di Antonio Brusa, Ilaria Sabbatini
Il fatto
Ne hanno parlato tutti i giornali e tantissimi hanno commentato sui social: due famiglie musulmane di Treviso hanno chiesto di non far studiare Dante e la prof le ha prontamente accontentate, sostituendolo con Boccaccio. Subito dopo, un docente di liceo ha spiegato a una tv locale che sì, in effetti, Dante mette Maometto nell’inferno, e questo non sta bene ai musulmani. Fra i commenti più autorevoli, leggiamo quelli del Ministro Valditara, della Sottosegretaria Facchinetti, di Matteo Salvini e di un deputato della Lega, Centinaio, noto alle scuole per aver promosso la legge sull’Educazione civica che le sta attualmente affliggendo. Con suoi Inferno, Purgatorio e Paradiso, Dante è offensivo per i musulmani, avverte “Il Corriere del Veneto” e questa informazione ha scandalizzato i più.
L’episodio, accaduto a febbraio, è stato ripreso da Antenna3 il 23 maggio e da allora è diventato un evento mediatico. Come tale, dunque, va commentato (del fatto in sé sappiamo poco e quindi non è il caso di esprimersi sulle scelte di un docente, né qui riprendiamo il tema della cancel culture, sul quale HL ha proposto numerosi contributi). Il discorso pubblico sull’evento è interessante perché rivela una duplice incultura, didattica e storica. Con una differenza fra i due livelli: mentre, per quanto riguarda la storia, rileviamo che alcuni commenti appaiono sufficientemente informati, come quelli di Matteo Cazzato o di Enrico Galiano, per quanto riguarda la didattica siamo costretti a osservare che l’ignoranza appare totale. L’episodio, dunque, più che la questione dell’intercultura fra le comunità italiana e straniere, propone con forza una questione di incultura, gloriosamente nazionale.
Dante e l’incultura didattica
Per iniziare, ecco Alex Corlazzoli, del “Fatto Quotidiano”, che chiude il suo resoconto con queste parole:
Ora si tratta di capire se il docente abbia agito in autonomia o se abbia concordato con il consiglio di classe o con la presidenza la modalità: da una parte vige la libertà d’insegnamento garantita dal Contratto nazionale all’articolo quindici, dall’altra il dovere ad attenersi alle Indicazioni nazionali del ministero che sono in sostanza il vecchio “programma” cui tutti i docenti facevano riferimento.
Si tratta di capire, invece, perché il giornalista (lui solo?) confonde “programma” con “Indicazioni nazionali”, dal momento che sono due documenti che non hanno nulla in comune: il primo è l’elenco degli argomenti di studio, il secondo è l’insieme delle raccomandazioni per progettare il curricolo. E basta sfogliare quel testo (assai breve: sono le pagine 28-35) per rendersi conto che non vi si cita nessun autore. Sono tutti a scelta del docente. Le “tre corone”, un tempo imprescindibili, (Dante-Petrarca-Boccaccio), come si dice nel gergo, appartengono alla stagione dei programmi del Novecento, quando le antologie erano obbligatorie e scandivano anno dopo anno una summa in pillole della Letteratura Italiana. E, poiché siamo in una secondaria di primo grado, è bene ricordare che in queste scuole l’antologia è un testo opzionale, che il consiglio di classe può non adottare, se pensa che i testi a disposizione siano sufficienti per curare la formazione linguistico-letteraria dei ragazzi.
Infine, se ci prendiamo la briga di sfogliarne qualcuna, si vedrà che non mancano, in genere, l’esordio con la selva oscura, e gli episodi di Caronte, di Ulisse e di Paolo e Francesca. Ma, a compulsarle tutte con pazienza, non si vedrà nemmeno l’ombra di quel canto XXVIII incriminato, dove si raccontano le pene di Maometto.
Dal punto di vista dell’istituzione, che si studi Dante o che non lo si studi non può essere un problema.
