Per la Marina Militare e per il Governo italiani, Mare Nostrum  è l’operazione di polizia/salvataggio organizzata nel 2013, dopo il naufragio di Lampedusa, nel quale morirono 366 persone. Era il 3 ottobre, giornata che il Senato ha intitolato alla memoria delle vittime delle migrazioni . Un nome, Mare Nostrum,  non del tutto adatto alla circostanza, come fecero notare giornali e storici, osservando che, con ogni probabilità, i ministri italiani ignoravano l’articolo, scritto da Mariella Cagnetta, e apparso su “Limes” nel 1994, nel quale la storica barese spiegava che il Mare Nostrum era un mito, costruito da personaggi ben noti della storia, da Pompeo a Mussolini.
Non è l’unica ripresa moderna di questo termine. Le vicende dell’Estremo Oriente, infatti, stanno mettendo in risalto un altro Mare Nostrum: quello cinese. Ne aveva parlato, già nel 2008, “Limes”. L’espressione appare corrente nell’ambiente geopolitico. Ne scrive, ad esempio, Alfredo Musto ne Il Mar Cinese Meridionale: il mare nostrum di Pechino (2012, con un’ampia informazione geografica e politica). 
Le condizioni perché un tratto di mare venga definito nostrum sembrano due. La prima, geografica, è che si tratti di un mare chiuso. La seconda, storica, è che qualcuno ne affermi il dominio. Così, Mare Nostrum è, per gli Usa, il Mar dei Caraibi; per la Cina, il Mar Cinese meridionale e, capostipite necessario e nobilitante della serie, tale viene considerato il Mediterraneo, per l’antica Roma.
 
 
Il Mare nostrum cinese, nella cartina di “Limes”, disegnata da Laura Canali 
 
 Il Mare Nostrum cinese
Il Mar della Cina Meridionale bagna, a Ovest, la costa sino-vietnamita, a Sud gli arcipelaghi dell’Asia Sudorientale, a Est le Filippine e Taiwan, mentre a Nord confina con le isole meridionali dell’arcipelago giapponese. A osservarlo sulla carta, appare un mare molto meno “chiuso” del Mediterraneo. Tuttavia, negli ultimi decenni, è diventato il cuore dell’economia mondiale: vi transitano ogni anno 60 mila navi, ossia tre volte il traffico del canale di Suez e sei volte quello dello stretto di Panama. Il che equivale a un quarto del commercio mondiale e alla metà del volume commerciale delle tigri orientali, Cina, Giappone e Corea del Sud (Daniel SCHAEFFER, 2014). Queste ragioni economiche, oltre alle note contese politiche e alle risorse energetiche e minerarie che vi si celano, fanno sì che la Cina abbia sovrapposto a questa carta “aperta” del mare, una carta storica tutta propria, secondo la quale si tratta di un mare “chiuso”. 
 
La Lingua di bufalo
Nel linguaggio cinese (che a noi pare assai colorito), questa carta storica è chiamata della “Lingua di bufalo”. Negli anni ’30 del secolo scorso, quando fu pubblicata, fu detta anche “Carta dei 9 tratti”, perché identificata da nove segmenti, che definiscono una frontiera marittima, che separa il mare aperto dalle acque costiere degli stati rivieraschi, creando così un unico mare interno, che scende dalla Cina meridionale e disegna, per l’appunto, una sorta di lingua di bufalo. Di recente, nel 2013, questa carta è stata ribattezzata dei “dieci tratti”, dal momento che vi è stato aggiunto un nuovo segmento a Est di Taiwan, a segnalare la volontà annessionistica della Repubblica Popolare Cinese.
 
L’11 gennaio 2013, "Sinomap Press", organo ufficiale della stampa cinese, ha pubblicato una carta sulla quale il confine dei nove tratti è completato da un decimo, al largo di Taiwan (Wikipedia)
 
I numerosi piccoli arcipelaghi, a volte di pochi scogli, che costellano questo mare, sono stati l’obiettivo di una frenetica e costosissima attività cinese, volta a costruire piazzeforti, basi navali, o a estendere addirittura la superficie di queste isole. Lo stesso mare è teatro di continue esercitazioni militari, nelle quali le flotte cinese e russa operano spesso insieme, sorvegliate da una Settima flotta Usa, sempre più in allarme. La cartina che segue, redatta per conto della Difesa Usa, nel 2012, registra le continue operazioni diplomatiche e i conflitti aperti che accompagnano questa espansione militare della Repubblica Popolare Cinese (e, per riflesso, la preoccupata attenzione americana). 
 
