di Antonio Prampolini
I diversi concetti di cittadinanza
Le enciclopedie pubblicate dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana dal 1929 ai giorni nostri hanno dedicato alla cittadinanza voci autoriali particolarmente significative. Voci che affrontano l’argomento nei suoi molteplici aspetti e problematiche, e che rappresentano gli orientamenti prevalenti o più rappresentativi della cultura accademica di un determinato momento storico.
Nel Portale della Treccani, dove sono migrate dalla carta al web le enciclopedie dell’Istituto, è possibile accedere alle voci cittadinanza dell’Enciclopedia Italiana, dell’Enciclopedia delle Scienze Sociali e dell’Enciclopedia del Novecento, pubblicate durante un lungo arco temporale che va dal 1931 al 2004.
1. La cittadinanza al tempo del fascismo: lo ius sanguinis
L’Enciclopedia Italiana di scienze lettere e arti (promossa nel 1925 dal filosofo Giovanni Gentile e realizzata grazie al mecenatismo dell’industriale tessile bresciano Giovanni Treccani) pubblica nel 1931 (Vol. 10: Chib-Compe) la prima voce sull’argomento cittadinanza. La voce ha come autori due giuristi (Francesco Degni, studioso di diritto civile, ed Enrico Bèsta, storico del diritto italiano) e uno storico dell’antichità (Mario Attilio Lèvi).
La voce è divisa in due parti: una relativa alla cittadinanza nella legislazione dell’Italia post-unitaria (dal codice civile del 1865 alla legge 108 del 31 gennaio 1926, dove il regime fascista prevedeva il caso di perdita della cittadinanza per indegnità), e l’altra, alla cittadinanza nel mondo antico, nel Medioevo e nell’età moderna.
Dopo avere definito la cittadinanza come «l'appartenenza di una persona allo Stato» (una definizione che pone al centro lo Stato e non il cittadino con i suoi diritti), la voce illustra il principio dello ius sanguinis, alla base della legislazione italiana in materia, secondo il quale la cittadinanza viene trasmessa ai figli per derivazione paterna a prescindere dal luogo di nascita. Questo principio era già contenuto nel codice civile del 1865 (1° titolo, articoli 4-15) ed era stato confermato e disciplinato dalla legge 555 del 13 giugno 1912, che aveva introdotto una riforma complessiva e organica dell’istituto giuridico della cittadinanza.
Lo Stato italiano, all’indomani dell’unificazione, eredita dal Codice Albertino del 1837 (il codice civile del Regno di Sardegna) il principio della patrilinearità, svincolandolo però dal confessionalismo sabaudo, che legava la capacità giuridica dei singoli all’appartenenza alla religione cattolica. Inoltre, riafferma, con il Codice civile del 1865, la disuguaglianza di genere (già presente nel Codice napoleonico del 1804) che attribuiva alle donne sposate la cittadinanza del marito. Un’attribuzione in forza di legge che rientrava in una più ampia subalternità femminile, espressione di un modello antropologico che confinava la donna nell’ambito “naturale” della famiglia, escludendola dalla sfera pubblica.
L’adozione nella legislazione italiana dello ius sanguinis era servita a procurare ai cittadini del nuovo stato unitario un senso di appartenenza “nazionale”, capace di superare le varie frammentazioni territoriali e di guadagnare il consenso e l’inclusione delle élites locali.1
2. Cittadinanza ed emigrazione. Lo ius loci
La voce enciclopedica ricorda come le mutate condizioni politiche e sociali dell'Italia all’inizio del Novecento, e, in particolare, l'imponente fenomeno dell'emigrazione transoceanica, avevano reso inadeguate le disposizioni relative alla cittadinanza previste dal Codice civile del 1865 e avevano imposto di affrontare la materia alla luce delle nuove problematiche con l’obiettivo principale di evitare la perdita della cittadinanza del paese d’origine da parte degli italiani che si trasferivano o nascevano in paesi dove la cittadinanza era disciplinata da altre norme fondate sul principio dello ius soli o ius loci.2
L’emigrazione viene allora vista non più solo quale fenomeno sociale espressione di un profondo disagio economico, di una diffusa povertà, ma anche come uno strumento utile ad una politica nazionale espansionistica, soprattutto verso i paesi dell’America meridionale. E in questo quadro va collocata la legge 555 del 13 giugno 1912, nata in età giolittiana.
