di Raffaele Guazzone

Il cavallo del principe nero
ha fatto la cacca sul sentiero,
e i soldati dell’armata
tutti quanti l’han pestata.
Dice un soldato – porca miseria
la guerra è proprio una roba seria!
Risponde un altro – miseria porca
la guerra è proprio una roba sporca…

Antico adagio popolare

 

1Fig.1: Bernie Sanders alla cerimonia di insediamento del presidente Biden. FonteIo me l’immagino lo storico che fra 150 anni cercherà di ricostruire la cerimonia dell’insediamento di Biden, e si arrovellerà cercando di capire il ruolo di Bernie Sanders in quel contesto, e come mai ci siano in rete più informazioni sui suoi buffi guanti che sull’evento in sé: è bastata una foto d’agenzia ripresa da vari utenti di Twitter per scatenare la creatività e l’ironia del web, che hanno piazzato il senatore del Vermont nei più sperduti angoli del globo e della storia.  

  È lui il primo a scherzarci, ma intanto stampa felpe e magliette con la sua effigie per finanziare centinaia di pasti per anziani non autosufficienti attraverso il progetto Meels on the Wheels: al momento in cui sto scrivendo la cifra si aggira attorno ai due milioni di dollari.

 

 

Se è chiar2Fig.2: Bernie Sanders in pausa pranzo con gli operai più celebri della storia dell’edilizia. Fonteo che non possiamo fare storia con i meme, ma che dovremmo fare al limite la storia dei meme, a partire dalla questione della loro conservazione in un mondo come quello della rete, dove l’obsolescenza è dietro l’angolo, è evidente però che queste immagini dicono tanto sul nostro tempo, come spiega ad esempio Antonio Brusa analizzando il caso dei meme sul povero Colombo, che negli USA riesce a farsi strumentalizzare dall’alt-right come dai liberal.

 

Roba da museo

Dobbiamo insomma lasciarci alle spalle l’idea che un meme sia solo un’immagine virale con una battuta di spirito, una specie di vignetta 2.0 della Settimana enigmistica, magari imparando dal mondo anglosassone, dove l’attenzione all’oggetto invece è completamente diversa: inglesi, americani ed australiani li analizzano come autentici prodotti culturali, e c’è anche chi, come il ricercatore Arran Rees, si pone il problema della loro conservazione e suggerisce di approntare un museo). Io già me li vedo gli studenti del futuro, annoiati dalla gita al museo di storia del XXI secolo, che si ringalluzziscono nella sala dei meme e si danno le gomitate come abbia fatto qualunque alunno che abbia visitato il lupanare di Pompei. Però la questione è tutt’altro che banale; chiunque abbia iniziato a pubblicare contenuti sul web prima dei social sa bene a quante piattaforme abbiamo dato l’addio causa rapida obsolescenza: GeoCities in un decennio è passato da terzo sito più visitato in rete alla chiusura, e con lui se ne sono andate pagine e pagine di materiali creati dagli utenti. Spero di sbagliarmi, ma l’ottimismo con cui archiviamo dati nei nostri cloud assomiglia un po’ troppo alla fiducia con cui molti audiofili hanno soppiantato la propria collezione di vinili con i compact-disc.

 

Fare didattica coi meme

3Fig.3: Alessandro Lolli, La guerra dei meme. Fonte A chiunque volesse approfondire la questione dal punto di vista storico e sociologico, non posso che consigliare la lettura del saggio di Alessandro Lolli, La guerra dei meme.

Una cosa che posso dire per certo però, dal mio punto di vista di insegnante, è che con i meme possiamo fare didattica della storia. Parlo per esperienza personale: a cavallo delle vacanze di Natale, anche per vincere l’entropia della didattica a distanza, ho proposto un laboratorio sul tema ai miei ragazzi di terza superiore, i cui esiti potete leggere qui.

Analizzando più a freddo la questione, anche alla luce degli esiti del lavoro in classe, ci sono un paio di punti su cui mi pare sensato riflettere. Tutti i miei ragazzi sanno cos’è un meme, ma solo il 10% di loro ne produce con qualche creatività. Il più delle volte per loro si tratta semplicemente di scrivere su un’immagine usando Instagram. Vero, esistono diverse applicazioni intuitive che permettono di svolgere in maniera rapida le operazioni principali: io consiglio il software libero imgflip, il popolarissimo Meme Generator oppure giphy per produrre gif animate. Resta il fatto che non tutti i ragazzi hanno competenze di fotoritocco necessarie per produrre artefatti più elaborati, e soprattutto non tutti sono in grado di produrre una battuta che sia sintetica, precisa, divertente e originale. D’altronde la ripetitività schematica del meme ha la sua forza nella variazione, più che nella creazione originale.

