Autore: Cesare Grazioli
* elaborato secondo le indicazioni contenute in Gli studi di caso. Insegnare storia in modo partecipato e facile di Antonio Brusa (per la Summer School dell’Insmli a Venezia nell’agosto 2014), ora in Novecento.org
tempo previsto di lavoro in aula: 2 ore
Indice
1. Testo per gli studenti
2. I documenti
3. Attività didattiche
4. Esempi
1. Testo per gli studenti
La curtis e il suo paesaggio agro-silvo-pastorale
Una creazione duratura dei franchi, che si diffuse in tutto l’impero carolingio, fu la corte (curtis, detta anche villa), una forma di organizzazione del latifondo agrario che diventò la base del potere della nuova aristocrazia, laica ed ecclesiastica: una forma di potere sulle terre, e sui contadini che le lavoravano, poi definita dagli storici signoria fondiaria.
Per capire il funzionamento della corte, dobbiamo immaginare il paesaggio dell’Europa nei secoli prima del Mille, dominato dall’incolto e con una popolazione molto scarsa. Dall’Atlantico al Danubio (oltre il quale si estendeva l’immensa steppa euroasiatica) correva un manto compatto di boschi e foreste, “bucato” da radure di spazi disboscati, abitati e adibiti alle coltivazioni. In un certo senso, era l’opposto (come il negativo di una pellicola fotografica) del paesaggio tipico dell’altra sponda del Mediterraneo, unificata dall’Islam: là le oasi, isole alberate in un mare di sabbia, il deserto; qua, campi e prati come oasi nel mare alberato di boschi foreste e paludi.
I villaggi agricoli – rari erano gli insediamenti in case sparse – erano raccolti al centro di queste “oasi senz’alberi”. A ridosso delle case, in legno coi tetti di paglia, vi erano gli orti e i frutteti, che richiedevano un lavoro più accurato. Attorno vi era l’anello degli arativi (cioè i campi arati e coltivati a cereali) e delle vigne; poi si estendeva quello dei prati spontanei, destinati all’allevamento di ovini, equini e bovini. Tutt’attorno era il bosco, ma anch’esso integrato nell’economia di villaggio. Le ghiande delle querce nutrivano i maiali allevati allo stato brado, la principale fonte di carne (poi salata ed essiccata) e di grassi (lardo e strutto). Il bosco forniva molto altro: legno, il solo combustibile e quasi l’unico materiale per costruire abitazioni e oggetti d’uso quotidiano; miele selvatico, il principale dolcificante conosciuto; frutti selvatici, pesci dagli stagni, selvaggina.
I campi davano magri raccolti: il rendimento dei cereali (= il rapporto tra chicchi raccolti e seminati), oscillava tra 2:1 e 3:1 (per avere un raffronto: oggi, per il grano il rapporto arriva a 20:1), ovvero si mieteva poco più di ciò che si era seminato, e che si doveva riseminare, se si voleva mangiare anche l’anno dopo. Però le risorse dei boschi e dei pascoli compensavano le basse rese agricole con un’alimentazione ricca di carne e di grassi animali, di frutta e di ortaggi. Si trattava dunque di un paesaggio e di un’economia agro-silvo-pastorali.
La curtis, base della signoria fondiaria
Ogni corte comprendeva uno o più villaggi ed era divisa in:
1) una pars dominica (o dominico), la parte che il signore (il dominus) faceva gestire a un suo amministratore; 2) una pars massaricia divisa in mansi (oggi diremmo poderi), affittati a famiglie di massari.
Sia i mansi sia il dominico, però, non erano costituiti di porzioni compatte di terra, ma disposti “a pelle di leopardo”: ogni manso, che equivaleva alla quantità di terra coltivabile dalla singola famiglia contadina, era formato da più porzioni disperse, anche lontane, inframezzate a porzioni di mansi di altre famiglie di massari, a piccole proprietà indipendenti (i cosiddetti allodi), e anche a mansi dipendenti da altre corti (cioè da altri signori); così era anche il dominico, formato da campi, prati spontanei, boschi e foreste.
