Termini Imerese, 23 febbraio

La battaglia si svolse nella pianura sotto l’acropoli di Himera. La coalizione di himeresi, agrigentini e siracusani, una volta tanto uniti, aveva di fronte i punici, che venivano da Solunto, Palermo e Cartagine ed erano condotti dal generale Amilcare. Vinsero i greci. Era lo stesso anno di Maratona. Una coincidenza troppo ghiotta per non approfittarne, come fece Pindaro, con un peana alla potenza dei greci, che battevano tutti, nel Mediterraneo occidentale come in quello orientale. E gli ateniesi, che ci sapevano fare in questo genere di cose, perfezionarono la coincidenza, cambiando anche la data, in modo che le due vittorie accadessero proprio nella stessa giornata.

Fig. 1 Panorama dall’acropoli. Le strade, la ferrovia, la foce del fiume, i cantieri, e il tempio della Vittoria

 

Guardo il panorama dall’acropoli. La pianura è attraversata dalla statale, dall’autostrada e da due ferrovie, quella dismessa e quella nuova. Sopra il campo di battaglia si elevano i resti dell’insediamento industriale Fiat. Poi, oltre il fiume Torto, vedo le ciminiere della centrale e poi ancora Termini Imerese. Verso est, l’Himera, il Fiume Grande, ridotto a un canale di cemento, sfocia nel Tirreno tra lingue di sabbia, dove le barche pescano la neonata. Le sue sponde sono ingombre di capannoni, cantieri, campi coltivati e no. Devo fare uno sforzo. Cancellare tutto e immaginare la città, e i due eserciti che si azzuffarono, sotto gli occhi delle donne e dei vecchi assiepati sulle mura, proprio come si legge nell’Iliade.

Fig.2 Un orientale si prostra in onore di qualcuno. Perché questa statuetta a Himera? Forse è un segno di sfottò verso fenici o siriani, con i quali i greci non si pigliavano molto?

 

Questo è paesaggio storico. Ne abbiamo parlato ieri, con gli insegnanti di Palermo. Nell’accezione comune, esso è costituito dai resti visibili del passato. Più ce ne sono – si dice - più storico è il paesaggio. E invece no. Il paesaggio storico non si vede, perché il passato non esiste più. E’ solo una coordinata, quella del tempo, che io aggiungo allo spazio che scorre sotto i miei occhi. Perciò, abbiamo concluso con quelle brave docenti, il paesaggio storico dipende da quello che uno sa. E io, che ne so quasi niente, dipendo dall’archeologo che mi sta spiegando tutto, col suo bell’accento siciliano.

I resti visibili, qui nella piana di Himera, sono pochi. Giusto il tempio della Vittoria, il cui rettangolo, con le basi delle colonne, si disegna in basso, proprio di fronte a me. Gli himeresi lo pretesero dai punici come pagamento della sconfitta. Stupidi, commenta l’archeologo. Lui è di Himera, ha tenuto a dirci subito. E si vede. Per lui i punici sono ancora là, cattivi, delinquenti e nemici. Li dovevano spazzare via. Non lo fecero, e quelli si vendicarono dopo settant’anni. Dal mare giunse una flotta imponente con centomila soldati, come ci informano le fonti (greche). Li comandava Annibale (certo, ‘sti cartaginesi non erano molto originali con i nomi). Che potevano fare gli himeresi? Fu un massacro. I punici entrarono in città e la distrussero. Era il 409. Da allora il luogo fu abbandonato. I greci non tornarono più, i romani ci costruirono un paio di ville, e nel medioevo vi si stabilì qualche villaggio. Himera, la colonia mista di gente di Zancle (Messina) e della Calcide, chiuse in questo modo la sua storia ricca e gloriosa, durata due secoli e mezzo.

Fig. 3 Una piacevole sorpresa nel museo. Scilla sugli scogli, con una coda di pesce crestata

 

I resti di Himera, come quelli di Pompei, fotografano l’evento tragico della sua morte. I cadaveri furono lasciati per strada. Un uomo, col suo mulo e il cane, fu ucciso sulla soglia di casa, e là fu ritrovato duemila e quattrocento anni dopo. Le necropoli ci raccontano le due battaglie. Quella del 480 è composta da una decina di fosse comuni (quelle scoperte fino ad ora). I soldati sono deposti in ordine. Hanno i segni dei colpi che li uccisero. Della disfatta del 409 resta solo una fossa comune. Quella che si fece in tempo a scavare. Gli altri soldati vennero abbandonati dove morirono.


La battaglia di Himera; documentario tratto dal programma di Alberto Angela "Ulisse, il piacere della scoperta"

Voltiamo le spalle alla pianura. Ora guardiamo la cima del colle. E’ un pianoro vasto che lascia intuire la popolosità dell’insediamento. Comprendeva un’area sacra e le strade, ai lati delle quali si aprivano, ben ordinate, le abitazioni degli himeresi. Non affiora quasi nulla della vecchia città. Ancora una volta, devo lavorare di immaginazione. Il tempio grande, i templi più piccoli. Le strade e le case.

L’erba ha coperto tutto. Mancano i soldi, ci dice l’archeologo. Ogni tanto vengono dei colleghi di Berna a scavare. In futuro ci saranno solo archeologi svizzeri e svedesi, commenta. Noi, italiani, per contro, compensiamo con l’incessante lavoro dei tombaroli, le cui tracce sono ben visibili in questa distesa verde. Probabilmente, come tanti altri abitanti della zona, non sanno nulla di Pindaro e di Annibale. Quindi, non vedono il paesaggio storico. Ne conoscono bene quello che per loro è essenziale: che sottoterra puoi trovare qualcosa che ti farà svoltare la vita.