4Fig.4: Mr. Burns che cerca nuovi amici fra gli studenti. Fonte Come spiega bene il saggio di Lolli (pagg. 83-97), gli internet meme nascono in contesti molto chiusi, caratterizzati dall’anonimato e da comunità con un’identità forte, i cui utenti si scambiano 

immagini su forum o bacheche evidentemente riservate ad adulti, sia per i contenuti che per i temi; solo in un secondo tempo, grazie anche al ruolo dei social network, il gioco viene allargato ad una platea molto più ampia, a tal punto che i meme si avviano a soppiantare le emoticons come strumento di reazione ad una conversazione online.

 In sintesi, il creatore-tipo di meme appartiene alla generazione dei Millennials, è cioè a cavallo tra i 30 e i 40 anni: senza dubbio non l’età media del corpo docente italiano, in ogni caso più vicina agli insegnanti che agli studenti. Portare i meme a scuola quindi non è “parlare giovanilese”, cercare di accalappiare l’attenzione dei ragazzi con qualcosa che appartiene al loro mondo per far filtrare i contenuti del programma. Semmai, è utilizzare uno strumento contemporaneo e condiviso da entrambi per riorganizzare le conoscenze in una dinamica di laboratorio. 

 

Qualche esperienza in rete

Per capire lo stato delle cose nel nostro paese basta fare un piccolo esperimento: se si inseriscono le parole meme e didattica in Google, troviamo decine e decine di pagine che raccolgono immagini dove si scherza sulla scuola. Anzi, il suggeritore del motore di ricerca ti sussurra all’orecchio: “stavi forse cercando meme didattica a distanza?”. Clicco, e scorro gli stessi meme che girano da quasi un anno su qualsiasi gruppo WhatsApp popolato da insegnanti, evidentemente creati da colleghi o da genitori frustrati dalla DaD, alcuni divertenti, altri meno.

5Fig.5: Lo stress da DaD. Fonte Bisogna giocare per un po’ con la rotella del mouse per incrociare il lavoro di alcuni colleghi che, seguendo la stessa intuizione che ho avuto io, hanno creato situazioni laboratoriali che prevedessero un meme come artefatto finale.

La collega Maria Pellegrino, che lavora all’ IS “A. Venturi” di Modena (un liceo artistico che include anche un percorso professionale di grafica), ha chiesto ai ragazzi di esprimere le proprie emozioni contrastanti derivate dalla didattica a distanza e dal confinamento a cui siamo stati sottoposti tra marzo e aprile dell’anno scorso usando proprio i meme come strumento per raccontarsi: il progetto si chiama Un meme per il Coronavirus e ha coinvolto classi del primo e secondo anno; i ragazzi hanno sfruttato noti loghi pubblicitari per creare slogan che giocando con le parole e con i marchi utilizzati invitassero a rimanere a casa, e più in generale ad adottare comportamenti socialmente corretti. In un colpo solo, lavoro sull’immagine, sulla lingua, sulle competenze di cittadinanza, sulle competenze digitali. E alcuni dei risultati sono decisamente efficaci, basta spulciare le cartelle di Google Drive che la docente ha condiviso in rete.

Pure gli allievi dell’indirizzo linguistico del Liceo Poerio di Foggia si sono dati da fare: la collega Clotilde Moro, approfittando della distanza, ha svolto alcune lezioni di Fisica in inglese secondo la metodologia CLIL, ha illustrato la tecnica di base per concepire e realizzare un meme e poi ha dato carta bianca ai ragazzi. I risultati, immagini dove si ironizza su questioni scientifiche, sono stati raccolti dagli alunni su una bacheca padlet che si può visualizzare qui; ai ragazzi infine è stato chiesto di argomentare – sempre in lingua inglese – spiegando e contestualizzando i contenuti del loro lavoro.

Anche se rimangono anonime, sono sicuro che ci sono centinaia di altre esperienze positive; purtroppo però ai docenti italiani manca un po’ la capacità di documentare e condividere il lavoro svolto, facendo rete. So per certo che molti colleghi hanno cercato di interpretare con creatività la contingenza – per lo meno quelli che hanno capito che didattica a distanza e didattica in presenza non sono intercambiabili, ma sono due cose diverse, e che se per il secondo approccio abbiamo strumenti rodati, per il primo c’è ancora tanto da inventare. Questo bisogno di sperimentare probabilmente è l’unico aspetto positivo dei tempi terribili che stiamo vivendo: dovremmo aggrapparci alla nostra fantasia come a un salvagente, trasformare la frustrazione in creatività.