Ciò che distingueva la pars dominica dalla pars massaricia erano i modi con cui il signore si appropriava delle eccedenze (= quanto eccedeva il necessario per la sussistenza dei contadini), e anche la condizione giuridica dei contadini. Dal dominico, l’eccedenza dei raccolti andava nei magazzini del signore, detratta la quota che serviva a nutrire i contadini; questi erano di condizione servile e chiamati servi prebendari (perché retribuiti in natura con la “prebenda”: il cibo e l’alloggio). I massari, invece, erano affittuari che dovevano versare censi (o canoni: oggi diremmo affitti) in denaro o più spesso in natura, consegnando una parte (di solito un terzo o un quarto) dei prodotti del loro manso. Tra i massari molti erano coloni (cioè contadini liberi con contratti, non scritti, a lunghissima scadenza, trasmessi di padre in figlio), ma altri avevano gradi diversi di libertà, servitù, semi-libertà.
Oltre ai censi monetari o in natura, gli oneri dei massari comprendevano le corvées, giornate di lavoro gratuito sul dominico, in quantità molto variabili secondo le consuetudini locali: da alcune decine di giornate all’anno fino a tre giorni la settimana. Il signore ricavava poi altre entrate dai mulini ad acqua (o anche forni e birrerie) di sua proprietà, dei quali i contadini erano obbligati a servirsi, ovviamente pagando in denaro o in natura tale servizio: queste forme di monopolio erano chiamate bannalità, o diritti di banno. La signoria fondiaria non era dunque solo un rapporto economico, ma un sistema di potere dei signori sui contadini delle loro corti.
Corvées e coltivazioni collettive
Su quell’intreccio così aggrovigliato, sia nella ripartizione delle porzioni di terra sia nei rapporti giuridici tra contadini e signori, si sovrapponeva un sistema comunitario di coltivazione, legato all’usanza della rotazione biennale: per ricostituire la fertilità del terreno se ne lasciava ogni anno metà a riposo, “a maggese”, per cui tutte le famiglie contadine coltivavano insieme la restante metà, a prescindere da dove fossero localizzate le loro porzioni di manso. Il frazionamento dei mansi in porzioni lontane evitava che tutta la terra di una famiglia fosse situata per un anno su due nel maggese, la terra non coltivata. C’erano poi alcune terre comuni destinate a usi collettivi, come il pascolo degli animali e la raccolta di legna.
Considerando che in agricoltura c’è una forte stagionalità, ovvero serve poco lavoro in inverno e molto nelle fasi più intense dell’annata agricola (l’aratura e il raccolto), con quel sistema il signore poteva lasciare sul dominico poche famiglie di servi prebendari, perché a loro si aggiungevano, nelle fasi più intense del lavoro, i massari con i loro turni di corvées; e le famiglie dei massari riuscivano comunque a lavorare i propri mansi anche durante i giorni di corvées di un loro membro. Le corvées servivano inoltre alle più disparate attività (trasporto di legna o di letame, scavo di fossi, costruzione o riparazione di edifici e di altre strutture), e consentivano al proprietario della corte di ricavare qualcosa (come la falciatura dell’erba, che diventava fieno, cioè foraggio per i bovini) anche dai mansi non affittati e rimasti vuoti: cosa non rara, data la scarsità di popolazione. L’azienda curtense rappresentava dunque per i grandi proprietari un modo flessibile ed efficiente di gestire i fattori produttivi dell’Europa di quel tempo: terra sovrabbondante e poche braccia da lavoro.
[Chiedo alla classe di leggere rapidamente il testo (senza sottolinearlo), poi fornisco i due documenti seguenti].
2. I documenti
GLI INVENTARI DELLE CURTES In Francia, in Germania e nell’Italia padana si sono conservati numerosi inventari di corti dei secoli IX-X, quasi tutte di proprietà di monasteri (più ordinati dei signori laici nel registrare e conservare in archivio i propri documenti). Erano scritti su pergamene, cucite e ripiegate a soffietto. Perciò si chiamano “polittici” (dal greco polu-ptychè = molte pieghe). In apparenza aridi elenchi contabili, quegli inventari si sono rivelati fonti preziose su diversi aspetti del mondo della curtis alto-medievale.