Infatti, sembra essere sfuggito a tutti i commentatori che qui si tratta di una scuola secondaria di primo grado, e non di uno dei tanti licei istituiti dalla riforma Gelmini, per i quali quella ministra prescriveva la lettura di almeno 25 canti nell’ultimo triennio (p. 14). Fatto grave: la cosa è sfuggita anche ai commentatori istituzionali. È grave perché un conto è temere che una cultura straniera stia attentando al canone nazionale, un altro è commentare una scelta didattica, magari spiacevole e sbagliata (ma, sottolineo ancora: occorrerebbe essere ben informati su come sono andati i fatti). Di certo, la questione rivela che nemmeno il Ministro conosce le Indicazioni, che pure ha annunciato più volte di voler cambiare, e che la maggior parte degli intervenuti non sembra capire la differenza che c’è fra una secondaria inferiore e una superiore.
Quella docente ha dichiarato che ha risolto il problema sostituendo Dante con Boccaccio, suscitando in questo modo l’impressione di ragionare come se le “tre corone” esistessero ancora e avvertendoci che, forse, un problema sul quale riflettere potrebbe essere questo: come mai un insegnante di una secondaria di primo grado del XXI secolo si comporta come se fosse in una scuola media del XX?
L’inferno di Dante
Ma, ora, passiamo ad esaminare la parte storica chiamata in causa da questo evento.
L'VIII cerchio dell'Inferno è destinato ai peccatori che hanno ingannato chi non si fida. È diviso in dieci bolge, ognuna riservata a una categoria di peccatori. Dante ne descrive la struttura nel Canto XVIII dell'Inferno.
Luogo è in inferno detto Malebolge,
tutto di pietra di color ferrigno,
come la cerchia che dintorno il volge [...]
Di qua, di là, su per lo sasso tetro
vidi demon cornuti con gran ferze,
che li battien crudelmente di retro.Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso
vidi gente attuffata in uno sterco
che da li uman privadi parea mosso.(IF XVII)
[privadi=latrine]
La pena di Maometto
Nella IX bolgia di questo cerchio infernale, Dante mostra la pena dei peccatori colpevoli di aver seminato discordia. Secondo il principio del contrappasso, costoro vengono orrendamente mutilati da un diavolo che li squarcia con una spada e riapre continuamente le loro ferita, proprio come loro hanno causato lacerazioni in ambito politico o religioso.
In questo contesto atroce e disumanizzato, Dante colloca anche Maometto, creando così un precedente per i futuri imbarazzi di chi si trova ad affrontare, da un punto di vista occidentale, la questione della rappresentazione del profeta e fondatore dell'Islam. La scelta di Dante di includere Maometto come figura nettamente negativa ha infatti sollevato e continua a sollevare diverse polemiche e dibattiti.
Maometto è rappresentato con una ferita che lo lacera dal mento all'ano, in una descrizione particolarmente cruda e di registro deliberatamente volgare che lo paragona a una botte senza fondo. Con un linguaggio grottesco e provocatorio, Dante mette in evidenza la brutalità e la crudeltà della pena di Maometto.
Maometto e Giuda
È impossibile non notare la somiglianza con l'iconografia di Giuda eviscerato, così come viene tratteggiato in alcune iconografie ispirate agli Atti degli apostoli: «Giuda comprò un pezzo di terra con i proventi del suo delitto e poi precipitando in avanti si squarciò in mezzo e si sparsero fuori tutte le sue viscere». (At 1,18, cfr. Mt 27,5).
Già veggia, per mezzul perdere o lulla,
com’io vidi un, così non si pertugia,
rotto dal mento infin dove si trulla.Tra le gambe pendevan le minugia;
la corata pareva e ’l tristo sacco
che merda fa di quel che si trangugia.Mentre che tutto in lui veder m'attacco,
guardommi e con le man s'aperse il petto,
dicendo: "Or vedi com'io mi dilacco!vedi come storpiato è Mäometto!
