La commemorazione del Centenario della Prima Guerra mondiale
Da Moratti, a Gelmini a Giannini, l’elenco delle ministre della scuola affascinate dal mondo militare comincia a diventare lungo. Forse qualcuno ricorda l’idea che ai militari dovesse essere affidata la commemorazione scolastica del 4 novembre. Oggi si va più in là: è la memoria della Prima Guerra mondiale che ispira l’intesa fra Miur e Ministero della Difesa, intitolata “Favorire l’approfondimento della Costituzione italiana e dei principi della Dichiarazione universale dei diritti umani, in riferimento all’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione”.
Questo accordo, infatti, è stato siglato in occasione del Centenario della guerra, ma con lo scopo più ampio di contribuire all’educazione civile dei ragazzi e a diffondere la “cultura della difesa”. Secondo le due ministre, potranno essere utilizzati i militari più adatti all’insegnamento. Probabilmente, occorrerebbero militari capaci di fare storia. Non dubito che ce ne siano in Italia. Per attrezzarvi nella valutazione, vi propongo un mio adattamento della voce histoire-bataille, scritta da Nicolas Offenstadt per un dizionario storiografico francese. Così, potrete capire il modello storiografico, al quale il graduato che verrà in classe fa riferimento. Meglio ancora, dal momento che la storia della guerra è un argomento importante e degno di essere trattato, vi offrirà il destro per spiegarla voi, direttamente, agli alunni e ai militari che vorranno venire a scuola a impararla. Come sempre, vi invito, dopo questa lettura a prendere in mano l’originale Nicolas Offenstadt, Histoire-bataille, in C. Delacroix, F. Dosse, P. Garcia, N. Offenstadt (dir), Historiographie 1. Concepts et débats, 2010, pp. 163-169. (HL)
La storia della guerra, fatta dagli storici e dai militari
(…) La storia delle guerre in quanto tali ha sempre interessato molto gli storici. A dire il vero, la storia militare ha coinvolto, fino ad oggi, anche i militari. Per loro, la storia delle battaglie è “maestra di vita”: dai combattimenti del passato occorre ricavare delle lezioni per il presente militare e per i combattimenti futuri. Il grande storico militare, tanto discusso quanto influente, Hans Delbrueck (1848-1929) polemizzò nei suoi scritti contro gli storici dello stato maggiore intorno ai problemi storiografici del tempo.
Criticò la pretesa dei militari di avere il monopolio in questo campo, cercando, contro quello che allora si pensava, di mettere a punto una storia militare più universale, più colta e meno eroica, meno isolata, inoltre, dalla politica, dall’economia e dalla cultura.
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Come i militari fanno la storia della guerra
A lungo questa storia militare è stata concepita come una storia della strategia e della tattica. Le battaglie e i combattimenti erano studiati e analizzati con uno sguardo d’insieme, precisamente quello del comando: gli obiettivi della battaglia, i piani preparati, la realizzazione delle operazioni a scala complessiva, o almeno a quella di grandi unità di combattimento, i risultati in rapporto alle previsioni o alle speranze di quelli che li hanno iniziati, la valutazione del risultato (battaglia vinta o persa, “decisiva” o no). Questo tipo di storia militare, ancora oggi viva, si inscrive in una storiografia istituzionale, politica, di storia “dall’alto” in certo senso, legata a quella dei grandi uomini, siano essi grandi decisori nella sala di comando, oppure comandanti sul campo di battaglia.
In particolare, la storia militare si è mal connessa, proprio per questi presupposti, con quelle innovazioni che hanno caratterizzato la scienza storica a partire dal XIX secolo: rivoluzione scientifica, allargamento dei punti di vista, l’attenzione alle strutture e alle mentalità, un’accresciuta riflessività.
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Storia della guerra e identità nazionale
(…) Scritta largamente da militari o da storici-militari, la storia delle battaglie occupa un ruolo importante nel “romanzo nazionale” dei grandi paesi a tradizione militare. Le battaglie, quelle vittoriose, si vedono assegnare un ruolo cruciale o la missione di portatrici di simboli nella costruzione della nazione. Esse erano spesso presentate – e lo sono ancora - come se fossero delle epopee. Molte di loro sono anche state analizzate, in questa prospettiva, come “luoghi di memoria”: Alesia, o Verdun in Francia, Tannenberg o Stalingrado per la Germania.
I lavori più recenti si sforzano in effetti di mettere in prospettiva critica questi miti identitari, le letture eroiche e entusiaste dei combattenti liberatori, ivi compresi gli eventi fondatori della Seconda Guerra mondiale, come la Battaglia di Inghilterra del 1940 (con il mito dei few against the many), o lo sbarco in Normandia del 1944, con una eroizzazione semplificatrice dei soldati. (…)
Civili inglesi si rifugiano nella metropolitana (1940). Nel 1941, il ministero dell’Aviazione britannico pubblicò una brochure di trentadue pagine per costruire intorno alla Battaglia di Inghilterra un’aura leggendaria. Questa brochure venne diffusa in milioni di esemplari.La “battaglia dei pochi contro i molti”, come recitava il mito che ne nacque, è studiata da Richard Overy
Una nuova “storia-battaglia”
Da una trentina di anni a questa parte, la storiografia si è evoluta parecchio, al punto da evocare ormai una “nuova storia-battaglia”, che sarebbe lontana sia dall’immagine negativa associata come uno stigma a questo termine, sia dalla realtà di una storia dei combattimenti visti dall’alto e inserita in una semplice narrazione istituzionale e eventografica. (…)
Il primo di questi rinnovamenti, legato alle riflessioni sul racconto storico, riguarda le domande stesse che rivolgiamo alla battaglia. Che cos’è una battaglia o un combattimento? La risposta è meno semplice e più aperta di quanto non appaia. I racconti, soprattutto quelli che descrivono la battaglia, giocano la loro parte nella sua definizione; e le controversie per darle un nome, definire la sua estensione spaziale o più ancora la sua cronologia, cancellare o valorizzare un protagonista creano problemi complicati, che conviene sciogliere.
