di Paolo Ferrari

Che cos'è la lezione documentata

La lezione documentata è una modalità di lavoro laboratoriale alquanto agevole da realizzare. Serve a far capire agli allievi che esiste una relazione fra testo storico e documenti, insegna a discutere di queste relazioni (quali sono importanti, quali secondarie, quali dirette, quali indirette). Per realizzarla occorre preparare un testo (come vedrete piuttosto breve) e un piccolo dossier di documenti. I documenti possono essere (preferibilmente) iconografici. Se sono scritti, come in questo caso, devono essere brevi. I documenti vanno consegnati agli allievi qualche minuto prima della lezione, in modo che ne prendano conoscenza. Quando l’insegnante pensa che questa sia sufficiente, inizia a leggere la lezione. Agli asterischi si ferma. In quel momento gli allievi devono citare il documento al quale le parole del docente si riferiscono. Ovviamente, ci possono essere varie proposte e discussioni. Si può dare a questa fase una forma di gara, dividendo la classe in gruppi e assegnando il punto a chi cita il documento giusto, e la penalità a chi lo sbaglia. Oppure si può procedere in modo più tradizionale, sollecitando la scelta dei documenti attraverso la discussione collettiva. Un esempio di questo strumento didattico è già stato pubblicato da HL, e riguarda il commercio della porcellana in età medievale e moderna.

Materiali e preparazione della classe

La lezione documentata è stata proposta lo scorso autunno, in una seconda della SS1G "Trevigi" di Casale Monferrato. È stata costruita partendo dal saggio La nave negriera di Marcus Rediker, che contiene brani tratti da numerose fonti. L’autobiografia di uno schiavo, Olaudah Equiano, ampiamente citata da Rediker, ha permesso di completare l’archivio dei documenti. La lezione ha costituito uno degli approfondimenti di un grande quadro dedicato alla Rivoluzione geografica, all'espansione dell'economia mondo europea e allo sviluppo del capitalismo. Per comodità, l’archivio è stato condiviso su Classroom per una lettura preliminare dell’introduzione e dei documenti. Il lavoro si è concluso con la condivisione dei risultati e con una riflessione su una carta storica, per osservare che la tratta non ha riguardato solo il mondo atlantico ma anche quello dell'Oceano Indiano e il Mediterraneo.
La preparazione del laboratorio ha richiesto – da parte del docente -la lettura del saggio di Rediker e la selezione dei documenti, poi integrati da alcuni brani (quelli non già citati in Rediker) dell’autobiografia di Olaudah Equiano. Questo lavoro di preparazione si è concluso con la stesura del testo della lezione. Per quanto invece riguarda l’effettivo tempo di lavoro in classe, si sono impiegate due ore, comprensive della presentazione dello scenario introduttivo (15’ circa), della lettura preliminare dei documenti (15’ circa) e dell’attività vera e propria. La maggior parte del tempo è stata utilizzata per il confronto suscitato da ciascuno dei punti in cui fare riferimento alle fonti: inserire un solo documento o più di uno? Distinguere tra informazioni dirette e indirette? Stabilire che alcuni documenti erano più “utili” di altri?

Conclusione e risultati

«Prof, questo laboratorio è stato interessante ma anche atroce». Mi ha colpito molto l’uso di questo aggettivo, così forte. Genericamente, anche uno studente di seconda media sa, prima di studiarla a scuola, che è esistita la schiavitù e la ritiene qualcosa di sbagliato e di orribile. Mi sono accorto, però, che lavorare sui documenti ha reso le sofferenze del viaggio degli schiavi molto più tangibili di un paragrafo su un libro di testo, o di un numero o di una freccia su una carta geografica. «Alcune parti sono state dure da affrontare», ha aggiunto un altro dei miei studenti. Anche se dure, sono rimaste impresse nella mente. Ho notato che la conoscenza delle modalità della tratta degli schiavi è diventata patrimonio duraturo dei miei alunni, anche a distanza di mesi, e ciò che avevano imparato è tornato a galla quando abbiamo affrontato, nelle ore di italiano, la lettura collettiva del romanzo Oh freedom (Francesco D’Adamo, 2014) sulle rotte segrete che, nel XIX secolo, permettevano agli schiavi del Sud degli Stati Uniti di fuggire in Canada. Da notare la ricchezza della discussione, nata dalla condivisione dei numeri dei documenti da inserire al posto dell’asterisco. Alcuni documenti sembravano essere meno utili di altri, mentre alcuni punti erano confermati da più documenti. In ogni caso, la discussione è stata molto partecipata, con il contributo di tutti. E forse proprio questo è il risultato più soddisfacente.