Dinanzi a me sen va piangendo Alì,
fesso nel volto dal mento al ciuffetto.E tutti li altri che tu vedi qui,
seminator di scandalo e di scisma
fuor vivi, e però son fessi così.(IF, XXVIII)
La parafrasi in italiano corrente deve essere piuttosto esplicita, se vuole rispettare il linguaggio di Dante:
Una botte, priva delle doghe del fondo, non è bucata così come io vidi un dannato tagliato dal mento fin dove si scorreggia. Tra le gambe gli pendevano le interiora; si vedevano gli organi e il sacco ripugnante che trasforma in merda ciò che si mangia. Mentre fissavo lo sguardo su di lui, mi guardò e si aprì il petto con le mani, dicendo: «Adesso vedi come sono lacerato! Guarda come è storpiato Maometto! Di fronte a me c'è Alì [cugino e genero del profeta n.d.r.] che piange col volto squarciato dal mento alla fronte. E tutti gli altri che puoi vedere qui, in vita erano seminatori di scandalo e scisma, e per questo sono mutilati in questo modo».
Maometto è un eretico cristiano?
La polemica sul passo dantesco si ripete a intervalli di tempo più o meno regolari a seconda delle contingenze politiche e, di fronte a questo eccesso di sensibilità, vengono in mente principalmente due cose: il problema dei semicolti e il cherry picking, ovvero l’abilità di scegliere esclusivamente gli argomenti che confermano la propria tesi, evitando tutti quelli che potrebbero contraddirla.
Dante colloca Maometto nella IX bolgia dell'VIII cerchio, tra i seminatori di discordia. Discordia significa scisma, divisione e forse, prima di prendere posizioni di qualunque tipo, bisognerebbe farsi qualche domanda sul perché Maometto è considerato scismatico e non pagano.
In questo senso, un segnale impossibile da ignorare è il fatto che dopo pochi versi, proprio Maometto dice a Dante di avvertire fra Dolcino, esponente dei moti ereticali a lui contemporanei, di prendere provvedimenti se non vuole seguirlo nella stessa sorte infernale (il frate venne arso sul rogo nel 1307). A questo punto occorrerebbe approfondire l’idea di Maometto scismatico informandosi sulla leggenda di Bahira, mentore cristiano ed eretico del Profeta.
Una lunghissima tradizione medievale
Le prime nozioni diffuse nel mondo cristiano orientale relative alla vita del Profeta furono quelle mediate dalla Chronographia di Teofane (815 ca) che fecero di Maometto il discepolo di un monaco reietto, trasformando Bahira, che secondo la tradizione musulmana ne preconizzava il carisma profetico, in un cristiano apostata.
La leggenda traeva origine dai primi biografi di Maometto, Ibn Isḥā´q (m. 767), autore di Sirat Rasul HaAllah (Vita dell’inviato) e di Ibn Hishām (m. 833) autore di Al-Sīra Al-Nabawiyya (La vita del Profeta) [che a sua volta costituisce l’edizione dell’opera di Isḥā´q,30 e al-Tabari (m. 923) autore di Ta’rīkh al-rusūl wa-al-mulūk (Storia degli inviati e dei re)].
Quando Maometto, ancora ragazzo, si recò in Siria con una carovana di mercanti, insieme allo zio Abu Talib passarono nei pressi di una cella dove viveva il monaco Bahira che riconobbe il profeta da certi segni della natura. Fermatosi a conversare con lui il monaco ebbe la certezza della sua missione quando riconobbe il segno della profezia sul corpo del giovane Maometto.
Fuori dall’Arabia, la tradizione passò in Mesopotamia e in Siria da cui, per il tramite delle relazioni con l’impero bizantino, giunse al mondo cristiano. Fu appunto nella versione siriana che il monaco Bahira diventò Sargis, esplicitando nel nome la propensione eretica del mentore e dell’allievo, il futuro profeta dell’islam (Sergio era uno dei capi dell’eresia Pauliciana, spesso associata al manicheismo e, conseguentemente, ai catari).
