di Antonio Brusa
Sono passati dieci anni dall’uscita delle Indicazioni nazionali per la scuola di base. Lo ricordano su FB Regi Palermo e Giorgio Cavadi. Scrivono con ragione che sono dei buoni programmi. Come loro, tutti speriamo che si conservino, anche in futuro, i loro aspetti positivi. È prevedibile, infatti, che il nuovo governo si dia da fare per cambiarli. Secondo la legge Moratti, i programmi vanno considerati sperimentali e andrebbero soggetti a revisione ogni tre anni.
Come giustamente ricordano Regi e Giorgio, le Indicazioni nazionali del 2012 non sono altro che la continuazione di quelle del 2007. Lo posso confermare, perché ho fatto parte delle due Commissioni. Servirà ricordare gli aspetti fondamentali di quei testi. Nel caso dovessero cambiare, si saprà che cosa si perde o si guadagna, a seconda dei punti di vista. Eccoli in estrema sintesi:
Storia cognitiva/storia identitaria
Il programma Moratti, del 2004, era un programma identitario. La storia, vi si diceva, doveva forgiare l’identità giudaico cristiana nei giovani italiani. Al contrario, il programma del 2007 scriveva che lo scopo del programma di storia è cognitivo: gli allievi studiano la storia per imparare a ragionare storicamente.
Storia/memoria
All’indomani della proclamazione della Giornata della Memoria, il Parlamento italiano si è scatenato in una profluvie di proposte. Mentre si lavorava (nel 2007), chiesi quante fossero le giornate in predicato di essere approvate. Una cinquantina, ci risposero. Da allora ad oggi sono aumentate. Praticamente ogni giorno si commemora qualcosa e vi sono giorni con doppia commemorazione. Questo governo, dal canto suo, si è immediatamente segnalato per la sua attenzione a queste ricorrenze. Il testo del 2007 è molto chiaro ed è ripreso per cenni nel testo successivo. Vi si dice che, in questo XXI secolo, tutti i governi si stanno dando da fare per istituire giornate memoriali, ma che lo scopo dell’insegnamento storico è quello di studiare, non di commemorare. Semmai, potremmo dire, si lavora in classe per l’educazione della memoria (capire perché la politica ci tiene tanto, in che modo realizza i suoi obiettivi memoriali, qual è il rapporto fra memoria e storia ecc.) e non per l’educazione alla memoria, come scrive invariabilmente chi decide che cosa dobbiamo ricordare e invita gli allievi a “educarsi a quella memoria che gli sta a cuore”.
Paesaggio identitario/paesaggio fonte
Il testo di Moratti parlava continuamente di un paesaggio contenitore delle memorie identitarie italiane. Il testo del 2012 dice che il paesaggio è una fonte storica – un patrimonio storico - che, insieme alle altre, concorre alla formazione della coscienza storica.
Coscienza storica
Il testo del 2012 introduce il concetto di “coscienza storica”. Proviene dalla riflessione didattica tedesca, forse la più avanzata al mondo dal punto di vista teorico. La coscienza storica è il frutto della rielaborazione personale delle conoscenze storiograficamente consolidate con quelle di varia provenienza (anche sociale, memoriale ecc.), una rielaborazione che permette al soggetto di collegare passato, presente e futuro. È un concetto molto potente, che permette al docente di usare la storia presente, la storia pubblica e i portati della memoria, confrontandoli con i portati della ricerca. Coscienza storica è un termine storiografico, forse meno aleatorio di tante mete educative che, nel corso del tempo, sono state assegnate al lavoro del docente.
Programma in continuità
È l’aspetto del programma che ha suscitato forse più problemi, soprattutto in molti settori della primaria, che lamentano la “mancanza di storia contemporanea” nel loro settore scolare. Detto che proprio il concetto di coscienza storica, di patrimonio storico e di “laboratorio del tempo presente”, permettono di aprire finestre sugli eventi (cosa che immagino tutti abbiano fatto a proposito della guerra ucraino-russa), occorre ricordare le ragioni di questa scelta. A monte, c’è la riforma immaginata da De Mauro, che prevedeva che la storia generale si insegnasse una sola volta e bene, nei cinque anni costituiti dalla fusione della media col biennio (programma allora contestatissimo, ma poi fatto proprio dalla Sisem, l’associazione degli storici modernisti). A valle, per così dire, c’è l’infame sottrazione di ore al programma di storia (realizzata da Gelmini), che faceva sì che non si potesse chiedere a un docente di primaria, al quale avevano tolto il modulo di storia e scienze sociali (9 ore la settimana), di svolgere lo stesso programma nelle risicate due ore che gli rimanevano (quando non una, a causa di alcune “brillanti” programmazioni di educazione civica). E nemmeno era credibile che un docente di secondaria di primo grado, che perdeva quasi un terzo o un quarto (a seconda delle programmazioni) del suo monte ore, di far finta di niente e ricominciare dalla preistoria. Di necessità virtù: questo è un programma in continuità. In positivo, era quello che chiedevano allora tutti i comprensivi. La sua difficoltà è nel mettere insieme docenti di primaria e di secondaria, non nel programma (su questo posso ricordare la sperimentazione di LabSto21, che prosegue e si allarga da scuola a scuola: ma non è l’unica). In Commissione non posi questioni di principio, ma tecniche: volete un programma completo sia nelle medie, sia nelle superiori? Restituite al docente di storia le sue ore. Se no, che si spalmi il programma in cinque anni. Ovviamente, si sono ben guardati dal ridare le ore.
