di Antonio Brusa
Oggi si celebra la Giornata della Non-memoria della strage di Addis Abeba, del 19 febbraio 1937. Quel giorno, gli etiopi avevano fatto esplodere una bomba, ferendo gravemente il generale Graziani. “Immediatamente scattò la rappresaglia dell'esercito italiano: i militari aprirono il fuoco colpendo indiscriminatamente i presenti, di cui centinaia rimasero a terra uccisi, mentre si scatenò la furia dei civili italiani che diedero fuoco alle case uccidendo in maniera indiscriminata. Pur in mancanza di quantificazioni ufficiali, il numero delle vittime è stimato tra 3.000 e 30.000, a seconda delle fonti”. Seguì la strage di Debrìa Libanos, nella quale vennero massacrati monaci e civili. E poi villaggi distrutti, gli uccisi dalle pallottole e dal gas, e i deportati. Forse 500 mila i morti dell’avventura coloniale dei bravi italiani. Centinaia di migliaia i deportati e i condannati ai lavori forzati.
Ho riportato alcune frasi della proposta di legge istitutiva della Giornata della Memoria delle vittime del colonialismo italiano in Africa, avanzata nel 2006 da un nutrito gruppo di parlamentari, fra i quali Cacciari, Tranfaglia e Vacca. Come tante altre, questa proposta si è persa nei meandri del tortuoso iter per la sua approvazione. HL ha espresso più volte la sua critica verso la proliferazione di queste giornate. Ma la vicinanza con la Giornata del Ricordo, con il suo abituale seguito di polemiche sulle stragi occultate (E allora le foibe?) fa risaltare in modo stridente il fatto che oggi non ci sia stato un gran discutere di questa caccia all’uomo, fatta da militari e da civili italiani. Non abbiamo bisogno di nuove giornate. Ma di una nazione che sa affrontare la propria storia, sì.