Autore: Antonio Brusa

Strumenti per un docente consapevole

I giorni che si passano in classe sembrano appartenere ad un presente eterno. Chi spiega storia si affanna per insegnare a trenta adolescenti il senso del tempo storico. Ma lui, il prof, conosce solo il tempo ciclico del calendario scolastico.

Il prof di storia si preoccupa di studiare quello che deve spiegare in classe, perché, dice, i suoi allievi devono sapersi situare nel tempo. Non è sfiorato dall’idea che gli può interessare ciò che riguarda la sua professione, perché anche lui ha bisogno di situare se stesso e la sua giornata di lavoro.  Lo si vede nel piccolo mondo di Historia Ludens, dove tanti si incuriosiscono su argomenti che riguardano “ciò che si può dire in classe”, pochi leggono gli interventi sulla formazione dei docenti e sulla storia della didattica della storia.

Un lavoro “senza tempo” rischia pericolosamente di diventare un lavoro “senza senso”. Per questo motivo è importante, per il docente in servizio come per il docente in formazione, capire come si è evoluta la propria professione; quali sono i quadri storico-didattici nei quali opera, e in quale direzione si sono modificati.

ll numero speciale, dedicato alla didattica  della storia,  di “Ispf. Rivista elettronica di testi, saggi e documenti, edita dall’Istituto per la storia del pensiero scientifico e filosofico moderno, è uno strumento per affrontare questo problema.

Chi leggerà questo dossier, potrà inquadrare la propria attività entro un quadro cronologico, costruito (come scrive Cajani) fra il 1996 e il 2012. Un periodo convulso e contraddittorio, all’interno del quale si è disegnato il complesso di norme e di strutture oggi vigenti. E’ al principio di questo periodo che il programma di studio comincia a chiudersi  con il Novecento (e a giungere fino ai nostri giorni). Pochi lo ricordano, ma prima del 1996, la maggior parte dei docenti terminava il programma con la Marcia su Roma e, in parte, con la Seconda guerra mondiale. E non mancarono, allora, docenti (e ricercatori universitari) che, ribellandosi all’idea di limitare le ore da dedicare ai secoli precedenti, si rifiutarono ostentatamente di attuare la direttiva ministeriale.

Durante questo periodo avvengono due importanti cambiamenti. Il primo riguarda il programma in continuità. Proposto dalla Commissione de Mauro nel 2001, metteva insieme elementare, media e biennio, nella prospettiva di una formazione storica base lunga, coerente e efficace. La reazione successiva del ministro Moratti ne snaturò il senso, limitandolo alla connessione fra elementari e medie. Dal 2003/2005, il programma di storia italiano ha assunto la struttura attuale, in due cicli di cinque anni, dalla quarta elementare fino alla quinta superiore.

La seconda rivoluzione riguarda il contenuto di studio, e – strettamente legato a questo – le finalità dello studio storico. De Mauro propose che nelle scuole italiane si dovesse studiare la storia mondiale. La reazione - in particolare quella di una accademia palesemente ignara di un global turn, che stava rapidamente prendendo piede nella ricerca mondiale - fu veemente. Venne cavalcata con prontezza (come ormai siamo abituati a vedere) dal mondo politico, che – sempre con il ministro Moratti – cancellò quella proposta, sostituendola con un programma di storia etnocentrico e identitario. I governi successivi di centro-sinistra riuscirono a correggere solo in parte questa manovra, restituendo dignità conoscitiva alla storia, ma furono incapaci di riproporre con chiarezza la dimensione mondiale, come il quadro culturale all’interno del quale costruire le prospettive spazio-temporali degli allievi.

Dentro questi cambiamenti, esplode una sorta di “moto perpetuo di piccole e grandi riforme”(Donato). Resteranno negli annali quelle realizzate dalla “micidiale legislazione Gelmini”, con la riduzione dei fondi e delle ore di insegnamento, la chiusura delle Scuole di formazione professionale e l’introduzione di una “non-materia”, come l’Educazione alla Cittadinanza. Un’occasione persa, quest’ultima, come sottolinea Valleri, perché poteva mettere a fuoco il tema della “cittadinanza asimmetrica” (fra cittadini italiani e stranieri, fra uomini e donne), autentica lacerazione nella società italiana, e si limitò a riproporre  vecchi stilemi della educazione civica. E, accanto a queste, ha imperversato un profluvio di documenti, che riguardano ora le prove di valutazione, ora l’adozione dei manuali, ora le regole, sempre più complesse, per accedere alle risorse online, e tante altre, con il risultato che si è diffuso “lo strisciante convincimento che i programmi,comunque siano strutturati, non siano altro che “parole di carta”. Esiste una sorta di adeguamento connaturato alla realtà scolastica, un “fai da te” che gli insegnanti di storia (ma non soltanto) attuano, frutto di scelte professionali autonome a partire dai modelli di spiegazioni disponibili e molto spesso solo apparentemente ritenuti dominanti nella professione dell’insegnante”.

Una situazione solo italiana? A leggere le pagine di Charle dobbiamo rispondere di no. La Francia (e con essa molte altre nazioni), sono attraversate da lacerazioni analoghe alle nostre. Anche altrove si discute del senso della storia, dei contenuti da studiare. Si lotta per rompere le barriere (o per difenderle strenuamente) che hanno confinato questo studio alla propria nazione e si cerca in che modo rendere didatticamente efficace una prospettiva geostorica finalmente mondiale. Forse una differenza sulla quale riflettere è nello spegnersi progressivo dell’interesse degli studiosi nostrani per le sorti dell’insegnamento storico. Dopo le vampate del dibattito de Mauro, gli storici sembrano rifluire su se stessi, in una crisi depressiva alla quale Paolo Prodi dette voce al principio di questo millennio. La Sissco, società degli storici contemporaneisti, smette praticamente di occuparsi di didattica a partire dal 2003; la Sismed, società dei medievisti, fa del suo isolamentouna questione di bandiera. Solo la Sisem, la società degli storici modernisti, continua in un’opera di sensibilizzazione e di studio, al momento incapace di trascinare i colleghi.


L’insegnamento della storia oggi (a cura di Maria Pia Donato)


Maria Pia Donato, L’INSEGNAMENTO DELLA STORIA, LA RIFORMA PERENNE DELLA SCUOLA E UN PASSATO CHE NON PASSA.
Luigi Cajani, I RECENTI PROGRAMMI DI STORIA PER LA SCUOLA ITALIANA
Christophe Charle, STORIA GLOBALE E STORIA NAZIONALE TRA RICERCA E DIDATTICA. LA QUESTIONE VISTA DALLA FRANCIA
Elvira Valleri, LA STORIA E IL SUO INSEGNAMENTO: ANDATA E RITORNO

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