 

Cosa si dice oltre oceano

C’è anche da dire che il lavoro meritorio dei colleghi citati, spesso è frutto di intuizione e di una buona dose di improvvisazione: gli insegnanti hanno pochi strumenti a disposizione per organizzare questo genere di attività, poco tempo per progettare il lavoro, una formazione inadeguata e una resistenza al cambiamento quasi genetica. Anche così si spiega quell’entropia che attira pure il migliore di noi verso la sedia della cattedra, verso la formula magica “aprite il libro, io leggo e voi sottolineate” con cui la maggior parte di quelli che sono stati i nostri insegnanti (specie i peggiori di loro) risolvevano ogni questione didattica.

Torniamo però all’esperimento di partenza, chiediamo a Google cosa dice il mondo anglosassone a proposito dello stesso tema. Quello che colpisce subito digitando meme e education, è che – tolte un paio di raccolte di immagini - gli altri articoli sono suggerimenti su come usare i meme a scuola: E, fatto da sottolineare, tutti gli interventi non sono generati come nel nostro caso dalla contingenza della didattica a distanza, ma fanno parte di una riflessione organica e ben radicata.

Sharon Serano, un’insegnante di matematica della Washington Townhall High School, ha introdotto da anni nella sua scuola i meme come strumento per promuovere una comunicazione fra studenti e docenti all’insegna della chiarezza e del senso dell’umorismo: nel suo blog riflette su questioni importanti, ad esempio sull’appropriatezza dell’uso di certe immagini piuttosto che altre, sulla scelta dello strumento per realizzare e condividere il lavoro. La collega americana intuisce che ci siano mille applicazioni didattiche per questo genere di attività, anche non strettamente connesse a una disciplina: creare regole per la classe, arricchire il vocabolario, sintetizzare passaggi cruciali di un’opera letteraria, o mettere in evidenza fatti storici significativi.

6Fig.6: Come spoilerare il finale della saga di Harry Potter con un meme. Fonte Mentre noi siamo ancora qui a chiederci se la storia vada spiegata sui manuali e basta, o se vale la pena di tentare un approccio diverso ed inserire qualche strumento giocoso nella nostra cassetta degli attrezzi, Joshua D. Brown, che insegna all’Università della Florida, si chiede come mai nei corsi del dipartimento di Farmacia non venga chiesto agli studenti di lavorare coi meme: in fondo chi partecipa al suo corso (Pharmacoepidemiology and Drug Safety) deve acquisire la competenza fondamentale di saper comunicare in maniera immediata contenuti complessi a chi non ha particolari conoscenze scientifiche in materia di farmaci, come la media dei pazienti che si rivolgono ad un operatore sanitario. Pertanto propone di integrare il tradizionale saggio di fine corso con almeno due meme che sostengano le argomentazioni del candidato.

  

Strumenti e risorse

Se permanesse qualche ulteriore dubbio, basta andare a scorrere le pagine che la Library of Congress dedica ai meme: c’è un’intera sezione del più importante istituto dedicato alla conservazione del patrimonio culturale americano dedicata alla “web culture”, dove si spiega esplicitamente che raccogliere sistematicamente e conservare le creazioni collettive che si trovano in rete è doveroso, perché le forme e pratiche di produzione culturale contemporanee vanno documentate alla stessa stregua delle tradizioni dei nativi, o dell’impatto dei migranti europei nelle metropoli d’inizio ‘900. In una parola: i meme sono (saranno) storia.

La cosa più simile ad un museo dei meme, come evocato all’inizio dell’articolo, è il sito Knowyourmeme, forse il più grande catalogo online di immagini virali. È uno strumento prezioso per varie ragioni: funzionando come un archivio, è possibile risalire alla prima versione di un meme, e ricostruire l’albero genealogico delle sue filiazioni. Per ciascuna immagine gli utenti segnalano la provenienza, la storia, le varianti. Nessun criterio filologico, si badi bene, ma sono comunque informazioni piuttosto utili anche per analizzare con gli studenti il contesto in cui nasce uno scatto virale e le modalità della sua propagazione. La questione non è banale, perché risalire alla fonte primaria di queste immagini è un’attività complicatissima.

7Fig.7: Saccheggiatore ready made. FonteUn altro aspetto, di particolare interesse per chi voglia far cimentare i ragazzi con un’attività di laboratorio, è che su Knowyourmeme c’è una mole impressionante di materiali già pronti per essere riutilizzati: sfondi, templates, gif animate modificabili rapidamente. Cerchi Sanders imbacuccato sulla seggiola? C’è. Ti serve invece un saccheggiatore del Campidoglio? Eccolo qui, già pronto per essere appiccicato sul tuo sfondo preferito, in attesa di una battuta folgorante.