3. La revoca della cittadinanza e le cittadinanze disuguali
Il regime fascista eredita la legislazione precedente in materia di cittadinanza e, con la legge 108 del 31 gennaio 1926, introduce nel nostro ordinamento giuridico la perdita della cittadinanza per indegnità. Una disposizione di legge, non contemplata dalla precedente normativa, finalizzata a colpire gli oppositori del regime che si erano rifugiati all’estero e che, stando alla lettera della legge, «commettono o hanno concorso a commettere un fatto diretto a turbare l'ordine pubblico nel regno, o da cui possa derivare danno agli interessi italiani o diminuzione del buon nome o del prestigio dell'Italia, anche se il fatto non costituisca reato».3
Alla sanzione della perdita della cittadinanza potevano seguire: la decadenza dal diritto a conseguire o a godere pensioni, trattamenti di fine rapporto, e il sequestro con la confisca dei beni nei casi più gravi.
Nessun accenno nella voce enciclopedica alla questione dell’attribuzione della cittadinanza italiana ai nativi delle colonie. Non viene, ad esempio, citata la legge n. 1013 del 26 giugno 1927 che modificava le norme introdotte nel 1919, che consentivano ai nativi libici di richiedere e acquisire la cittadinanza italiana. Con la legge 1013, il regime fascista cancellava l’eguaglianza giuridica tra i cittadini italiani delle colonie della Tripolitania e della Cirenaica e i cittadini metropolitani, sostituendola con un’uguaglianza subalterna dei cittadini coloniali tra di loro.4
La parte della voce enciclopedica relativa alla storia della cittadinanza, curata da Mario Attilio Lèvi, si concentra sulle polis dell’antica Grecia e sulla Roma repubblicana e imperiale. La Rivoluzione francese e la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789 vengono citate solo di sfuggita, in modo del tutto inadeguato rispetto al loro contributo fondamentale all’evoluzione del concetto di cittadinanza e all’esercizio dei diritti connessi. Contributo che, ovviamente, non poteva essere sottolineato nel clima culturale e politico dominante a quel tempo. È noto che il fascismo rifiutava la tradizione liberal-democratica e si opponeva all’affermazione dei diritti individuali dei cittadini.
4. Cittadinanza e razzismo
La Prima Appendice dell’Enciclopedia Italiana, pubblicata nel 1938, contiene un aggiornamento della voce cittadinanza alla luce delle modifiche/integrazioni introdotte dal regime fascista nella legislazione in materia.
L’aggiornamento, che porta la firma di Francesco Degni elenca, da un lato, le norme in materia di revoca della cittadinanza italiana per indegnità derivante da “condotta politica”, con le relative sanzioni economiche, dall’altro, le leggi che, all’opposto, in un’ottica nazionalistica, sono state emanate dal regime fascista sia per favorire la concessione della cittadinanza italiana e il suo riacquisto, sia per limitare i casi in cui era prevista la sua perdita (salvo quello della “indegnità” per ragioni politiche). La cittadinanza viene perciò utilizzata dal regime fascista come strumento al servizio di una politica di espansionismo nazionalistico e di repressione e di esclusione nei confronti degli antifascisti.