 
Rivendicazioni di sovranità nel Mare cinese meridionale
 
Quello cinese meridionale è un mare che la geografia ha “chiuso” in modo talmente imperfetto, che per sigillarne le falle occorre un dispendio enorme di energie economiche, militari e politiche, da parte di chi se ne vuole insignorire. Una chiusura artificiale, almeno al confronto di quella, che ci appare così “naturale” del nostro Mediterraneo.
 
E il Mare nostrum autentico.
Altra cosa il Mediterraneo, dunque, il cui unico accesso erano le Colonne d’Ercole. Più naturale, ci vien fatto di pensare, che i Romani, una volta conquistatene le terre circostanti, ne abbiano abbiano proclamato il possesso con orgoglio. Così troviamo in tanti manuali; così troviamo anche in testi scientifici, primo fra i quali, credo, l’opera di Michel Reddé, fondamentale per chi si occupa della navigazione al tempo di Roma, che si intitola per l’appunto: Mare nostrum. Les infrastructures, le dispositif et l’histoire de la marine militaire sous l’empire romaine (Roma 1986). Con la stessa sicurezza David Abulafia intitola Mare Nostrum il capitolo nel quale parla delle vittorie con la quali Roma sconfisse Cartagine, i macedoni, bonificò il mare dai pirati e si impadronì dell’Egitto. Allora, scrive, il mare nostrum cominciò a riferirsi “a un’idea di Roma molto più ampia del Senatus Populusque Romanus” (Il Grande Mare, Milano 2010, p. 197).
Quest’idea è talmente scontata (un perfetto esempio di stereotipo colto), che i direttori di “Latinitas”, rivista della Pontificia Academia Latinitatis, hanno sentito il bisogno di rinverdire e ripubblicare un saggio di AlfonsoTraina, scritto negli anni ’50, nel quale si racconta per filo e per segno la storia di quella che oggi, sulla scorta di Eric Hobsbowm, dobbiamo considerare una “invenzione” (A. Traina, B. Pieri, Mare nostrum. Leggenda e realtà di un possessivo, II, 2014, pp. 13-18 ).
 
 Mare Nostrum Nostrum Mare?
Leggiamo innanzitutto, in questo articolo agile e godibilissimo, che i romani non dicevano mare nostrum, ma nostrum mare. Uno scambio di posto che non comunica tanto l’orgoglio di un possesso, quanto l’opposizione (“quel mare e il nostro”). Avevano imparato questo modo di dire dai Greci, abituati a distinguere fra il Mar Nero e quello Egeo: così Irad Malkin, per il quale, oltretutto l’espressione hemetera thalassa (“nostro mare”) era da intendersi in senso metaforico e non propriamente di possesso (A Small Greek World. Networks in the Ancient Mediterranean, Oxford 2011, p. 3). Al principio, i romani non usavano questa espressione nemmeno per designare tutto il Mediterraneo, ma la riferivano alle acque che bagnano la penisola. Il “nostro mare”, più o meno come noi diciamo: “la nostra spiaggia”. 
Anche un sostenitore del valore possessivo di “nostro”, come Marshall Cavendish, scrive:  “Dopo la conquista della Sicilia, i Romani orgogliosamente usarono il termine mare nostrum per le acque attorno alla penisola italiana e alle loro nuove isole (…) Solo alla fine chiamarono l’intero mediterraneo mare nostrum” (History of the Ancient & Medieval World,  Vol. 5, NY 1995, p. 695)
I romani dicevano nostrum, soprattutto, per distinguere il Mediterraneo dall’Oceano. Questo intende Cesare, quando, arrivato al cospetto dei veneti, esperti navigatori della Bretagna (i quali non avevano nulla a che vedere con i veneti nostrani), decide di sfidarli per mare e fa costruire navi con delle attenzioni particolari, perché “l’oceano non è come il nostro mare”.
 
I nomi del Mediterraneo
Per i romani, il Mediterraneo era il mare internum o interior  (seguo ancora Bruna Pieri, che ha raccolto e analizzato tutte le ricorrenze di questa espressione). A volte era il mare magnum, per quanto ogni tanto chiamassero così anche l’Oceano. Per il nostro grande dispiacere, non usavano nemmeno “mediterraneo”. Questo nome, infatti, appare verso la fine dell’impero, e nel VII secolo Isidoro lo adopera ancora con il significato generico che forse i nostri geopolitici gradirebbero (ci sono i mari aperti e quelli chiusi, “mediterranei”, appunto). Diventa decisamente “nostro” solo dopo l’avvento degli arabi, commenta Pieri, quando non esiste più un solo padrone del mare, e si comincia a pensare ai tempi passati, nei quali, effettivamente, qualcuno avrebbe potuto chiamarlo “nostro”, ma ahimé, non lo fece.
Per paradosso è proprio l’Oceano che, almeno in un’occasione, viene chiamato “romano”. Lo sappiamo da alcuni componimenti poetici, attribuiti a Seneca, nei quali, celebrando le imprese delle legioni di Claudio che hanno sbaragliato la regina Boudicca e si sono definitivamente impadronite della Britannia, il Canale della Manica viene definito Romanum Oceanum, e il mare della vinta Britannia nostra aqua.
 