  

Potrei fare decine di esempi di siti che offrono repertori di immagini e strumenti per costruire meme, oltre a quelli già citati finora, ma c’è da dire che nessuno di essi è stato realizzato con un taglio didattico. Chiudo quindi questa panoramica assegnando un trofeo speciale all’opera meritoria di tre volontari della Biblioteca Nazionale dei Paesi Bassi, che hanno realizzato un tool stupendo: Medieval Memes. Sul sito è presente una collezione considerevole di immagini, che rimanda all’archivio dei codici miniati della biblioteca, attraverso il quale si possono fare ricerche più raffinate. Se invece ci si accontenta della selezione proposta, cliccando su ciascuna illustrazione possiamo accedere direttamente allo strumento per personalizzarla, ma la pagina offre anche altri contenuti, che in maniera semplice inquadrano l’immagine dal punto di vista storico, analizzano i dettagli che la compongono, descrivono la fonte da cui è tratta. Completa il pacchetto una clip video, dove con linguaggio accessibile (per chi conosce l’inglese o il neerlandese, ovviamente) viene ricapitolato tutto ciò che c’è da sapere.

 8Fig.8: Crea il tuo meme. FonteIn pochi passi il meme è pronto per essere condiviso sui social, mentre l’utente ha fatto qualcosa di più che realizzare una barzelletta digitale. Ha fatto vivere un archivio, ha ricostruito un contesto, ha aggiunto il suo contributo ad un dibattito che ha a che fare con l’immaginario pubblico, anche se nella sua mente l’operazione non è molto diversa da quello che fanno i miei ragazzi scarabocchiando le foto del loro libro di storia: alla fine, anche i più svogliati almeno le didascalie le leggono.

Se potessi immaginare un paese ideale dove le scuole lavorano in sinergia con le biblioteche e con chi progetta software, chiederei alla biblioteca di digitalizzare tutte le immagini che trova, all’ingegnere informatico di inventare un programma per ritoccarle rapidamente, ai miei alunni di scrivere i contenuti per spiegare agli utenti la storia nascosta dietro ogni miniatura. Non sarebbe bellissimo?

 9Fig.9: All you need. Fonte

Biblio-sitografia

- Memes should be archived in a museum, 30 marzo 2020 nella pagina delle notizie del sito dell’Università di Leeds, https://ahc.leeds.ac.uk/fine-art/news/article/1516/memes-should-be-archived-in-a-museum.

- J. D. Brown, What Do You Meme, Professor? An Experiment Using “Memes” in Pharmacy Education, 29 ottobre 2020, in MDPI, https://www.mdpi.com/2226-4787/8/4/202/pdf.

- A. Brusa, 12 ottobre 2020. Columbus memes, 12 ottobre 2020 su Historia Ludens, http://www.historialudens.it/diario-di-bordo/379-columbusmemes.html.

- R. Guazzone, MEME-NTO MORI. Ovvero come sfottere papi e imperatori al tempo dei social (e leggere attentamente il manuale), 20 gennaio 2021 su Historia Ludens, http://www.historialudens.it/didattica-della-storia/399-memento-mori-ovvero-come-sfottere-papi-e-imperatori-al-tempo-dei-social-e-leggere-attentamente-il-manuale.html.

- R. H. Levey, Sanders Camp Turns Meme into Meals (on Wheels), 26 gennaio 2021 su TheNonProfitTimes, https://www.thenonprofittimes.com/news/sanders-camp-turns-meme-into-meals-on-wheels/.

- A. Lolli, La guerra dei meme – Fenomenologia di uno scherzo infinito, Effequ, Orbetello 2017.

- C. Moro, La didattica con i meme: Fisica e Clil, presentazione del progetto didattico pubblicata sul sito del Liceo Poerio di Foggia il 30 giugno 2020, https://www.liceopoerio.it/la-didattica-con-i-meme-fisica-e-clil/.

- M. Pellegrino, Un meme per il coronavirus, presentazione del progetto didattico pubblicata sul sito dell’IS Venturi di Modena, https://www.isarteventuri.edu.it/pvw/app/MOIA0001/pvw_sito.php?sede_codice=MOIA0001&page=2680190.

- S. Serrano, 5 Ways to Use Memes With Students, 21 gennaio 2021 in International Society for Technology in Education, https://www.iste.org/explore/classroom/5-ways-use-memes-students.

- A. Rees, Are memes worth preserving?, 17 gennaio 2020 sul sito dell’ACMI, https://www.acmi.net.au/stories-and-ideas/are-memes-worth-preserving/.

- M. Wright, Smitten with Bernie!, articolo pubblicato il 20 gennaio 2021 sulle pagine online del Daily Mail, https://www.dailymail.co.uk/news/article-9168813/Bernies-Vermont-dadcore-fashion-steals-inauguration.html#i-177a07672d34d8c9.

 

Applicazioni e collezioni di immagini

https://imgflip.com/
https://memegenerator.net/
https://giphy.com/
https://www.reddit.com/
https://www.4chan.org/
https://www.loc.gov/collections/web-cultures-web-archive/
https://knowyourmeme.com/
https://www.medievalmemes.org/
https://manuscripts.kb.nl/

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