La tradizione divenne definitivamente leggenda passando nell’Occidente cristiano. Il teologo siriano Giovanni Damasceno (m. 749), che nel De haeresibus liber pose le basi della futura concezione di Maometto, raffigurava il personaggio del mentore come un eremita cristiano votato all’eresia ma nel contesto del superamento dell’idolatria preislamica.
Giovanni Damasceno così parla del profeta dell'Islam: «è sorto fra di loro un profeta di nome di Mamed, che fondò la propria setta dopo avere conosciuto i libri del Vecchio e quelli del Nuovo Testamento e avendo intrattenuto conversazioni con un certo monaco Ariano».
Per approfondire l’argomento
Bisognerebbe leggere Alessandro D'Ancona, il grande filologo ottocentesco, e il suo saggio sulla leggenda di Maometto in Occidente, per capire la scelta di Dante. Perché il problema è sempre quello dei semicolti. Si dà per scontato di avere cultura a sufficienza, invece non si sa quello che si dovrebbe sapere. E in questo caso, quello che non si conosce è proprio la cultura di Dante. Sennò perché metterebbe Maometto nell'inferno e il Saladino tra gli Spiriti Magni? Infatti, Dante lo colloca nel Limbo, insieme ad Aristotele, Socrate, Platone, tra i personaggi virtuosi dell'antichità che non sono in paradiso solo perché non hanno conosciuto Cristo.
Le comunità siriache hanno tramandato oralmente la storia del monaco Bahīra sin dall'VIII secolo. La storia orale ha subito variazioni nel tempo ed è stata tradotta in varie lingue guadagnando popolarità come strumento apologetico. Su Jstor si può trovare il saggio di Meriem Dhouib, Maometto "profeta de li saraxini" e poi si può sempre ricorre al classico di D'Ancona, La leggenda di Maometto in Occidente. Dhouib presenta una panoramica dei principali eventi storici e motivi religiosi della storia. Alessandro D’Ancona ricostruisce con fonti e testi ogni particolare della leggenda di Maometto in Occidente, ossia il modo in cui si è diffusa la leggenda di Maometto nella cristianità occidentale fin dalla sua prima descrizione nel contesto patristico orientale. Entrambi lavorano sulle fonti, ricostruiscono una tradizione sulla base delle testimonianze che ci giungono da un passato molto antico secondo un metodo lavoro scientifico che è ben diverso dalle narrazioni approssimative e dai giudizi di pancia che abbiamo visto in questo recente dibattito.
Forse serve conoscerlo, Dante, prima di commentarlo. Se poi vogliamo aggiungere ulteriore spessore alla questione ecco due studi, gentilmente indicati da Francesco Barone: Krisztina Szilágyi, Muhammad and the Monk: The Making of the Christian Bahira Legend; Barbara Roggema, The Legend of Sergius Bahira.
E chi lo avrebbe mai detto che ci saremmo trovati di fronte a una visione dantesca così diversa da quella che avevamo sempre immaginato? Il fatto è che quel periodo che noi chiamiamo medioevo è un paese solo apparentemente simile al nostro ma, in realtà, è un paese straniero, che ai moderni conviene percorrere con prudenza e curiosità.
Bibliografia minima
- A. D’Ancona, La leggenda di Maometto in Occidente, nuova edizione a cura di A. Borruso, Bologna, Salerno Editrice, Roma, 1994.
- M. Dhouib, Maometto «profeta de li saraxini», in Italica, 87 (2010), pp. 533-553 (disponibile su Jstor consultato il 28 maggio 2024).
- K. Szilágyi, Muhammad and the Monk: The making of the Christian Baḥīrā Legend, in Jerusalem Studies in Arabic and Islam, 34 (2008), pp. 169–214.
- B. Roggema, The legend of Sergius Bahira: eastern Christian apologetics and apocalyptic in response to Islam, Boston, Brill, 2009. Ampi stralci su Google books.