Un caso esemplare della Prima Guerra mondiale: lo Chemin des Dames
Queste domande sulla costituzione stessa dell’oggetto “battaglia” caratterizzano una ricerca collettiva sullo Chemin des Dames (1917). Lo scacco di questa grande offensiva, dalla quale si sperava tanto, indusse i commentatori francesi a esitare sulla maniera migliore per chiamare quella battaglia, per darne la versione meno negativa possibile (“Battaglia dell’Aisne”, “Chemin des Dames”, “Offensiva Nivelle” ecc.). Da subito, i discorsi dominanti cercarono di minimizzare la sconfitta o di trasformarla in vittorie parziali. La difficile narrazione dello Chemin des Dames, legata, per giunta, agli ammutinamenti, continuò, dopo l’evento, nella scrittura della storia (la battaglia vi occupa spesso un piccolo posto); e le commemorazioni che se ne fecero furono ora discrete ora complesse. Così, lo Chemin des Dames può essere qualificato come “evento senza forma”, tanto la messa in scena della sua estensione geografica e la sua ampiezza cronologica variano secondo i discorsi, per non parlare delle discussioni politiche e dei dibattiti interpretativi.
Nicolas Offenstadt ha diretto quest’opera collettiva, dedicata allo Chemin de Dames, un “inferno”, come dicevano gli stessi soldati. Di questo massacro, e della sua rimozione francese, ci parla Giovanni de Luna. Di Craonne e dello Chemin de Dames si parla su HL a proposito di didattica museale.
Gli storici rovesciano il punto di vista dei militari
Oltre a queste domande, la “nuova storia-battaglia” rovescia i luoghi e le scale di osservazione. Con il libro molto importante di John Keegan, Il volto della Battaglia, che studia insieme Azincourt (1415), Waterloo (1815) e la Somme (1916), i soldati nella loro esperienza del combattimento, nelle loro pratiche, le loro maniere di fare e di sentire la guerra diventano il cuore dell’interrogazione storica. Gli storici tentano di leggere la battaglia “al livello del suolo”, di comprendere le motivazioni dei combattenti, ma anche i loro comportamenti in combattimento, sia che si tratti dei gesti tecnici, dei sentimenti, delle reazioni psicologiche sia che si tratti dell’esercizio della violenza. Lo fanno anche per i periodi più antichi, come mostra lo studio “archeologico” del combattimento nella Grecia antica, condotto da Victor Hanson che segue l’oplita dalla polis fino alla morte sul campo di battaglia, attraversando tutte le fasi dell’azione militare.
Qui troverete lo schema del libro di Keegan; due libri di Hanson ci spiegano fino in fondo la sua tesi – molto discussa – che mette in correlazione la straordinaria capacità di uccidere della società occidentale, con la sua democrazia. Qui trovi L’Arte occidentale della guerra
La storia della guerra non è più una “storia-battaglia”
In senso più ampio, i nuovi approcci della battaglia sganciano (dal mondo militare) l’oggetto “combattimento”, per situare i soldati nelle società del loro tempo con le loro credenze e le loro maniere di fare: è questo l’incontro fecondante con le innovazioni della storia culturale, un incontro avvenuto non senza dibattiti. (…)
Per rendersi conto del modo diverso di raccontare una battaglia, si può confrontare la ricostruzione proposta da arsbellica, secondo i canoni dell’histoire-bataille, e lo studio rivoluzionario di George Duby, La domenica di Bouvines. 27 luglio 1214 (del 1973), Einaudi, Torino. Di Duby, la Rai mette a disposizione le interessantissime interviste di metodologia storica
Il lavoro di George Duby sulla battaglia di Bouvines ha, da questo punto di vista, marcato una rottura, altrettanto importante di quella del libro di Keegan. Il medievista ha inquadrato la battaglia del 1214 almeno da un triplo punto di vista. Dapprima, quello della contestualizzazione della battaglia in rapporto alla guerra e alla pace nel mondo medievale (“una sociologia della guerra”), poi in quello della sua narrazione da parte dei cronisti e delle fonti, e infine, dal punto di vista, legato a questi, delle costruzioni leggendarie che l’hanno accompagnata (…)
Così, la storia delle battaglie è ormai integrata nell’insieme delle ricerche storiografiche contemporanee (ivi comprese quelle di genere) anche se l’espressione “storia-battaglia” resta il simbolo di una maniera di fare che molti storici rifiutano e che, pur tuttavia, perdura largamente nella storiografia militare.
*Traduzione e adattamento di Antonio Brusa