Chi disse veramente Mare nostrum
Un paradosso ancora più sorprendente è che a usare questa espressione, nel senso che noi le diamo oggi, fu Annibale. Almeno così ci riferisce Tito Livio che gli fa promettere, nel discorso ai tarantini:  “e sarà nostro quel mare, del quale ora i nemici si sono impadroniti” (et mare nostrum erit, quo nunc hostes potiuntur). Una frase costruita per accendere di sdegno i bravi sudditi di Augusto, ma che funzionò talmente bene, da infiammare a distanza di secoli Giuseppe Mazzini. E’ lui, che sembra dare l’avvio all’accezione odierna: “e sulle cime dell’Atlante sventolò la bandiera di Roma quando, rovesciata Cartagine, il Mediterraneo si chiamò Mare nostro”. 
 
Il mare fascista
Chi costruisce il mito del Mare Nostrum, e attribuisce definitivamente a questa espressione il significato che oggi consideriamo comune, è il fascismo. E’ durante il ventennio mussoliniano, infatti, che il mare internum viene trasformato nel modello del mare imperiale italiano.  In questa operazione retorica, ritorna sulla scena l’eterna nemica Cartagine, nelle vesti dell’Inghilterra che - insegnava agli italiani Mario Appelius, speaker del regime – bisogna distruggere, perché ha fondato un  «mostruoso impero d’essenza fenicia accampato con la sua massa nei cinque continenti» (P. Giammellaro, Times/Semit. Inglesi e Fenici nella storiografia e nella propaganda fascista).
 
 
E Mare nostrum diventò un oggetto di studio. Questa è la pagella di Lidia, una delle tante bambine che frequentarono la seconda elementare nell’anno dell’entrata in guerra. Vi leggiamo in bella mostra la scritta Mare Nostrum, sul mar mediterraneo, con un corredo di pugnali e moschetti. L’immagine è commentata da Ugo Piscopo, La scuola del regime: i libri di testo nelle scuole secondarie sotto il fascismo, p. 197
Il mito del Mare nostrum è partorito dalla politica, insegnato nelle scuole e nutrito dalle Università. Andrea Perone ha studiato le annate di “Geopolitica”, una rivista che fino al 1942 raccolse i più importanti geografi italiani a sostegno esplicito delle mire imperiali fasciste. La geografia, argomentavano quegli studiosi, aveva posto l’Italia al centro di un mare che – ed ecco la storia -  essa aveva dominato ininterrottamente, con la sola parentesi araba, dall’antichità all’età moderna.
 
In conclusione 
Le invenzioni hanno le gambe corte. E Mare nostrum non fa eccezione. A cosa volevano riferirsi i fascisti: a un mare che effettivamente era dominato dai romani, ma che questi non chiamarono (se non saltuariamente) “nostrum”? a cosa allude la "Lingua di bufalo" dei cinesi: al mare di Cneo Pompeo o a quello del quale Mussolini reclamò invano il possesso? e, infine, cosa intendevano i nostri governanti, quando tirarono fuori dal cilindro della storia il nome da dare a un’operazione umanitaria? Che avrebbero aiutato solo i naufraghi vicini (significato oppositivo); o che il mare nel quale soccorrevano i naufraghi, era percorso da flotte invincibili, come quelle dei romani (significato possessivo)?
In tutti questi casi, varrebbe la pena di ricordare quello che scriveva uno dei primi studiosi, che (era il 1907!) ha bollato l’uso improprio di mare nostrum, raccomandando di “non attribuire alla superbia dei romani quello che spettava alla nostra ignoranza” (G.Grazzo, Nostrum mare, “Bollettino della Società geografica Italiana” 1907, pp. 1222-1228: sempre citato da Bruna Pieri).
Condividi

Diario di bordo

News

Biblioteca

Questo sito utilizza cookies tecnici e di terze parti per funzionalità quali la condivisione sui social network e/o la visualizzazione di media. Chiudendo questo banner, cliccando in un'area sottostante o accedendo ad un'altra pagina del sito, acconsenti all’uso dei cookie. Se non acconsenti all'utilizzo dei cookie di terze parti, alcune di queste funzionalità potrebbero essere non disponibili.