Programma bloccato/programma libero
Per Costituzione (ricordate la Bassanini del 1999?), il programma è progettato localmente. È di responsabilità del docente. Il governo può mettere solo delle regole di garanzia, giustamente direi: occorre evitare sciocchezze, esagerazioni, un insegnamento che violi la Costituzione (per la quale è libero l’insegnamento delle scienze e delle arti, non quello delle idee personali). Solo che, fatta la legge, si trova l’inganno. E stavolta era lo stesso governo l’autore dell’imbroglio. Il programma Moratti, infatti, diceva che l’insegnante è libero (fa piani personalizzati, tiene conto della realtà della classe e fa tante altre meraviglie), poi prescriveva come obbligatori una quindicina di argomenti l’anno (lo stesso trucco fu usato da Gelmini, per il programma delle superiori). Programma bloccato, libertà sparita. Per quanto riguarda il programma del 2012, si legga bene il testo. Una sola volta si usa l’imperativo, ed è quello il momento in cui si indicano i contenuti fondamentali: il processo di ominazione, la rivoluzione neolitica, le rivoluzioni del secondo millennio, la globalizzazione attuale e la storia ambientale. Questi sono i paletti del programma, all’interno dei quali l’insegnante sistema la storia umana, della quale vengono forniti solo esempi (e lo si dice: sono esempi, non prescrizioni). Quindi, il programma non è eccessivamente vincolato. Un docente di storia che dice, oggi: “non sono riuscito a finire il programma” lo può dire solo perché ha sbagliato il progetto, non perché il governo cattivo gli ha messo le catene. (E direi di approfittarne, fino a che dura).
L’obiezione ovvia è: ma perché non scriverlo a stampatello? Chi segue le vicende scolastiche, e soprattutto quelle dei programmi di storia, ne ha amara consapevolezza. Tutti stanno a mettere becco nel programma di storia (mai qualcuno che andasse a vedere quello di matematica!). Soprattutto in Parlamento. Ricordo, nel 2008, le telefonate di Mauro Ceruti (che guidava la Commissione), anche di notte (“è passato l’onorevole x, ha detto che se non mettete questo argomento fa il casino”), e tu a cambiare e ricambiare. Per non parlare della stampa. Così ho inventato quel contenitore di “esempi”, che preveniva, come ha fatto, le obiezioni.
Ma si deve osservare che questo è successo solo con i governi di centro sinistra. Con quelli di destra, la commissione fa un programma, e quello è. Se fosse un buon programma, non ci vedrei nulla di male. Il guaio è che quello di Moratti non lo era, e quello di Gelmini (delle superiori) non lo è.
Il rapporto con le associazioni storiche
Stendendo il programma del 2007, aprimmo il confronto con le associazioni storiche (mancarono gli antichisti, dei quali non riuscii a trovare un referente). Ma medievisti, modernisti e contemporaneisti ebbero le bozze del programma, fecero le loro osservazioni che vennero generalmente accolte. Questo credo abbia dato una “sostanza” al programma che qualsiasi studioso può apprezzare. Non si riuscì a fare per il programma del 2012, forse per i tempi ristretti. Ma spero vivamente che, se si deciderà di por mano a un nuovo programma, si tenga presente che gli storici sono organizzati, possono dire la loro e che esiste ormai un’associazione di Didattica della Storia che, per quanto giovanissima, sta già raccogliendo insegnanti di storia e ricercatori universitari intorno alla questione didattica e, conseguentemente, alla questione del curricolo. Un’associazione di storici e insegnanti può realizzare quello che, in passato si è potuto fare raramente (lo si fece solo in occasione della riforma De Mauro, grazie al Cidi e all’Insmli): discutere fra insegnanti “mentre” si scrive il programma e, cioè: attrezzarsi criticamente per capire e valutare le proposte ministeriali ed elaborare delle proposte proprie, didatticamente concrete e supportate dalla ricerca.