“L. Binford è stato un pioniere del movimento degli anni ’60, detto ‘New Archaeology”. La sua visione dell’approccio scientifico all’archeologia ha finalmente allontanato questa disciplina dalla semplice catalogazione delle storie culturali, avvicinandola all’uso dei metodi scientific, con lo scopo di spiegare i processi culturali e contestualizzarli nello spazio”
La New Archaeology può essere definita anche “archeologia processuale”: caratteristica di questo modo di fare archeologia è il ruolo centrale riconosciuto ai “processi culturali”, intesi come comportamenti umani fondamentali. Nella pratica archeologica questo si esprime in una crescente attenzione per i fattori ambientali e per i modelli di insediamento, a partire dal presupposto teorico secondo il quale le culture archeologicamente testimoniate vanno viste come sistemi da analizzare complessivamente.
In Italia la New Archaeology ha trovato un seguito, peraltro limitato, esclusivamente fra gli studiosi di preistoria. La pretesa neutralità assoluta del ricercatore, il rifiuto della storia vista come ricostruzione di avvenimenti unici e irripetibili in grado di offuscare le grandi tendenze generali, il meccanicismo riduttivo delle interpretazioni hanno prodotto nell'archeologia italiana e, in genere, in quella mediterranea un vero rigetto culturale, che spiega la generalizzata scarsa adesione alle idee di Binford e dei suoi seguaci. Questo rifiuto ha però avuto anche un effetto negativo: la New Archaeology, nei Paesi in cui si è affermata, ha infatti avuto il merito storico di far entrare stabilmente nel bagaglio delle discipline archeologiche procedimenti e metodi nuovi, spesso derivati da altre scienze, oltre a costituire uno dei presupposti essenziali dello sviluppo della etnoarcheologia. Tali competenze restano invece ancora troppo poco diffuse in ambito mediterraneo, con un conseguente ritardo metodologico e tecnologico.