di Giuseppe Bagni, presidente nazionale del Cidi e Antonio Brusa, Istituto "Ferruccio Parri"
Da un primo, ma capillare riscontro, sembra che le pur importanti aperture contenute nella struttura del Piano di Formazione (la formazione come ricerca/azione, il coinvolgimento attivo dei docenti, il legame con il lavoro in classe e le esigenze della scuola, una governance partecipata, la qualità delle metodologie, la trasparenza delle operazioni amministrative) siano contraddette dalle realizzazioni pratiche:
- frettolosità delle iniziative,
- genericità dei percorsi formativi,
- scelte organizzative a volte poco comprensibili,
- sistemi burocratici di individuazione dei formatori,
- nessun coinvolgimento dell’associazionismo dei docenti, scarsissimo coinvolgimento delle Università e delle associazioni professionali dei ricercatori che pure, negli ultimi tempi, hanno mostrato un forte interesse per la questione didattica.
Le Direzioni regionali non si sono dotate di uno Staff di controllo, pur previsto nella legge, con il quale dialogare e con il quale impostare strategie razionali di formazione. Con il quale discutere e valutare i corsi proposti. Di conseguenza, si assiste a un proliferare di corsi che si ripetono, duplicano iniziative già in atto e, come effetto macroscopico, presentano l’esclusione quasi totale delle didattiche disciplinari.
Questo appare in deciso contrasto sia con le rilevazioni dei desiderata dei nuovi assunti, sia dal testo stesso del dispositivo che fa più volte riferimento all’aggiornamento delle competenze professionali disciplinari dei docenti. In particolare, fa apparire contraddittorio il comportamento dell’Amministrazione che, da una parte, coinvolge – giustamente – Università e Scuole nella progettazione e nella realizzazione dei percorsi iniziali di formazione; dall’altra sembra tenere rigorosamente distante le Università, insieme anche all'associazionismo professionale, dall’attuazione di questo piano di formazione in servizio.
Si dovrebbero privilegiare i momenti di formazione alta, nella quale le istanze di rinnovamento culturale promosse dai centri di ricerca si coniugano con il rinnovamento delle pratiche didattiche. La realtà invece testimonia di corsi di aggiornamento di carattere tradizionale, a volte rivolti a grandi numeri di docenti, in modo frettoloso e superficiale, ai quali vengono giustapposti momenti di pratica non strutturata.
Questo sembra il bilancio insoddisfacente del primo anno di applicazione del Piano. Si può e si deve migliorare l’offerta e la governance per i prossimi. A questo scopo, sollecitiamo l’Amministrazione a monitorare rapidamente questa prima fase e a prendere alcuni provvedimenti, fra i quali:
- La messa in pista dello Staff regionale, e l’invito alle Direzioni a discutere con le Università e le associazioni della realizzazione di questo piano, dei criteri di scelta dei corsi e dei formatori.
- Valutare i provvedimenti che permettano ai docenti di accedere alla formazione didattico-disciplinare. A tale scopo sarebbe opportuno sottolineare che nell’area della didattica per competenze si possono collocare i temi che coniugano i saperi disciplinari alle relative didattiche.
- Esperire le modalità di finanziamento, anche attraverso questo piano, delle reti di scopo che, per loro natura, meglio si prestano ad un aggiornamento meno generalista e più orientato alle discipline. Delle risorse finanziarie destinate ai territori una quota significativa deve essere assegnata direttamente alle scuole per garantire le loro azioni e quelle delle reti di scopo che queste possono attivare in convenzione con le università, le associazioni e i centri di ricerca didattica, trovando meccanismi per la verifica coerenti con le indicazioni metodologiche contenute nel Piano.
Questa lettera è già stata presentata all’onorevole Milena Santerini, se ne parlerà in VII Commissione e il Cidi nazionale ne tratterà col ministro. Faccio il mio "in bocca al lupo" a Beppe Bagni, che combatta al Miur la buona battaglia. Mi auguro che possa avere qualche effetto, almeno per il prossimo anno. Per questo, è andata. 24 milioni di euro, spesi quasi interamente in inclusione e in competenze generali, temo di brutto che si riveleranno un boomerang per l’aggiornamento in servizio.