Scenario introduttivo (Lezione frontale)

Dopo la conquista di gran parte dei territori dell’America, gli europei iniziarono a sfruttare le risorse del continente di cui si erano appena impadroniti. Le risorse erano innanzitutto alcuni metalli, come l’argento, estratti dalle miniere; e poi le risorse agricole: gli europei diffusero in America alcune piante che erano originarie dell’Asia, come il caffè, il tè e la canna da zucchero. La coltivazione di queste piante avveniva in grandi piantagioni (aree molto vaste coltivate ininterrottamente con una stessa pianta), dove venne dapprima sfruttato il lavoro degli indios, cioè gli abitanti originari dell’America. Come sai, gli indios diminuirono rapidamente a causa soprattutto delle epidemie che erano arrivate in America dall’Europa. Gli europei, perciò, iniziarono a sostituire gli indios nelle piantagioni e nelle miniere con uomini e donne catturati in Africa e venduti come schiavi.

Si calcola che, tra il XV e XIX secolo, l’epoca in cui si svolse la tratta (cioè il commercio) degli schiavi, 12 milioni di persone siano state portate in America dall’Africa. Secondo gli storici, almeno 1 milione e mezzo morirono durante il viaggio nell’Atlantico.

In questo laboratorio, utilizzerai un archivio di fonti che ti permetteranno di conoscere meglio cosa succedeva sulle navi negriere, cioè le navi che trasportavano gli schiavi dall’Africa all’America. Ora, con grande attenzione, leggi tutti i documenti e osserva l’immagine. Poi il prof leggerà un testo, e tu, al posto degli asterischi, dovrai inserire il numero di uno o più documenti dell’archivio quando ti sembrerà che la fonte stia confermando il racconto della storia letto dal prof.

Il testo della lezione

Le navi negriere erano soprattutto inglesi, e caricavano gli schiavi sulle coste dell’Africa Occidentale. Erano altri africani a catturare gli schiavi, a trasportarli sulla costa e a rivenderli agli europei*. I comandanti delle navi negriere avevano potere assoluto sugli schiavi, ma anche sull’equipaggio, che spesso era trattato duramente; non era raro che i marinai fossero puniti con molta violenza, persino con la morte*.

La sorte degli schiavi, però, era ovviamente anche peggiore. Ciascuno di loro veniva identificato solo attraverso un numero*; Venivano spesso incatenati*, anche se le donne e i bambini avevano più frequentemente la libertà di restare sul ponte della nave*, all’aria aperta. Gli uomini, invece, rimanevano molto tempo incatenati nella stiva*, ammassati l’uno all’altro*, con pochissimo spazio, in condizioni igieniche terribili, in mezzo a un odore insopportabile*. Gli schiavi venivano crudelmente frustati per molti motivi, ad esempio se si rifiutavano di mangiare*. Rifiutarsi di mangiare, infatti, era una strategia che spesso gli schiavi usavano per lasciarsi morire e far finire le loro sofferenze. Un’altra strategia era quella di gettarsi in mare*, per lasciarsi annegare. Per questo motivo, delle reti circondavano la nave*, per impedire ai neri di buttarsi nell’Oceano. Poteva capitare che i neri provassero a ribellarsi: in quel caso l’equipaggio puniva duramente le rivolte, con una crudeltà estrema*.

A causa delle terribili condizioni igieniche, non era raro che a bordo scoppiassero delle epidemie*, che facevano vittime tra l’equipaggio ma soprattutto tra gli schiavi ammassati nella stiva*.

Una volta arrivati in America, gli schiavi venivano venduti*, e le famiglie venivano separate per sempre, perché quasi sempre le persone dello stesso nucleo familiare venivano acquistate da padroni diversi*. A questo punto, per gli schiavi iniziava una durissima vita di lavoro nelle piantagioni americane.

I documenti

Documento 1

Nave negrieraImmagine della nave negriera Brooks, 1789

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Documento 2

Gli schiavi iniziarono a morire il 9 gennaio. La prima fu una bella schiava, la n.11. Temendo un’epidemia, ordinai ai marinai di pulire a fondo e lavare i ponti con l’aceto. Nonostante ciò, ben presto morirono uno schiavo maschio, il n. 6, un ragazzo, il n. 27 e un altro uomo, il n. 33, nonostante tutte le nostre cure.

 

Dal diario di bordo di John Newton, comandante della nave negriera Duke of Argyle

 

Documento 3

[Il capitano Jackson] mozzò agli schiavi che si erano ribellati, con l’ascia, prima i piedi, poi le gambe sotto il ginocchio, poi all’altezza delle cosce; allo stesso modo le mani, poi le braccia sotto ai gomiti, poi all’altezza delle spalle, fino a che del corpo non rimase che il tronco, come quello di un albero quando se ne tagliano i rami; da ultimo, la testa. E mentre procedeva con l’operazione, gettava le cruente membra e le teste in mezzo al gruppo degli schiavi terrorizzati, che erano in catene sul ponte.