L’aggiornamento della voce cittadinanza essendo stato scritto prima dell’emanazione delle leggi razziali non contiene, ovviamente, alcun riferimento alle loro conseguenze sul diritto di cittadinanza. La revoca delle concessioni agli ebrei stranieri della cittadinanza italiana successive al 1° gennaio 1919 viene prevista nel novembre del 1938 dal decreto legge intitolato Provvedimenti per la difesa della razza italiana (articolo 23 del Regio Decreto Legge n. 1728 del 17 novembre 1938).5
Francesco Degni commenterà in un suo trattato di diritto civile (pubblicato nel 1939, un anno dopo l’emanazione delle leggi razziali) la nuova formulazione dell’articolo 1 del Libro Primo, Delle persone e della famiglia, del Codice civile (che prevedeva, rimandando a leggi speciali, limitazioni alla capacità giuridica delle persone sulla base della loro appartenenza a determinate razze) con queste parole:
«[...] il problema della razza si è imposto all’attenzione dello Stato fascista come uno dei caposaldi della sua organizzazione e dei suoi fini, per garantire e difendere la purità della stirpe, per assicurare il prestigio, l’indipendenza, la forza. […] La politica razziale, secondo le direttive del Gran Consiglio del Fascismo, non poteva più consentire che l’appartenenza ad una piuttosto che a un’altra razza non fosse elemento giuridico rilevante nella determinazione della sfera della capacità giuridica dei soggetti. L’uguaglianza di trattamento tra ariani e non ariani non poteva essere più consentita in un’organizzazione sociale nella quale è dominante il principio della difesa della razza pura».6
5. La cittadinanza post-bellica e il Welfare State
Dopo l’aggiornamento del 1938 sulla voce del 1931 dell’Enciclopedia italiana, occorre attendere fino al 1991 per trovare una nuova voce dedicata alla cittadinanza nelle enciclopedie della Treccani. L’Enciclopedia delle Scienze Sociali pubblica in quell’anno un saggio dedicato al tema che ha come autore il sociologo americano John Bendix. E non è un caso che la voce sia stata affidata ad un sociologo. Se fino alla Seconda guerra mondiale, la cittadinanza era stata studiata quasi esclusivamente in una prospettiva storico-filosofico-giuridica, nei decenni successivi sarà la sociologia ad occuparsene in modo sistematico.
La principale opera di riferimento nello studio contemporaneo del concetto di cittadinanza è Citizenship and Social Class (Cittadinanza e Classe sociale) del sociologo inglese Thomas Humphrey Marshall (nato nel 1893 e morto nel 1981) pubblicata nel 1950, dove l’autore rielabora la nozione moderna di cittadinanza alla luce della storia politica e sociale dell'Inghilterra, dalla rivoluzione industriale del XVIII secolo alla nascita del Welfare State negli anni quaranta del Novecento.7
Il contributo di Marshall si inserisce in un momento storico segnato dal trauma della Seconda guerra mondiale e dal progetto di protezione sociale del governo britannico noto come Piano Beveridge dal nome del suo ideatore, l’economista Lord William Henry Beveridge, che nel 1942 aveva redatto un rapporto sulla "sicurezza sociale e i servizi relativi".8
Marshall, che definisce la cittadinanza come «lo status che viene conferito a coloro che sono membri a pieno diritto di una comunità», propone una suddivisione dei diritti dei cittadini in tre categorie: civili, politici e sociali. Per il sociologo inglese la storia rivela un lento processo in cui la cittadinanza fa propri progressivamente tali diritti: nel corso del secolo XVIII, quelli civili (i diritti necessari alla libertà individuale: i diritti di parola, di pensiero, di proprietà, di giustizia), nel corso del XIX secolo, quelli politici (il diritto dei cittadini a partecipare alla vita politica nelle sue varie forme e nei diversi ruoli: di eleggere i propri rappresentanti e di essere eletti o nominati a ricoprire incarichi pubblici) e infine nel XX secolo, quelli sociali (i diritti all’istruzione scolastica, all’assistenza sanitaria, alla previdenza pubblica, al lavoro) ovvero, con le parole dello stesso Marshall: «tutta la gamma di diritti che va da un minimo di benessere e di sicurezza economici fino al diritto a partecipare pienamente al retaggio sociale e a vivere la vita di persona civile, secondo i canoni vigenti nella società».
