Il compito delle “tradizioni di saggezza”

Passatempo, 17 gennaio 2014

 

“Costruite due blocchi omogenei (“Oriente-Occidente”, “Islam-Crociati”, “Musulmani-Laici”, “Arabi-Americani”), scagliateli l’uno contro l’altro e otterrete senza alcun dubbio uno “scontro di civiltà”, secondo l’espressione ormai celebre di Huntington. Se dividete questi blocchi in una moltitudine di piccoli blocchi, come è in effetti la realtà, gli scontri saranno largamente ammortizzati”. “Inch’Allah”, concludeva  il commentatore di Oumma, all’indomani delle manifestazioni scoppiate nel mondo musulmano dopo la proiezione del film L’Innocenza dei musulmani, nel 2012. 

Quanto corrisponde alla realtà, questo pensiero del commentatore musulmano? Ce ne possiamo fare un’idea scorrendo i dati offerti da un altro sito Avaaz,  il cui scopo è quello di “fornire i numeri” dei fenomeni che occupano le prime pagine. Ve li riassumo, per andare alle conclusioni: parteciparono a quelle manifestazioni fra lo 0,0001 e lo 0,0007 del miliardo e settecento milioni di musulmani. Pochissimi. Infime minoranze, soprattutto se paragonate (eravamo nel 2012) alle manifestazioni che contemporaneamente si svolsero in occidente per altri motivi, per esempio quelle che opposero masse imponenti a Putin, o quelle che videro enormi folle sfilare a Madrid, per protestare contro l’austerità.

Il fatto è che le manifestazioni della “rabbia musulmana”  - certamente di grande violenza, dal momento che provocarono una trentina di morti – occuparono le prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Ma pochi misero in guardia i lettori, con l’avvertenza che erano organizzate da soggetti politici ben precisi. Cambia il nostro punto di vista su questi eventi, se teniamo conto che il film in questione fu fatto vedere alle masse dalla tv salafita araba, in Oriente, e dal predicatore estremista americano Terry Jones, in Occidente.

Il diagramma di Oumma evidenzia un’area comune di folli, che Islam e Occidente condividono

 

Trovo queste note leggendo il blog di François Euvé, teologo gesuita, direttore della prestigiosa rivista “Etudes. Revue de culture contemporaine”, noto anche nel mondo cattolico italiano per il suo libro, dal titolo Kierkegaardiano, Timore e Tremore (Edizioni Paoline).

Euvé era già intervenuto nel 2012, quando scoppiò il caso del film antiislamico, contemporaneo peraltro alle prime vignette islamiche di Charlie Hébdo. In quell’occasione, il teologo aveva ricordato la distinzione fra blasfemia e ingiuria. La prima,  considerata legittima dalle leggi francesi e di altri paesi occidentali, ha una lunga tradizione colta. Non significa, necessariamente, mancanza di rispetto verso la religione, come dimostrano i casi di Socrate, Spinoza o Baudelaire, che, per quanto fossero stati condannati per blasfemia, non per questo nutrirono scarsa considerazione del pensiero religioso.

La seconda, l’ingiuria, non è accettabile, diceva Euvé, perché vuole offendere. E’ violenta o istiga alla violenza. Charlie Hébdo, spiegava ancora il teologo, ingiuriava, non bestemmiava. Ma come combatterlo? Con la violenza? Il gesuita concludeva che era meglio utilizzare le sue stesse armi. In altri termini: delle ben azzeccate “contro caricature”.

Euvé ritorna su questo argomento, dopo gli attentati di Parigi, spostando il fuoco del ragionamento sull’uso sociale di queste vignette. Da una parte ci sono quelli che le utilizzano per “costruire lo scontro”. Dall’altra quelli che potremmo chiamare, “i rappresentanti delle tradizioni di saggezza”, fra le quali includerei quelle laiche (certo di non estendere abusivamente il pensiero del teologo).

Euvé precisa che nei testi sacri cristiani la bestemmia è citata una sola volta “Quelli che bestemmiano il nome di Gesù sono quelli che privano il povero della sua dignità”  (lettera di s. Giacomo). Non è proprio il caso delle vignette in questione.

Si tratta di capire, piuttosto, il senso dell’humour e della satira nella nostra società. Traduco le sue parole:
“Di fronte ai sistemi e alle istituzioni, l’humour è indispensabile, perché questi sono sempre esposti al rischio della pietrificazione, della dogmatizzazione e della chiusura su se stessi. Se si tratta di istituzioni religiose, l’effetto è aggravato dalla sacralizzazione delle loro istanze. Come ricorda la tradizione ebraica, l’humour ha una virtù antiidolatrica. Tutti gli idoli, a cominciare da quelli che fabbrichiamo nelle nostre istituzioni, devono essere rovesciati. L’humour corrosivo è indispensabile quando la religione diventa totalitaria.

Senza dubbio, il Vangelo chiede di non “scandalizzare” i piccoli. Alcune immagini possono essere ingiuriose non per se stesse, ma per quelli che le osservano senza riuscire a prenderne le distanze. E’ là che deve intervenire il senso critico, quello che manca tanto presso i fondamentalisti e i puritani. Per difetto di riflessione, noi rischiamo di diventare dei puritani che interpretano tutto alla lettera. La forza delle grandi tradizioni di saggezza viene dalla loro capacità di confrontarsi con la complessità del reale, di prendere una rincorsa critica e di saper interpretare le situazioni con l’aiuto di strumenti, di cui si conosce il carattere provvisorio o insufficiente. Questo non si realizza senza conflitti e, qualche volta, senza violenza. Ci auguriamo che tutte le tradizioni compiano lo stesso percorso, per quanto possa essere faticoso”.

PS: la “fatica” di questo percorso è testimoniata dalla stessa rivista diretta da Eudé, che è stata costretta a ritirare il link a Charlie Hébdo, pubblicato a ridosso degli eventi.

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