli studenti vengono sollecitati attraverso inspiring speach (lezioni che aprono la mente, diremmo), oppure informative sul tema della competizione, e ostacoli, quali “shock cognitivi” come l'invio di studenti mentor, che hanno maturato già l'esperienza in precedenza, che hanno il mirato compito di mettere in discussione ogni dettaglio dell'idea proposta per costringere le squadre a rimettere tutto in discussione.

Tutto questo serve per stimolare costantemente la loro attività di riflessione sul progetto. Si ribalta il metodo consueto, nel quale viene prima l’informazione e poi il problema. Qui si presenta il problema e, man mano, gli allievi ricevono o ricercano le informazioni.

Allo scadere del tempo, ogni squadra seleziona due membri per presentare in un tempo ristretto (spesso non più di tre minuti) l’elaborato. Insomma, una faticaccia. Una tensione infinita. Ma alla fine il risultato è sempre lo stesso: che si vinca o che si perda, non esiste studente che non tragga beneficio dall’esperienza.

 

Gruppo 1 Gli effetti attesi

I ragazzi imparano. Non si può preventivare quanto e che cosa, ma imparano. E ricordano. Potreste essere i migliori docenti del mondo, ma su cento lezioni, quante saranno davvero belle? A voler essere larghi, la metà. Quante memorabili? Un decimo? Bene. Nei ricordi dei ragazzi si mescoleranno tra loro, perché anche visivamente, nella loro memoria, si smarriranno poiché identiche negli spazi e nelle dinamiche.

Nel nostro caso, invece, l’esperienza è unica, e in quanto tale memorabile. E volenti o nolenti, le dinamiche di gruppo li costringeranno a svolgere un lavoro pratico, che si imprimerà nella loro memoria più di un paragrafo letto e riletto. Come ci ha insegnato Clifford Geertz, è una questione di densità delle conoscenze, non di quantità. Questo non vuol dire abbandonare la cara vecchia lezione frontale. Non si capisce perché mediatori didattici di natura diversa non possano coesistere. Per giunta, non saranno due lezioni in meno a cambiare la vita degli studenti. In cambio, se si dà l’occasione di applicare concretamente ciò che si impara, torneranno sui banchi con motivazione rinnovata.

I ragazzi analizzano, indagano, discutono, propongono, migliorano, ripensano, riprogettano. Sono costretti a un’interdisciplinarità pratica: imparano ad argomentare e presentare (italiano), tradurre (lingue), progettare (materie tecniche), essere creativi. Applicano conoscenze e competenze extracurricolari. Diventano attori, fotografi, registi. Montano video, audio. Fanno ciò che sanno e a volte anche ciò che non credevano di saper fare, scoprendo qualcosa di sé.

I ragazzi socializzano. Nell’hackathon sono fondamentali le pause, i momenti morti. Le dinamiche di gruppo in tutta la loro complessità. Si creano leadership, si lavora da gregari. Si impara a fare un passo indietro per il bene della squadra o a imporre le proprie convinzioni. Si scherza, a volte si canta e si balla. Si mangia insieme, ci si riposa insieme. Tutto concorre all’esperienza. E soprattutto, tornando al punto iniziale, ci si rapporta a ragazzi con storie e percorsi diversi. Ne bastano un paio per avere a che fare col doppio degli studenti con cui si è stati in classe in tutta la vita. E succede che un liceale scopra che uno studente del tecnico o del professionale non è così diverso da lui. E viceversa.

I ragazzi possono finalmente dire la loro. Questo non significa deresponsabilizzare l’azione del docente. Tutt’altro. È proprio una chiamata alle armi per i docenti, affinché si accorgano della necessità di creare per i propri studenti situazioni in cui vien loro data carta bianca e vien chiesto di risolvere autonomamente un problema, assumendo il ruolo non più di guida ma di consulente e facilitatore. Perché sono queste le occasioni che, per dirla come Vincenzo Cuoco, alimentano la fiamma della passione degli studenti.

 

Gruppo 2 Una competizione collaborativa

L’hackathon è per tutti. Olimpiadi disciplinari e concorsi inducono gli studenti a una feroce competizione. Si chiede a tutti di fare la stessa cosa e vince chi la fa meglio. Nel nostro caso non è affatto necessario. In una squadra si possono ricoprire anche ruoli diversi: il collante, l’entusiasta, il motore, l’operaio1. E questo apre l’esperienza a tutti e non solo ai migliori. Può essere l’occasione per la rivincita dei secondi, se non dei terzi, quarti.

L’hackhathon condensa tutto ciò in un’unica attività. Su questa ormai abbondano letteratura scientifica e corsi di formazione. Purtroppo, tra le tante colpe del Covid-19 c’è anche l’averne arrestato per due anni il processo di diffusione. Siamo in ritardo. Ma sbrighiamoci per inserire l’hackathon nella nostra faretra. Per iniziare, consiglierei queste letture:

https://scuolafutura.pubblica.istruzione.it/hackathon

https://www.direfareinsegnare.education/didattica/la-didattica-challenge-based-e-l-hackathon-come-modello-di-apprendimento/

 


Note

1 Non esistono ruoli definiti. Per questo si rimanda alla letteratura sempre abbondante della “sociologia dei gruppi”.

 

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