Doc. 1 Dall’inventario del monastero di Santa Giulia (Brescia): la corte di Griliano (secolo X)
Nella corte di Griliano ci sono 2 case con camino in muratura, 5 capanne, terra arativa per seminare 300 moggi [Ndr: 1 moggio = circa 50 litri], vigna che produce 30 anfore di vino, di prato…, e una foresta incolta. I servi che abitano nella corte sono 36: 11 maschi adulti, 11 femmine, 14 bambini; ci sono anche 20 porci, 9 capre, 8 oche, 20 polli; nel granaio 90 moggi di frumento, 30 moggi di segale, …di orzo, 10 moggi di legumi; un mulino, che rende 15 moggi l’anno.
da: G. Pasquali, Inventari altomedievali di terre, coloni e redditi, in Fonti per la Storia d’Italia, Ist. Storico Italiano per il Medioevo,1979
Inventario del monastero di San Tommaso apostolo, che dipende dalla santa Chiesa di Reggio. Nella corte di Enzola [Ndr: oggi frazione di Poviglio, nella bassa pianura in provincia di Reggio Emilia] abbiamo seminato sul dominico 15 moggi di cereali e ne abbiamo raccolti 50; abbiamo ricavato anche 5 anfore di vino e 10 carri di fieno; in questo luogo abbiamo 3 buoi, con 2 gioghi, 2 vomeri, 2 carri, 4 zappe, 2 scuri, una mannaia, 4 falci per mietere, 12 maiali, un recipiente per il vino, 7 recipienti per il grano, 4 oche; tra servi e ancelle, maggiorenni e minorenni, ne abbiamo 13.
da: B. Andreolli, M. Montanari, L’azienda curtense in Italia, Cleub, Bologna 1983, pp. 153-156 |
3. Attività didattiche
3.1 Mettere in relazione testo e documenti
Faccio notare alla classe che anche gli storici si sono serviti di questo tipo di fonti, gli inventari, per descrivere il funzionamento della curtis.
Divido la classe in coppie, e chiedo a ogni coppia di sottolineare nel testo le parti che potrebbero essere state ricavate da questi due inventari: uno studente sottolinea con un colore le parti del testo che possono essere state tratte dal doc.1 (corte di Griliano), l’altro della coppia sottolinea con un colore diverso (o con un diverso tratto di matita) le parti che possono essere tratte dal doc.2 (corte di Enzola); poi entrambi integrano le proprie sottolineature con quelle fatte dal compagno.
Dopo questa attività (circa 15 minuti), la classe fa un rapido confronto tra i risultati del lavoro delle coppie, per controllare che si sia giunti alle stesse conclusioni, e discute le eventuali differenze (circa 10-15 minuti).
3.2 Lavorare sui documenti
[Ora la classe si divide in gruppi di 4 studenti, ciascuno dei quali a sua volta diviso in due coppie, che confronteranno i due inventari (cioè ne faranno un’analisi comparata) secondo le due seguenti prospettive di indagine (a, b), con le rispettive domande da porre ai documenti (circa 30-40 minuti)]
a. Storia dell’economia agraria: produzione e produttività
1. Che cosa si produceva e che animali si allevavano nelle corti?
2. E’ possibile ricavare i rendimenti (cioè il rapporto tra raccolto e semina) dei cereali?
3. Com’era il paesaggio rurale della corte (cioè, quale spazio avevano gli arativi, gli orti, i prati, la foresta)?
4. Le due corti qui esaminate erano più o meno della stessa dimensione, o di ampiezza anche molto diversa?
5. Tenendo conto dei diversi aspetti visti finora, si è in grado di capire quale delle due corti era più produttiva?
b. Storia sociale: i rapporti tra proprietari e contadini:
1. Di quale condizione giuridica (liberi o servi) erano i contadini delle due corti?
2. Quali erano gli oneri dei contadini (distinguendo quelli in denaro, in prodotti, in lavoro, e oneri bannali)?
3. E’ possibile capire se vi era scarsità o abbondanza di popolazione sul territorio?
4. Tenendo conto di tutto questo, si può capire in quale corte le condizioni dei contadini erano migliori?
[Se rimane tempo, alla fine di questa analisi comparata dei due inventari, se ne confrontano i risultati: questa attività viene svolta nella prima parte dell’ora successiva.]