6. Cittadinanza e disuguaglianza sociale
Il riconoscimento di queste tre categorie di diritti è legato alla parallela evoluzione dello Stato moderno; ad ogni tipologia di diritti, infatti, corrispondono istituzioni/enti pubblici finalizzati al loro esercizio, tutela e salvaguardia. Per Marshall, solo l’eguale partecipazione dei cittadini a tali diritti (e in particolare a quelli sociali) è in grado di creare identità e appartenenza alla comunità. Come egli afferma: «la disuguaglianza del sistema delle classi sociali [nel mondo occidentale ad economia capitalistica] può essere accettabile solo nella misura in cui viene riconosciuta l'uguaglianza della cittadinanza [ovvero dei diritti e dei doveri di tutti i cittadini]».
La voce dell’Enciclopedia delle Scienze Sociali scritta dal sociologo americano John Bendix riflette nell’analisi della cittadinanza moderna e dei suoi problemi la centralità del pensiero/dell’approccio marshalliano.
Nella ricostruzione della storia della cittadinanza, la Rivoluzione francese e i filosofi dell’illuminismo, ignorati nella voce della Enciclopedia Italiana del 1931, ritrovano qui tutta la loro importanza e rilievo storico. È con la Rivoluzione francese che nasce la cittadinanza moderna ridefinita sulla base di concetti come quelli di libertà, diritti, eguaglianza, nazione e stato. Nessun riferimento, invece, alla legislazione italiana, che nella voce del 1931 costituiva il capitolo principale; la voce scritta da John Bendix non si occupa degli aspetti normativi, ma è focalizzata sul concetto moderno di cittadinanza e sulla sua dimensione sociologica.
7. La cittadinanza democratico-sociale
La VI Appendice dell’Enciclopedia Italiana, pubblicata nell’anno 2000, contiene una nuova voce sulla cittadinanza. Autore della voce è Danilo Zolo.
Zolo è stato (è morto nel 2018) un giurista e filosofo italiano, con una vasta esperienza internazionale e un forte impegno umanitario. Allievo di Norberto Bobbio, ha insegnato per molti anni filosofia del diritto all’Università di Firenze e ha pubblicato numerose opere sulla democrazia, sui diritti umani, sulla guerra e sulla pace, sui problemi della globalizzazione. Nel 2001 ha fondato il Centro per la filosofia del diritto Internazionale e delle politiche globali Jura Gentium. Il Centro pubblica un’omonima rivista oltre ad una collana di monografie, ed è presente in Rete con un proprio sito web che permette di accedere ad una ricca documentazione sui numerosi temi affrontati nel corso degli anni dalla sua fondazione a oggi.9
La voce enciclopedica si concentra sulla cittadinanza intesa nel suo significato teorico-politico (quale «complesso di diritti garantiti a chi è membro a pieno titolo di un gruppo sociale organizzato»), distinguendo tre concezioni interne alla tradizione occidentale: la concezione classica risalente alla cultura politica greco-romana; la concezione moderna, prima assolutistica e poi liberale, collegata alla nascita e allo sviluppo degli stati nazionali in Europa; e, infine, la concezione democratico-sociale, che si afferma parallelamente alla formazione e crescita, fra Ottocento e Novecento, dei partiti democratici e socialisti, del movimento sindacale, all’estensione del suffragio elettorale e infine alla realizzazione del Welfare State, prima nei paesi anglosassoni e poi nell’Europa continentale.
Analizzando, in particolare, la concezione democratico-sociale della cittadinanza, che ha in Thomas Marshall il maggior teorico, Zolo prende in esame le critiche a tale concezione. Tra i critici dell’idea marshalliana di cittadinanza, e in particolare del suo “ottimismo evolutivo”, Zolo cita il sociologo e politologo inglese Anthony Giddens e il sociologo australiano Jack Barbalet.10
Giddens aveva rimproverato a Marshall di presentare «l’affermazione dei diritti di cittadinanza come un processo graduale, favorito dallo sviluppo delle istituzioni di mercato e dalla protezione dello Stato e non invece come un esito del conflitto sociale e politico».