Mi dico che, per compassione, la natura siciliana fa il possibile per ingentilire l’ambiente, con distese di fiori gialli e di gigliacee dalle infiorescenze delicate, bianche e lilla.


Fig. 4 Vegetazione spontanea sul sito dell’Acropoli


L’antiquario
Siamo arrivati qui da Palermo percorrendo la vecchia statale, l’antica via Valeria. Ci siamo orientati un po’ a fiuto, perché non ci sono cartelli. A un certo punto, abbiamo visto un bar “Himera”. Sarà qui. Tornando indietro e cercando con attenzione, ecco un piccolo cartello, ben protetto dalle fronde. Ci inerpichiamo sul viottolo e, improvvisamente, sulla destra, l’Antiquario, o il Museo (come col tempo è diventato). Contrafforti di cemento, sovrastati da mura tipo bugnato. Sembra un rifugio bellico, è la nostra prima impressione.  Dentro è freddo (siamo d’inverno, ma ci hanno assicurato che d’estate è bollente). Freddo anche nell’architettura. Teche, metallo e vetro. Didascalie lunghe e illeggibili. In bella vista, la celebre Fiala: un piatto d’oro, finemente cesellato, di quasi un chilo. Rubata e poi riportata indietro. Poi una panoplia di monete e, le teche, una dopo l’altra. Qui i vasi, qui le statuette, qui gli acroteri, qui gli oggetti bronzei.


Figg. 5, 6, 7 Il museo/antiquario. Interni ed esterno

 

Aggirandomi nell’antiquario, non avevo fatto caso a una scultura frammentaria di terracotta. Questo è un capolavoro eccezionale, spiega la guida. E’ appena tornato dall’America. Sapeste quanto ci hanno costruito addosso. Era la star dell’esposizione, esclama. Tutto finito, penso. Ora è stata rimessa al suo posto, dove nessuno la nota. Torna a tacere.

Per restare più di dieci minuti in questo museo devi essere appassionato. La nostra guida lo è, e racconta, racconta. Noi, che siamo professori, e siamo appassionati, ascoltiamo, ascoltiamo. Mi chiedo quale sia la reazione di una scolaresca o del visitatore comune. Anzi, glielo chiedo: quanti visitatori avete? Mi risponde che un paio di anni fa, ebbero un picco, con più di diecimila visitatori. Normalmente sono la metà. Perché questa differenza? mi incuriosisco. Mi dice che allora fecero un sacco di attività. Sapete, chiedevamo le sedie al bar di sotto (noi annuiamo, è quello che abbiamo visto venendo qui) e allestivamo un piccolo uditorio di fortuna. Ma poi sono finiti i soldi, i volontari si sono stancati. Noto mentalmente che in tutta la mattinata sono entrati solo due visitatori. Pensiero maligno: vuoi vedere che i cinquemila visitatori sono come i centomila soldati punici delle fonti greche?

Chiedo se c’è un’aula didattica. No. Un catalogo. No. Quelli finiscono e bisogna rifarli. Ma c’è un progetto magnifico, si accende la nostra guida: prevede la valorizzazione di tutto il paesaggio. La stazione dismessa, la vecchia ferrovia, gli scavi e un museo dove, finalmente, possano trovare il loro giusto spazio le decine di migliaia di reperti, frutto degli scavi degli ultimi decenni, che ora sono chiusi a chiave in container all’aperto. Gelidi d’inverno e torridi d’estate, i reperti diventano così fragili che si rompono a toccarli. Un progetto magnifico, porterà sicuramente migliaia di visitatori. Ci sono i fondi europei. Certo, si spegne la guida, sappiamo come finiscono queste cose. Il rifugio bellico ci misero una quindicina di anni a farlo (fu inaugurato nel 1984). Per il museo nuovo, quanto ci vorrà? E lo faranno veramente?

Insomma, una triste fine, questa di Himera. Distrutta due volte. La prima dai cartaginesi, la seconda dalla nostra incuria e dalla nostra incapacità. Per questo, mi dico - ottimista fino alla morte -, è un esperienza toccante esplorare il paesaggio storico italiano. Da noi puoi vedere l’insieme delle vicissitudini che nel corso dei secoli hanno lentamente disgregato i resti del passato. Le vedi scorrere tutte e rapidamente, come in un time laps. Un’occasione didattica unica.

La visita ha preso tutta la mattinata. Ora di pranzo. Una piccola trattoria, vicino alla piccola stazione. Verdure di ogni genere, cotte come solo i siciliani sanno fare. E poi un pranzo che altrove sarebbe da matrimonio. Tutto ben fatto, tutto solo per noi, e con un prezzo onestissimo. Quando vogliamo, le cose le sappiamo curare.
https://www.facebook.com/pages/Parco-Archeologico-di-Himera/192136660918244
http://www.arkeomania.com/himera.html

Condividi

Diario di bordo

News

Biblioteca

Questo sito utilizza cookies tecnici e di terze parti per funzionalità quali la condivisione sui social network e/o la visualizzazione di media. Chiudendo questo banner, cliccando in un'area sottostante o accedendo ad un'altra pagina del sito, acconsenti all’uso dei cookie. Se non acconsenti all'utilizzo dei cookie di terze parti, alcune di queste funzionalità potrebbero essere non disponibili.