3.3 Integrare il testo con notizie tratte dai documenti
Nella restante parte della seconda ora di lavoro, ogni gruppo integra il testo con le informazioni aggiuntive emerse dall’analisi comparata dei due inventari, ovvero ne costruisce una specie di apparato critico: in corrispondenza delle parti del testo per il quale dalle fonti sono emerse informazioni aggiuntive o esplicative, indica i numeri che stanno per le note al testo (1, 2, 3, ecc.), e in un foglio a parte (che corrisponde allo spazio per l’apparato critico posto a fine capitolo), riporta i numeri e scrive brevi testi, appunto le note, corredate dal riferimento (ad es: 1. ………testo, di un massimo di 2-3 righe……, cfr. inventario di Enzola, riga 7-8).
I gruppi che non fanno in tempo a finire, concluderanno a casa il lavoro di integrazione del testo.
4. Esempi
A seguire, un paio di esempi già svolti su come i gruppi dovrebbero costruire tale apparato critico.
Gli esempi qui proposti non devono in alcun modo essere considerato l’unica soluzione possibile; al contrario, ce ne possono essere diverse plausibili. E’ ad esempio legittimo che un gruppo inserisca molte note (non più di una ogni due-tre righe, però), e un altro poche ma più ampie: l’importante è che siano pertinenti e sensate.
Formule di apertura che potrebbe essere utile consigliare, per iniziare il testo della nota a piè di pagina, sono:
“Ad esempio in alcuni casi, come a Griliano, accadeva che…”; “C’erano differenze anche notevoli tra corti diverse: talora, come a Griliano, la situazione era…., mentre in altre corti, come in quella di Enzola, ….”.
Primo esempio, riferito all’inizio del secondo capoverso del primo paragrafo:
«Per capire il funzionamento della corte, dobbiamo immaginare il paesaggio dell’Europa nei secoli prima del Mille, dominato dall’incolto e con una popolazione molto scarsa» (1)
A questa nota, corrisponde a fondo pagina un testo come il seguente:
1) Che la popolazione fosse molto scarsa, lo si ricava dal fatto che in diverse corti c’erano molti mansi disabitati: ad esempio a Griliano, una corte dipendente dal monastero di Santa Giulia di Brescia, ben 17 mansi erano vuoti, rispetto ai 28 affidati a famiglie contadine. In altri casi, però, come a Enzola nella bassa pianura reggiana, tutti i mansi erano occupati, per cui il popolamento doveva essere piuttosto disomogeneo. |
Secondo esempio, riferito all’inizio dell’ultimo capoverso dello stesso paragrafo:
«I campi davano magri raccolti: il rendimento dei cereali (= il rapporto …e seminati), oscillava tra 2:1 e 3:1»(2)
A questa nota, corrisponde a fondo pagina un testo come il seguente (o anche molto più breve di questo):
2) Non sempre gli inventari indicavano il rapporto tra raccolto e semina, perciò non sempre è possibile ricavare il rendimento dei cereali, ad esempio a Griliano. In alcuni casi, invece, si indica espressamente tale rapporto, ad esempio ad Enzola, dove era di 50 moggi di grano su 15 seminati, perciò con un rendimento di 3,3 : 1, che rispetto alle medie del tempo si può giudicare abbastanza alto [la parte seguente non è alla portata degli studenti: forse a causa della posizione favorevole di questa corte, nella bassa pianura, più fertile delle zone collinari o montagnose]. |
E’ opportuno che un esempio già svolto (uno di questi due, o altri) venga fornito alla classe come modello da seguire.
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