Per Barbalet, l’impostazione marshalliana «impedisce di cogliere le tensioni interne ai diritti di cittadinanza, in particolare quella fra i diritti civili (come la libertà di stampa, di associazione, il diritto di proprietà) il cui esercizio produce potere a favore dei titolari, e i diritti sociali che sono dei semplici diritti di consumo, e che pertanto non attribuisco alcun potere ai loro fruitori». Oltre a ciò, i diritti sociali, per il loro costo molto elevato, che incide pesantemente sulla fiscalità pubblica, «presentano un carattere aleatorio nettamente superiore rispetto alle prestazioni procedurali poste a presidio dei diritti civili e dei diritti politici».
Zolo, in conclusione, sottolinea come l’impostazione marshalliana e il suo ottimismo evolutivo socialdemocratico, oggi, non siano più adeguati a interpretare le dinamiche e le problematiche contemporanee della cittadinanza, alla luce della rivendicazione di nuovi diritti (dalla parità di genere alla libertà sessuale, dall’integrità biologica e psichica alla tutela dell’ambiente), dei processi di globalizzazione, delle crisi degli Stati sovrani (con la contemporanea esplosione di particolarismi etnici e territoriali) e, in particolare, dei recenti fenomeni migratori di massa dalle aree del pianeta più povere, senza prospettive di sviluppo e ad alto tasso di crescita demografica, a quelle più ricche e socialmente evolute.
A parere di Zolo, oggi, le “democrazie del benessere” occidentali sono entrate in una fase di “regressione politica” per cui: «la cittadinanza torna ad essere un dato formale con una connessione sempre più incerta con i diritti dei cittadini, con la loro dignità e autonomia, con il loro sentimento di solidarietà e di appartenenza a una comunità politica. La cittadinanza tende a divenire una pura ascrizione anagrafica che sopravvive come strumento di discriminazione dei non cittadini».11
8. Cittadinanza e identità
Nel 2004, l’Enciclopedia del Novecento (III Supplemento) pubblica, a firma dello storico del diritto Pietro Costa, un’ampia voce sulla cittadinanza.
Costa è autore di numerose pubblicazioni sull’argomento e, in particolare, di una Storia della cittadinanza in Europa (dal Medioevo all’età contemporanea).12
Per Costa il termine cittadinanza, al di là degli impieghi puramente retorici, «serve a colmare una sorta di vuoto lessicale e concettuale» permettendo di tematizzare e di mettere a fuoco «il rapporto fra un individuo e l’ordine politico-giuridico nel quale egli si inserisce».
Nel primo capitolo, dedicato alla nuova accezione del termine cittadinanza, Costa, dopo aver sottolineato che nel passato, l’espressione cittadinanza era stata utilizzata per indicare l’appartenenza di un soggetto all’uno o all’altro Stato nazionale (per cui i problemi teorici ad essa legati si riducevano alla perdita o all’acquisto della qualità di “cittadino” di un determinato Stato), riconosce che: «un impulso determinante a dilatare il senso del termine cittadinanza [focalizzando l’attenzione sui diritti] è venuto dal saggio Citizenship and social class di Thomas Marshall», e osserva che: «il successo recente della nozione di cittadinanza, che pure si ricongiunge idealmente alle pagine del sociologo inglese, trae alimento da un clima politico-culturale sensibilmente diverso, caratterizzato, per un verso, dal declino o almeno dalla crisi dello “Stato sociale” e, per un altro verso, dal collasso (non solo politico ma anche teorico) del marxismo».
Questo nuovo contesto impone, per Costa, una “rielaborazione e ridefinizione” della nozione di cittadinanza, i cui nodi tematici sono tre: i diritti, i soggetti, l'appartenenza (l’identità).
