Schede

André Leroy Gourhan (1911-1986)

 

 

Il Gesto e la parola

Dopo Evolution et Techniques, nei cui due volumi venivano ricercate le origini del lungo cammino che avrebbe portato, nel secolo scorso, alla civiltà delle macchine, Andre Leroi-Gourhan ci ha dato, con II gesto e la parola, (Torino, Einaudi 1077), anch'esso suddiviso in due parti, una eccezionale sintesi paleontologica ed etnologica (Tecnica e linguaggio), da un lato, sociologica ed estetica (La memoria e i ritmi), dall'altro, della progressiva «liberazione» della specie umana attraverso il suo comportamento materiale nello spazio e nel tempo (dalla liberazione della mano, dell'utensile, della forza, fino a quella della memoria). Una sintesi in cui il passato più remoto entra in rapporto diretto con il futuro più vicino, al di là della situazione dell'«uomo immediato» (quello del nostro fugace presente), ancora situato entro i confini dell'homo sapiens, quando il mito di un trasferimento cosmico ha già preso consistenza. «A tutti i livelli di civiltà, fin dai tempi più remoti - scrive l'Autore all'inizio del primo volume - una delle preoccupazioni fondamentali dell'uomo è stata la ricerca delle sue origini. Ancora oggi tutti gli uomini di cultura, non sapendo dove sono diretti, nutrono lo stesso desiderio dei loro antenati di sapere da dove provengono». E, al termine del secondo volume, dopo avere respinto l'ipotesi apocalittica di una distruzione atomica, afferma fiduciosamente: «È meglio puntare sull'uomo. Possiamo immaginare l'uomo di un avvenire prossimo deciso, in seguito a una presa di coscienza, a restare sapiens. La specie è ancora troppo legata alle sue radici per non cercare spontaneamente quell'equilibrio che l'ha portata a diventare umana». È un'affermazione che può essere condivisa, anche se, liberato grazie alla sua stessa evoluzione, l'uomo della zoologia si trova «probabilmente al termine della sua carriera».

 

La “catena operativa” o l’algoritmo per la produzione degli strumenti litici

 

 

La “catena operativa” è l'insieme dei passi concatenati (sequenza dinamica) che si verificano nella produzione di artefatti litici, dalla raccolta delle materie prime fino al loro abbandono, passando attraverso le diverse fasi di fabbricazione, il loro utilizzo e la loro ricostruzione (affilatura, ravvivamento...) e il loro riutilizzo, se era il caso. Le catene operative permettono di stabilire diversi stili e strategie culturali, quindi sono uno strumento concettuale di inestimabile valore in preistoria e archeologia (da Wikipedia, sv)

 

Il rapporto “mano cervello” nelle parole di Leroy Gourhan

 

“La mano, in origine, era una pinza per tenere sassi; il trionfo dell’uomo è stato di trasformarla nell’esecutrice sempre più abile delle sue idee di fabbricatore. Dal Paleolitico superiore al secolo XIX, essa ha attraversato un interminabile apogeo.

Nell’industria svolge ancora una funzione essenziale, grazie a pochi artigiani che fabbricano pezzi utensili delle macchine davanti alle quali la massa operaia avrà solo una pinza a cinque dita per distribuire la materia o un indice per schiacciare un bottone. Si tratta però di uno stadio di transizione, perchè è chiaro che le fasi non meccaniche della fabbricazione delle macchine verranno eliminate a poco a poco. Poca importanza avrebbe che diminuisse la funzione di questo organo di fortuna che è la mano, se tutto non stesse a dimostrare che la sua attività è in stretto rapporto con l’equilibrio delle zone cerebrali che l’interessano.

Non saper fare nulla con le proprie dita non è una cosa preoccupante a livello della specie perchè passeranno molti millenni prima che regredisca un sistema neuromotorio così antico, ma sul piano individuale è ben diverso: non avere da pensare con le proprie dita equivale a fare a meno di una parte del pensiero normalmente, filogeneticamente umano. Esiste quindi fin da ora, a livello degli individui se non della specie, il problema della regressione della mano.”

Lewis Binford (1930-2011)

“L. Binford è stato un pioniere del movimento degli anni ’60, detto ‘New Archaeology”. La sua visione dell’approccio scientifico all’archeologia ha finalmente allontanato questa disciplina dalla semplice catalogazione delle storie culturali, avvicinandola all’uso dei metodi scientific, con lo scopo di spiegare i processi culturali e contestualizzarli nello spazio”


La New Archaeology può essere definita anche “archeologia processuale”: caratteristica di questo modo di fare archeologia è il ruolo centrale riconosciuto ai “processi culturali”, intesi come comportamenti umani fondamentali. Nella pratica archeologica questo si esprime in una crescente attenzione per i fattori ambientali e per i modelli di insediamento, a partire dal presupposto teorico secondo il quale le culture archeologicamente testimoniate vanno viste come sistemi da analizzare complessivamente. 

In Italia la New Archaeology ha trovato un seguito, peraltro limitato, esclusivamente fra gli studiosi di preistoria. La pretesa neutralità assoluta del ricercatore, il rifiuto della storia vista come ricostruzione di avvenimenti unici e irripetibili in grado di offuscare le grandi tendenze generali, il meccanicismo riduttivo delle interpretazioni hanno prodotto nell'archeologia italiana e, in genere, in quella mediterranea un vero rigetto culturale, che spiega la generalizzata scarsa adesione alle idee di Binford e dei suoi seguaci. Questo rifiuto ha però avuto anche un effetto negativo: la New Archaeology, nei Paesi in cui si è affermata, ha infatti avuto il merito storico di far entrare stabilmente nel bagaglio delle discipline archeologiche procedimenti e metodi nuovi, spesso derivati da altre scienze, oltre a costituire uno dei presupposti essenziali dello sviluppo della etnoarcheologia. Tali competenze restano invece ancora troppo poco diffuse in ambito mediterraneo, con un conseguente ritardo metodologico e tecnologico.

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