 

Dalla lettera di John Newton all’abolizionista [= chi vuole abolire la schivitù] Richard Phillips, 1788

 

Documento 4

Ero quello che doveva occuparsi degli schiavi maschi, e quando erano stivati non c’era spazio per infilare la punta di un bastone fra l’uno e l’altro.

 

Testimonianza del marinaio George Millar, 1767

 

Documento 5

Fui condotto a bordo. Immediatamente parte dell’equipaggio cominciò a toccarmi e a lanciarmi in aria per vedere se ero in buone condizioni fisiche.

 

Dall’autobiografia di Olaudah Equiano, 1789

 

Documento 6

Quando sulla nave mi guardai attorno e vidi una grande fornace o un calderone in ebollizione, una moltitudine di negri di ogni sorta incatenati assieme e sul viso di ognuno un’espressione di scoramento e dolore, non ebbi più alcun dubbio circa la mia sorte, e del tutto sopraffatto dalla paura e dall’angoscia mi accasciai sul ponte e svenni. Quando mi ripresi, mi trovai circondato da alcuni negri che credo fossero tra quelli che mi avevano portato a bordo e che erano stati pagati per questo. […] Poco dopo, i negri che mi avevano portato a bordo scesero a terra.

 

Dall’autobiografia di Olaudah Equiano, 1789

 

Documento 7

Fui ben presto portato sottocoperta dove le mie narici furono accolte da un benvenuto mai provato prima nella mia vita e così, un po’ per la ripugnanza del fetore e un po’ per il pianto, mi sentivo così male e abbattuto da non riuscire a mangiare.

 

Dall’autobiografia di Olaudah Equiano, 1789

 

Documento 8

Due dei bianchi mi offrirono delle vivande e, al mio rifiuto di mangiare, uno di loro mi tenne stretto per le mani, mi stese sopra quello che credo fosse l’argano e mi legò i piedi, mentre l’altro mi frustava forte.

 

Dall’autobiografia di Olaudah Equiano, 1789

 

Documento 9

L’equipaggio sorvegliava molto attentamente quelli di noi che non erano incatenati per paura che saltassimo fra le onde; vidi alcuni di quei poveri prigionieri africani feriti molto gravemente per averci provato e frustati senza posa perché non mangiavano.

 

Dall’autobiografia di Olaudah Equiano, 1789

 

Documento 10

Non avevo mai veduto in nessun popolo esempi di tanta brutale crudeltà, dimostrata non soltanto verso noi negri, ma anche nei confronti di alcuni degli stessi bianchi. Una volta […] ne vidi frustare uno con una grossa corda vicino all’albero di trinchetto in modo talmente spietato da ucciderlo.

 

Dall’autobiografia di Olaudah Equiano, 1789

 

Documento 11

 

L’esiguità dello spazio e il caldo, aggiunti al numero di persone sull’imbarcazione, talmente affollata che a malapena c’era posto per girarsi, ci soffocavano. Tutto questo faceva sudare oltre misura, tanto che ben presto l’aria si fece irrespirabile per i disgustosi odori di varia natura e diffuse tra gli schiavi una malattia che ne fece morire molti.

 

Dall’autobiografia di Olaudah Equiano, 1789

 

Documento 12

Quella miserabile situazione era per di più aggravata dalle escoriazioni delle catene, ora diventate insostenibili. […] Fortunatamente per me, forse, fui ben presto ridotto in uno stato di tale debolezza che si reputò necessario tenermi quasi sempre sul ponte, e a causa della mia giovanissima età non venni messo ai ceppi.

 

Dall’autobiografia di Olaudah Equiano, 1789

 

Documento 13

Un giorno di mare calmo e vento debole, due dei miei esausti connazionali che erano incatenati insieme (in quel momento ero vicino a loro), preferendo la morte a una tale vita di sofferenza riuscirono in qualche modo a oltrepassare le reti e a saltare in mare: immediatamente un altro sconsolato […] seguì il loro esempio.

 

Dall’autobiografia di Olaudah Equiano, 1789

 

Documento 14

Fummo venduti alla solita maniera, vale a dire: a un segnale dato (ad esempio un colpo di tamburo), i compratori si precipitano tutti insieme nel cortile dove sono tenuti gli schiavi e scelgono quelli che preferiscono. […] Vengono così separati senza scrupolo alcuno parenti e amici, gran parte dei quali non si rivedrà mai più.

 

Dall’autobiografia di Olaudah Equiano, 1789

 

Bibliografia

M. Rediker, La nave negriera, Bologna, Il Mulino, 2007.

G. Schiavi (a cura di), L’incredibile storia di Olaudah Equiano, o Gustavus Vassa, detto l’Africano, Milano, Epoché, 2008.

C. Grataloup, Atlante storico mondiale, Milano, Ippocampo, 2020.

 

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