La rappresentazione e l’attribuzione dei diritti, il loro nesso con la cittadinanza, a parere di Costa, costituiscono una chiave di lettura indispensabile per intendere il rapporto fra l’individuo e la comunità politica. Così pure la caratterizzazione politico-giuridica dei soggetti. «Parlare di cittadinanza significa concentrare l'attenzione sul soggetto [...] È l'attribuzione di alcune qualità [osserva Costa] a una determinata classe di soggetti che rende possibile il riconoscimento di quei soggetti come membri di una certa comunità politica e, viceversa, è la drammatizzazione delle differenze, la costruzione di classi di soggetti essenzialmente diverse che sorregge i dispositivi di disconoscimento e di esclusione».
Nell’appartenenza-partecipazione a una comunità politica (nell’identificazione con essa) i soggetti vedono definito il loro status, l’insieme delle prerogative e degli oneri che caratterizzano la loro condizione politico-sociale. L’appartenenza (l’identità), come i soggetti e i diritti, è perciò un’essenziale articolazione del concetto di cittadinanza. «Fare storia della cittadinanza [per Pietro Costa] significa guardare al costituirsi dell'ordine sociale dal basso verso l'alto, facendo leva non sul potere statuale, sugli apparati, sui sistemi normativi, sulle strutture sociali, ma sul soggetto e sulle strategie di riconoscimento della sua identità».13
* L’articolo è parte di una relazione presentata dall'autore al corso di formazione per insegnanti. L’Europa nel mondo contemporaneo e i dilemmi del presente. Per una didattica dell’UE e della cittadinanza europea, seconda edizione a.a. 2019-20, Università degli Studi di Bari Aldo Moro, 15-17 novembre 2019.
Note
1. Per un approfondimento sulla legislazione italiana in materia di cittadinanza: Tommaso Aucello, La cittadinanza italiana e la sua evoluzione, in «Rivista di Diritto e Storia Costituzionale del Risorgimento», n. 1/2017; Vito Francesco Gironda, Ius sanguinis o Ius Soli? Riflessioni sulla storia politica della cittadinanza in Italia.
2. Sul rapporto tra emigrazione e cittadinanza in Italia: Ferruccio Pastore, La comunità sbilanciata. Diritto alla cittadinanza e politiche migratorie nell’Italia post-unitaria; Guido Tintori 2006.
3. Articolo unico della legge n. 108/1926.
4. Sull’argomento si veda: Florence Renucci, La strumentalizzazione del concetto di cittadinanza in Libia negli anni Trenta, in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», 2005, n°33-34, pp. 319-342.
5. Sulle leggi razziali in Italia, in una prospettiva didattica.
6. Cfr. Francesco Degni, Le persone fisiche e i diritti della personalità, Torino, 1939, p. 45.
7. Per un approfondimento: Sandro Mezzadra, Diritti di cittadinanza e Welfare State. Citizenship and Social Class di T.H. Marshall cinquantanni dopo, Introduzione a Cittadinanza e classe sociale di T.H. Marshall, Laterza, Roma-Bari, 2002; Unico Rossi, La cittadinanza oggi. Elementi di discussione dopo Thomas H. Marshall, (2000); Pippo Russo, Cittadinanza.
8. Sull’argomento: Ugo Ascoli, David Benassi, Enzo Mingione, Alle origini del welfare state, Franco Angeli, Milano, 2010; Lucio Villari, Quel piano Beveridge che pare scritto oggi, in «Repubblica», 28 gennaio 2013
9. Informazioni bio-bibliografiche sull’autore.
10. Informazioni bio-bibliografiche sui due sociologi: Giddens, Barbalet
11. Danilo Zolo, Da cittadini a sudditi. La cittadinanza politica vanificata, Edizioni Punto Rosso, Milano, 2007, p. 5.
12. Bibliografia completa delle opere di Pietro Costa.
13. Pietro Costa, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, Vol. 1 (Dalla civiltà comunale al Settecento), Laterza, Roma-Bari, 1999, p. VIII.